Il marito amante della moglie/Atto primo/Scena settima
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Gino e Maurizio.
- Gino
- Amico, vi ringrazio di aver fatto al mio nome
- L'onor di sovvenirvene.
- Maurizio
- Mio dovere... Ma come
- Avvenne col marchese quella mezza contesa?
- Gino
- Oh nulla, non parliamone, non ne vale la spesa.
- Maurizio
- Quando siete arrivato?
- Gino
- Ieri.
- Maurizio
- Da Vienna?
- Gino
- Appunto.
- Maurizio
- E non scendeste al mio palazzo, appena giunto?
- Gino
- Grazie. Fino da Vienna ci avevo provveduto.
- Maurizio
- Come mai da principio non v'ho riconosciuto?
- Gino
- Cercavate una dama..
- Maurizio
- E con molta premura.
- Gino
- La ritrovaste?
- Maurizio
- No.
- Gino
- (fra sè)
- Che fosse...? Oh! l'avventura
- Sarebbe strana...
- Maurizio
- Siete sempre rimasto qui?
- Gino
- Sì.
- Maurizio
- È passata?
- Gino
- Una dama colla maschera?
- Maurizio
- Sì.
- Gino
- In nero?
- Maurizio
- Sì... bellissima.
- Gino
- ...Non l'ho veduta in volto.
- Le cadde anzi...
- Maurizio
- Il ventaglio...
- Gino
- (fra sè)
- Era lui.
- (forte)
- L'ho raccolto.
- Mi congratulo.
- Maurizio
- Grazie, scegliete il buon momento.
- Gino
- Perduta un'occasione, se ne trovano cento.
- Quel ventaglio era certo un solito segnale.
- Maurizio
- Ma no... è la prima volta.
- Gino
- La prima?
- (fra sè)
- Meno male.
- (forte)
- Forse un appuntamento? Andiamo... a un forestiero...
- Era un appuntamento... d'amicizia, n'è vero?
- Maurizio
- Quasi...
- Gino
- Il primo?
- Maurizio
- Pur troppo
- Gino
- (fra sè)
- Arrivo in tempo.
- (forte)
- E adesso
- Aspettate il secondo?
- Maurizio
- Se mi sarà concesso...
- Di dove è uscita?
- Gino
- Parmi da quella parte.
- Maurizio
- (avviandosi)
- Allora...
- Gino
- Omai è troppo tardi, sarà passata un'ora...
- D'altronde io vorrei chiedervi, se non fossi indiscreto,
- Alcuni brevi istanti di colloquio.
- Maurizio
- Son lieto
- Di essere ai vostri ordini.
- Gino
- È affare di rilievo,
- E non vorrete avervene per male, se vi devo
- Pregare del secreto.
- Maurizio
- Ve ne impegno la mia
- Parola.
- Gino
- Checchè udiate da me, chiunque sia
- A farvene richiesta, checchè avvenga, per quanto
- Inutile vi sembri il tacer, fino a tanto
- Ch'io non vi avrò disciolto dalla data parola,
- Giurate di non dire con nessuno...
- Maurizio
- Ho una sola
- Fede. Ve lo prometto.
- Gino
- Grazie.
- (guarda attorno)
- Nessuno.
- Maurizio
- A che
- Tante cautele?
- Gino
- Il mio vero nome non è
- Gino di Monfiorito.
- Maurizio
- (s'alza)
- Possibile... Signore...
- Gino
- Perchè? Sedete, datemi tempo.
- Maurizio
- Con chi ho l'onore
- Di parlare?
- Gino
- Col conte di Albavilla.
- Maurizio
- Albavilla!
- Il conte Ottavio?
- Gino
- Appunto. Ascoltate tranquillamente.
- Voi siete il primo a cui svelo il mistero
- Dell'esser mio. Mi avranno certo dipinto in nero
- Anche con voi, ma spero vi accorgerete presto
- Che sono un gentiluomo, e, meglio, un uomo onesto.
- Vi dirò la mia vita brevemente; è una storia
- Che per molti dolori tengo impressa a memoria.
- Ebbi un'infanzia triste; non conobbi nessuno
- De' miei parenti; crebbi solitario in un bruno
- Castello, dove, a quando a quando, il mio tutore
- Veniva ad ispirarmi un sinistro terrore,
- Tanto mi si mostrava acerbo e prepotente.
- Non ho avuto un maestro, non ho imparato niente
- Di quanto al censo e al nome che porto era dovuto.
- Ero ignorante, timido e malaticcio. Ho avuto
- Per due volte la morte presso il mio capezzale,
- E, ignaro od incurante che fosse del mio male,
- Il tutore non venne a trovarmi. Soltanto
- Un vecchio servitore mi rimaneva accanto,
- Rispettoso e amorevole, e mi narrava i fatti
- Illustri di mia casa, mi spiegava i ritratti
- De' miei vecchi, e versava nel mio piccolo cuore
- La sua scienza nativa del bene e dell'onore.
- Vi dico queste cose perchè in esse è la vera
- Ragione ed il secreto di mia vita. Una sera,
- Avevo diciott'anni, giunse solo e improvviso
- Il tutore: io tremavo, ed egli, con un riso
- Carezzevole e dolce, mi chiamò il suo diletto
- Figliuolo, ed abbracciandomi mi parlò del suo affetto
- Vigilante, del quale mi recava sicura
- Prova. Quelle carezze mi facean più paura
- Degli usati rabbuffi e ne aspettavo ansioso
- La ragione. Mi disse avermi fatto sposo
- Con una ricca, nobile e bella giovinetta
- Sedicenne; la cosa tornare molto accetta
- Al Duca, il qual, per darmi prova del suo contento,
- Si degnerebbe farmi dono di un reggimento;
- Ognuno invidiare la mia splendida sorte;
- Gli Albavilla mancare da troppo tempo a corte;
- Altre mille ragioni consigliare codesto
- Maritaggio ed imporre che si facesse presto.
- L'indomani viaggiammo per tutta la giornata,
- E alle dieci di sera la cappella privata
- Del Duca insiem mi accolse colla novella sposa.
- Rammento che in vederla mi prese un'angosciosa
- Pietà di quella timida e bella giovinetta,
- Forse ancor essa a nozze non sognate costretta;
- Sentii che si compiva per me qualche solenne
- Avvenimento, e gracile com'era e diciottenne
- Mi riconobbi adulto; le parlai con rispetto
- E dolcezza e le vidi attraverso il corsetto
- Gonfiarsi pel tumulto delle gravi ansie il seno.
- Mi dilungo parlandovi, lo so, ma come a meno?
- Maurizio
- Oh! vi ascolto con tanta curïosa attenzione!
- Gino
- Per farla breve, il Duca volle esser testimone
- Delle mie nozze, e fummo sposati. Mentre uscivo
- Con a braccio la sposa, un biglietto furtivo
- Mi scivolò fra mani. Non so perchè, ma tosto
- Rabbrividii, sentendolo. Mi trassi in un riposto
- Angolo e, pretestando qualche scusa, lo apersi
- E lo lessi.
- Maurizio
- Che vi era scritto?
- Gino
- Eran pochi versi,
- Ma buoni, che dicevano come il Duca, invaghito
- Di una nobil fanciulla, per poter più spedito
- Ottenerne le grazie, l'avesse maritata
- Con me, povero scemo, cui era destinata
- La splendida fortuna, a nessun'altra eguale,
- Di diventar poi padre di progenie reale.
- Maurizio
- Possibile!
- Gino
- Guardatemi. Son passati dieci anni,
- Dieci anni di miserie, di fatiche, di affanni,
- Ed al solo ricordo di quell'ora infernale
- La rabbia mi fa piangere come un fanciullo. Quale
- Mi rimanessi, lascio che pensiate. In un lampo
- Da tutti gli argomenti che aveva messo in campo
- Per indurmi alle nozze il mio tutore, emerse
- Una certezza orribile, luminosa. Diverse
- Minute circostanze, dapprima inosservate
- Mi tornarono a mente, rividi certe occhiate
- Cupide, dal Sovrano lanciate alla mia sposa,
- E mi trovai, fanciullo, in una spaventosa
- Solitudine, debole, abbandonato come
- Un lebbroso, ed inerme. Sentii che sul mio nome
- Pesavan trecent'anni di un onore illibato,
- E che quel prezïoso retaggio, accumulato
- Per me, mi si scioglieva fra le mani; che l'onte
- Serbate alla mia vita spruzzavano la fronte
- De' miei morti parenti, intemerata. Ormai
- Immaginate quello che è seguito: cercai
- Lo scampo nella fuga. Quale altra salvezza
- Mi rimaneva? Come, nella mia debolezza,
- A un Duca libertino e ad un parente infame
- Oppormi, e in faccia a tutti smascherarne le trame?
- Fuggii come un colpevole. Più tardi, quando il duro
- Travaglio della vita mi ebbe fatto sicuro
- Delle mie forze, avevo tanto disprezzo in core
- Che avrei stretta la mano persino al mio tutore.
- Eccovi la mia vita.
- Maurizio
- E da quel giorno in poi
- Non deste a vostra moglie più contezza di voi?
- Gino
- A che prò? L'Albavilla era morto e sepolto.
- Maurizio
- Avrete per lo meno indagato, raccolto
- Sul di lei conto...
- Gino
- Nulla. Mi dicevo che, onesta,
- Non mi avrebbe di certo perdonata la presta
- Fuga, e caduta... insomma non l'amavo.
- Maurizio
- Sapete
- Che essa vi odia!
- Gino
- Lo immagino.
- Maurizio
- Come avvenne che siete
- Tornato?
- Gino
- Per rimorso. Ora fa un mese ho appreso
- Ch'essa avea resistito al Duca, e avea difeso,
- A prezzo di sua pace, l'onor di quel casato
- Che io, uomo, a lei donna, da vile ho abbandonato.
- Maurizio
- Ed ora avete in animo...?
- Gino
- Amico mio, la fede
- Nel male viene molto in fretta, e retrocede
- Molto adagio. Alle prime, partii fuor di me stesso,
- Volevo rivederla, ottenermi permesso
- Di gettarmele ai piedi, d'implorarne il perdono...
- E poi... e poi... che farci?
- Maurizio
- Come?
- Gino
- Sì, lo so, io sono
- Il maggiore colpevole; aggiungo anche di più:
- Non spetta a lei la stregua della comun virtù.
- Ma l'onor non ragiona, e il danno meritato
- Non è perciò men danno nè perciò meno ingrato.
- Maurizio
- Ma non respinse il fasto quasi di una corona?
- Gino
- Spesso si nega al fasto quanto all'amor si dona.
- Maurizio
- Che...? Pensate...?
- Gino
- Non ditemi nulla, voi non fareste
- Che oltraggiarla. Alle donne che son davvero oneste
- Non occorre difesa. Potrei chiedervi come
- Pensiate vi sia lecito risponder nel suo nome.
- Maurizio
- Ma...
- Gino
- Son uomo di mondo, e benchè al dubbio incline,
- Se è vero, il ver che piace si fa strada alla fine.
- Mi era prima venuta un'idea troppo scaltra:
- Osservare mia moglie corteggiandone un'altra.
- Ma è meglio andar diretti. Caro conte, volete
- Presentarmi a mia moglie?
- Maurizio
- Io?
- Gino
- Voi la conoscete.
- Maurizio
- Sì... ma...
- Gino
- Voi, solo amico, voi, solo confidente
- Del mio secreto...
- Maurizio
- Grazie.
- Gino
- È inteso?
- Maurizio
- Veramente
- Io...
- Gino
- Che? Mi ricusate questo lieve favore?
- Che ne debbo pensare?
- Maurizio
- No... accetto di gran cuore.
- Gino
- Grazie.
- Maurizio
- Quando?
- Gino
- Domani. Ah, è inteso che il marito
- Scompare e che Albavilla si rifà Monfiorito.
- Maurizio
- Oh, senza dubbio.
- Gino
- Grazie.
- Maurizio
- Ed ora vi saluto.
- Gino
- Addio.
- Maurizio
- (tornando)
- Siete ben certo di non aver veduto
- In volto... quella dama...?
- Gino
- Del ventaglio? Vivete
- Pure tranquillo... e... buona fortuna.
- Maurizio
- Come siete
- Sospettoso!
- Gino
- No, vi auguro una buona fortuna.
- Maurizio
- Vi do la mia parola che non c'è sotto alcuna
- Malizia.
- Gino
- (accennando verso la sala da ballo)
- Ve lo credo. Eccola.
- Maurizio
- Chi?
- Gino
- La dama
- Del ventaglio.
- Maurizio
- Qui viene?
- Gino
- No, ma forse vi chiama.
- Guarda da questa parte: andate a farle omaggio.
- Maurizio
- Ma... vi assicuro...
- Gino
- Andiamo!
- Maurizio
- È uno scherzo.
- Gino
- Coraggio.
- Maurizio
- Lo volete? addio
- (esce)