Il matrimonio discorde/Nota storica
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NOTA STORICA
Come e da chi venisse al Goldoni l’invito, nell’estate o nell’autunno del 1755, di scrivere due Intermezzi per il teatro Capranica di Roma, da recitarsi nel carnovale seguente, non ci è noto. Il nome del Goldoni si spandeva ormai oltre gli Appennini e le Alpi. Già erano uscite le prime raccolte delle sue commedie: a Roma, fin dal gennaio del 1753, si recitarono la Donna di garbo e l’Erede fortunata, nel ’54 la Famiglia dell’antiquario e la Locandiera, nel ’55 si udivano le Donne curiose, l’Amante militare, il Feudatario, la Pamela (A. Cametti, Critiche e satire teatrali romane del Settecento, estratto dalla Rivista Musicale Italiana, IX, 1902, fase. I, p. 5). Era finita a Venezia la moda degli umili Intermezzi, trionfando sui teatri lirici i drammi giocosi, specie di commedie per musica. Ma forse già sorrideva al Goldoni la tentazione del viaggetto a Roma che compì sulla fine del 1758; e il buon Veneziano scrisse o piuttosto improvvisò in pochi giorni le due farsette richieste: il Matrimonio discorde e la Cantarina. Dell’una e dell’altra si trovano i rari libretti nella ricca collezione presso la Biblioteca del Liceo Musicale di Bologna e in quella pure famosa della Biblioteca Musicale della R. Accademia di S. Cecilia a Roma; ma per primo li scoperse, diremo così, il maestro Alberto Cametti che da Roma ne diede notizia al nostro Edgardo Maddalena, allora a Vienna, nel settembre del 1901 e ne fe’ cenno l’anno dopo pubblicamente nello scritto citato sopra. Dal Maddalena n’ebbe comunicazione il Musatti (I Drammi Musicali di C. G., Venezia, 1902, p. 31). Un altro ricordo del Matrimonio discorde trovasi nel Saggio di Cronistoria del Teatro Musicale Romano (Il Teatro Capranica) di G. Pavan, in Riv. Mus. It., vol. XXIX, 1922, p. 434). Dal Musatti e dal Pavan attinse il Bustico (Drammi, cantate ecc. di C. G, 1925, estr., p. 42).
Questa Farsetta fu cantata per la prima volta la sera del 7 gennaio 1756 e le due parti in cui è divisa servirono da intermezzi alla recita della Finta ammalata (vol. V), come gentilmente mi scrive il Cametti stesso, dotto conoscitore dei vecchi teatri romani. La stampa del libretto fu dedicata a donna Giulia Augusta Albani Chigi, madre del noto principe don Sigismondo, con la lettera che qui riproduciamo.
Eccellenza,
“Gareggiano le Virtù e le Grazie di rendere sempre mai glorioso il Nome sì rispettabile di V. E. da cui elleno stesse a comun bene impiegate, ornamento ne traggono, e splendore. Meraviglia perciò non rechi, se noi cui noti pur sono i pregj singolarissimi dell’E. V., a seconda del nostro ossequio, e del genio del Pubblico, da tanta sua benignità incoraggiti, le umiliamo quanto contiensi in questi Fogli, e in su le nostre Scene si rappresenta. Malagevola cosa è certamente, rinvenire un offerta al merito sublime di V. E. più acconcia di questa, che per esser appunto tenuissima, esalta la generosità dell’Animo suo, e fa risplendere unita alla sua Grandezza quella rara modestia, ch’è tutta propria di Lei. Non è qui pensier nostro di porre in fronte i nobilissimi Titoli, i Privilegi non ordinaij, le Gentilizie insegne, e molto meno i Feudi in buon numero, onde vanno meritamente nelle varie Giurisdizioni e Terre di Lor Dominio adorni ambedue i Casati dell’E. V.; perocchè i soli Nomi Albani e Chigi, de’ quali tanto risuonano le Storie antiche e moderne, e per cui con ragione liete e fastose ne sono Toscana e Roma; il credito che n’ebber sempre. e vieppiù ne conservano Sovrani d’Europa; l’amore, stima e rispetto, con cui andranno in ogni tempo distinti nella Città Reina del Mondo, non v’ha chi nol sappia, sia egli ancor d’Oltremonte. Queste, che pur sarebbero degne lodi dell’E. V., non le soffre la bontà sua, e molto meno quelle, che solo in particolare alla veneratissima sua Persona si converrebhono. Per non demeritare a tal fine con la trasgressione de’ suoi espressi voleri il possente Patrocinio di E., che imploriamo per noi e per le nostre Recite, restaci solo di supplicarla a degnarsi onorarle di sua Presenza, non potendo riuscire che aggradevole a tutti, qualora incontrino somigliante fortuna; mentre con tal fiducia, all’E. V. c’inchiniamo profondamente.
Di Vostra Eccellenza
Umi, Dmi, Oblimi Servidori |
A inventare I’argomento non fece gran fatica il Goldoni che stava scrivendo o aveva finito di scrivere proprio allora la Villeggiatura (commedia recitata nel teatro di S. Luca nel carn. del 1756: vol. XIII ai questa edizione).
Ricordate come si lamenta donna Lavinia del proprio marito, nella scena terza dell’atto primo? "Viene in campagna meco, ma è come se non ci fosse. Il suo divertimento è la caccia. Le sue conversazioni le fa con i villani e colle villane..." In fatti nella scena quinta don Gasparo presentasi vestito da cacciatore "collo schioppo in spalla" e i rimproveri che si scambiano marito e moglie sono quelli stessi che udiamo dalla bocca di donna Florida e di don Ippolito. Rileggiamo alcune battute: "Gasparo. Tanto a me piace lo schioppo, quanto a voi un mazzo di carte... Lavinia. La sera non posso abbandonare la conversazione. Gasp. La mattina non lascierei la caccia per la più bella donna di questo mondo... Lav. E dopo la caccia, in conversazione con i villani e con le villane". Donna Lavinia annuncia l’arrivo di don Paolucio, del cicisbeo; e Gasparo chiama le villanelle, dicendo: "Non ci possono venire in sala? Avete paura che dai piedi delle contadine sia contaminata la sala della vostra nobile conversazione?" Il marchese Bizzarro non somiglia a don Paoluccio, ma cavalieri serventi e scrocconi non mancano nella Villeggiatura. Anche la Sandra ha cert'aria di famiglia con la Libera e la Menichina, e con le altre contadine artificiose del Feudatario (vol. VIII) che il Goldoni ritrasse dalla sua fantasia piuttosto che dalla realtà della campagna. Perfino il nome di donna Florida troviamo nella ricordata commedia: la smania poi di parer nobile è in altre donne o meglio in altre caricature femminili del teatro goldoniano.
Da una commedia interessante pei costumi del tempo, ma povera d’arte, difficilmente si poteva cavare un buon Intermezzo. Pur troppo siamo caduti più in basso. Per chi ha letto la Villeggiatura, l’elemento satirico del Matrimonio discorde non offre vera novità. I cattivi versi del l’avvocato veneziano non aggiungono certamente bellezza al dialogo. Il travestimento che ha luogo nella seconda Parte, prima del Marchese e poi di don Ippolito, da bravi, travestimento tanto comune agli Intermezzi (famoso quello di Vespone nella Serva padrona), ci sembra una ripetizione della Bottega da caffè e perfino della Pelarina. Eppure la vanità di donna Florida ha qualche spunto di vita settecentesca e goldoniana, come allor che canta: “Se mi dicesse poi: - Bella tiranna mia ecc. - Io gli risponderei: - No che son tiranna ecc.”. Ma sono istanti fuggevoli.
Insomma abbiamo qui un’umile farsa per musica, che non si distingue fra le moltissime altre del Settecento e cadde giustamente nell’oblio. Non comparve nelle edizioni torinesi delle Opere Drammatiche Giocose del Goldoni (appresso Olzati 1757; e Guibert e Orgeas, 1777), non fu raccolta nell’edizione Zatta, se ne dimenticò I’autore stesso negli elenchi delle proprie opere in fine dei Mémoires, sfuggì allo Spinelli quando compose la Bibliografia Goldoniana. Neppur sappiamo come riuscisse la recita: certo la fortuna, fu scarsa, se questo Intermezzo non venne ripetuto altrove. - Del maestro Raimondo Lorenzini, nato a Roma nella prima metà del Settecento, organista presso la chiesa di S. Maria Maggiore dal 1751 al 1786 e poi maestro di cappella della chiesa stessa fino al 1795, compositore di musica sacra, di sonate, di mottetti, di notturni, morto nel 1806, ci dà notizia il Fétis nel t. V della Biographie Universelle des Musiciens, Paris, 1863, pp. 348-349. Poco o nulla aggiunse Roberto Eitner (Biographisch-Bibliographisches Quellen-Lexikpn der Musiker ecc. Leipzig, VI Band, 1902, p. 221). Nè il Fétis nè l’Eitner, nè il Sonneck ricordano il Matrimonio discorde o altra composizione teatrale in musica del Lorenzini.
G. O.