Capitolo XL

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XXXIX XLI
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XL.


Io le dicevo tutti i miei pensieri, tutti i movimenti buoni e cattivi dell’anima mia con la stessa sete di sincerità, per così dire, che avrei dovuto provare parlando a Dio. Quanto più era penoso e umiliante per me di confessarmi a lei, con tanto maggior ardore lo facevo. Se talvolta ho dubitato di un atto o di un pensiero che fossero o non fossero riprovevoli, mi bastò sempre a chiarirmi di ogni dubbio e mi basta ancora il giudizio recatone dentro a me da quella invisibile Violet che sempre fu ed è nella mia coscienza; giudizio sicuro e severo, ben più severo di quello che ne recava la Violet esterna, visibile. Pensando a ciò mi colpì un’analogia [p. 334 modifica]singolare e ne vennero questi versi composti sul battello a vapore, andando a Magonza:

Nel mio mortal tu vivi, imago eterna:
     Ami negli amor miei, ne’ pensier pensi,
     E, più divisa da’ terreni sensi,
     A la mia coscienza sei più interna.

Giusto ministro a Dio, quivi governa
     L’occhio tuo, speglio a’ Suoi chiarori immensi;
     Levando in core mal vapor non viensi
     Che l’ombra ei non ne segni e non ne scerna.

Ma se da te rimorso, idea severa,
     Dico tremante la fralezza mia
     A la mortale tua persona vera,

Sorridendo mi bacia tanto pia
     Ch’io veggo in te come in arcana spera
     Quanto il Signor giusto e clemente sia.

Violet era rimasta a Rüdesheim perchè certi suoi conoscenti di Norimberga le avevano promessa una visita; ed io avevo scelto quel giorno per andare a Magonza dove intendevo acquistare un dono per lei.

Tornai con un braccialetto assai semplice e con questi versi di cui ella comprese subito il concetto benchè avesse bisogno di qualche [p. 335 modifica]spiegazione speciale. Il concetto le piacque; i versi non le parevano miei, li trovava così differenti da tutti gli altri che le avevo dati. Lo capivo perfettamente, ma tuttavia le domandai in che li trovasse differenti. Mi rispose ch’erano più difficili, che le ricordavano molto più degli altri le sue letture di classici italiani e le facevano un poco l’effetto d’essere stati scritti da un pittore quattrocentista.

— Ho letto e riletto non so quante volte la poesia — mi diss’ella all’indomani — ed è una cosa strana ciò che provo. La forma mi pare un poco meno viva che negli altri tuoi versi, ma mi compiaccio assai più di ritrovarmi in questi che in quelli.

Osservai che ciò avveniva per il loro concetto.

— No — rispose — sento chiaramente che non è solo per il concetto; è anche per il linguaggio che l’aria così antica, spirituale. Dimmi se in Italia piace più questo genere o l’altro.

— Lasciamo stare il mio sonetto — risposi. — In Italia piacciono i versi migliori di questi. Non vi manca del resto chi dice che si [p. 336 modifica]dovrebbero scrivere versi di concetto moderno e di forma antica, ma è un errore perchè bisogna che il concetto nuovo si generi la sua forma nuova e anche la sua nuova armonia.

Violet pensò un poco, diventò rossa, mi prese il capo a due mani, mi sussurrò sulla fronte:

— Io ti amerò sempre sempre come adesso, ma il mio viso invecchierà, la mia povera voce che ti piace non sarà più dolce. Cosa farai tu allora?

Le sue mani mi strinsero alle tempie quanto forte poterono.

— A che pensi mai! — risposi. — Allora non sarò più buono a far versi, non saprò che ripeterti questi ogni giorno.

Poi scherzai sulle nostre tenerezze senili. Violet se ne offese, un po’ sul serio, un po’ da burla, e mi disse ch’ero un cinico odioso, che trovavo dappertutto il ridicolo, che questo le era molto piaciuto in me da principio perchè è una follia della donna d’innamorarsi degli uomini cattivi, ma che adesso non mi voleva più così.

— Anch’io — diss’ella — una volta ero sarcastica come te; adesso non lo sono più.

Dovette ridere dicendolo, perchè lo era molto [p. 337 modifica]spesso ancora; aveva sorrisi fini e parolette brevi ch’entravano nella gente come spilli. Lo riconobbe, ma protestò d’essere sempre in lotta, a questo proposito, colla sua inclinazione e sostenne che il sentirsi tanto felice, l’amare e l’essere amata la rendevano insensibile al ridicolo.

— Dunque — diss’ella — questo senso del ridicolo non dev’essere una cosa buona, non deve potersi accordare con la pienezza della felicità e dell’amore. Anche tu cercherai di perderlo, non è vero?

Rise ancora, vedendo la mia faccia dolente, quasi sgomentata; e mi domandò se fosse un’impresa tanto difficile. Risposi che sì ed ella mi replicò, che essendo artista, potevo sfogarmi senza malignità nei miei libri.

— Però — dissi — sarebbe meglio di frenarmi anche lì?

— Forse sì — mi rispose sottovoce — forse i libri più nobili non rappresentano il ridicolo.

Sostenni con calore, con troppo calore, che ciò non era esatto; e cercai quindi scusarmi dalla taccia di malignità, dissi che quando ero [p. 338 modifica]ridicolo io stesso ne avevo il senso acuto ed esilarante. — Sei maligno verso di te — rispose Violet — E in me troverai tu mai il ridicolo?

— Che peccato! — risposi sospirando. — Temo di no.