Il poeta e i suoi pensieri
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V
IL POETA E I SUOI PENSIERI
L’anima, che s’abbraccia col mondo fisico e coll’immateriale, va alla sua meta. |
Per la tua bassa tenebra
non move un’aura blanda;
è senza stelle, o povera
notte, la tua ghirlanda;
5non una dolce tibia
di solitario amante
lungo le verdi piante
lieve ascoltar si fa.
Ma pur da me s’espandono
10suoni di fresco amore;
piú che le stelle e l’etere,
grandi linguaggi ha il core:
pensoso accetta il giubilo,
lieto il dolor riceve,
15e, risonante e lieve,
dov’è chiamato, ei va.
Come chi parte a compiere
pellegrinando un voto,
tiene, piangendo, agli ultimi
20tetti lo sguardo immoto;
poi, nel trovar non cognite
siepi e solingo piano,
torna cogli occhi invano
ai campi che lasciò:
25tolto cosí da un fulgido
sentier di sogni, anch’io,
movendo in solitudine,
chiedo i ritorni a Dio;
ma un imperante spirito
30su’ passi miei cammina,
e l’alma pellegrina
piú ritornar non può.
Dunque provato ai triboli,
rinverginato al pianto,
35come i ruscelli al murmure,
Dio mi destina al canto?
Vieni, o mia lira, abbracciami,
giacché per fede antica
forte e modesta amica
40Dio ti congiunse a me.
Detti superbi o pavidi
tu sul mio labbro attuta;
quel che non sente l’anima,
di modular rifiuta;
45non abborrir del povero
per vil pudor le stanze,
per misere speranze
non inchinarti al re.
Vieni. Onoriam di lagrime
50l’umanitá che è mesta.
Sul nudo suol degli esuli
santa rugiada è questa.
Con la speranza accòstati
ai tribolati ingegni,
55vinci gl’iniqui sdegni
col doloroso amor.
Ma non però del candido
riso fuggiam la luce,
che a solitari palpiti
60le fantasie conduce;
perché del riso i balsami
sul cor ce gli diffuse
la stessa man, che schiuse
le fonti del dolor.
65Ella, che pose ai turbini
l’ale e distese i cieli,
die’ pur la vita all’alighe
e incolorò gli steli:
tutto, dal serpe all’angelo,
70mi leva intorno un coro;
tutto egualmente adoro,
dal filo d’erba al sol.
Sotto l’ombría dei platani
molli del novo incenso,
75assorto il cor nell’estasi
d’un viso amato, io penso
subitamente al profugo,
se un uccellino io miro,
che mova mesto in giro
80per rami ignoti il vol.
Con voi, fanciulle, i facili
poggi odorosi ascendo
lieto nell’alma, e reduce
ripenso a voi piangendo;
85ma non cosí ch’io tolgavi
in quelle dolci feste
un vezzo da la veste
o un gaio fior dal crin.
Ben saprò dir le provide
90speranze a la tradita,
che i tenebrosi assalgono
spaventi de la vita:
io mi porrò degli umili
sotto le verdi tende,
95dove piú forte splende
la fede al pellegrin.
E tu, mia man, le nobili
voci del cor tu scrivi;
del cor che abbraccia i tumuli,
100che vagola coi rivi,
che di sorrisi illumina
le sue mestizie arcane,
che le allegrezze umane
circonda di sospir.
105Piú che per altri il fervido
tumulto del convito,
a me fia caro un vergine
pane cibar romito:
poi, qual fuggente rondine,
110verso la patria vera,
coll’anima che spera,
recarmi all’avvenir.
E tu, mia lira, insegnami
come svagato io corsi,
115e, col pensier, dell’opera
si scontino i rimorsi.
Spandi cosí tra gli uomini
l’aura del tuo perdono,
se non udito il suono
120da le tue corde uscí.
Come per l’alto un zefiro,
si passerá dal mondo,
ma lasceremo un cantico
non vil né inverecondo:
125e i sorvolanti effluvi,
forse nei rovi ascosa,
riveleran la rosa,
che nel dolor fiorí.