Il perdono/III
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III.
Ora suor Celeste aveva ravvisato nel volto cadaverico di lui, il suo traditore! Pure sul principio non aveva voluto credere ai suoi occhi, aveva pensato che forse s’ingannava, perchè davvero in quel volto trasfigurito dallo spasimo mal si riconosceva il fiorente giovane di sei anni addietro; ma allorchè questi nel delirio pronunziò il suo nome, come ingannarsi? — È lui, si ricorda di me, furono i primi pensieri che, cessata l’agitazione del cuore, le sorsero in mente. Egli mi ha nominata; gran Dio! Forse non mi avrà mai dimenticata, mai.... oppure sarà un rimorso che lo punge in questi terribili momenti, il rimorso di avermi cagionati tanti dolori!... sarà forse un avanzo di quell’amore ardentissimo, sì ardentissimo, che mi portava una volta! Chi sa quale è la donna che gli appartiene! Sì, io devo renderlo a lei, alla patria: egli non dovrà mai riconoscermi, io lo salverò con le preghiere, con le cure le più assidue, le più sollecite a costo anche della mia stessa vita. E infervorata in questi pensieri, ella precorreva colla idea il momento in cui, mercè il suo zelo, lo vedrebbe risorgere a novella salute.
Sorgeva l’alba del nuovo giorno, e un debolissimo raggio di luce penetrava sullo spedale. Nel medesimo luogo, alla sponda dello stesso letto stava tuttora suor Celeste. Invano era stata consigliata a prendere un po’ di riposo, ad allontanarsi da quella continua scena di dolore. Ella era voluta restar la palpitante e tremendo ad ogni momento per la vita del ferito a lei affidato. Egli però sembrava un po’ più sollevato, poichè aperti alquanto gli occhi, e volgendoli attorno, nel delirio mormorava. Ella si è consacrata a Dio! Poteva esser mia.... mia per sempre... ed io la tradii....
E seguitando a parlare fra sè con voce affannosa. «Emma, soggiungeva, Emma mia, io pure fui barbaramente tradito, ma ben me lo meritava poichè così crudelmente ti offesi. Però non ti ho mai dimenticata.... tornai per rivederti.... per implorare il tuo perdono.... ma tu.... tu eri già di Dio! forse nel medesimo istante, in che io sperava il tuo perdono tu alzavi la mano a maledirmi!... - e acceso in volto con occhi scintillanti, delirando: - Ah taci, taci, proseguiva non pronunziare quella parola che m’induce alla disperazione. Lo vedi? riarso, abbattuto, io sono vicino al fatale momento del giudizio eterno.... oh! la tua bell’anima implori per me pietà dal Creatore! non mi negare deh! non mi negare il perdono; quel perdono che se ora l’udissi dalle tue labbra mi farebbe morir contento!...» «Ella ti perdona», proruppe una voce angosciosa e rotta dai singhiozzi. L’infelice, che udiva col cuore dilaniato quegli accenti inspirati dal trasporto della passione e dall’asprezza del rimorso, non aveva potuto più a lungo resistere. A quella parola inattesa, proferita col sentimento della più profonda pietà, il giovane si sforzò di sollevarsi, e fissati gli occhi esterrefatti sul volto di lei, la riconobbe, sorrise, e come inebriato da una piena di mille affetti, proferendo a mezza voce il nome di Emma, ricadde spossato sul guanciale. La violenta commozione inacerbì la ferita, ed aggravò il di lui stato. La sera stessa egli non era più. Prima di morire cercò ancora con gli occhi moribondi suor Celeste, la rivide ancora sorrise di nuovo, e pago di tanta inspirata felicità, si richiuse a perpetuo sonno.