Il libro dei versi/Georg Pfecher. An: Dom: 1517

Georg Pfecher. An: Dom: 1517

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Le foglie A G. I. Kraszewski
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GEORG PFECHER

An: Dom: 1517




Chi fu? sotto la mensola
D’un’arca antica e tetra
Di monaster, sul margine
Corroso d’una pietra,

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Lungo il grommoso muro,
Lessi quel nome oscuro
Scritto nell’ore prime
D’un secolo sublime.

Chi fu? perchè nell’anima
L’arido enigma è sorto,
Or che sul suo cadavere
L’ultimo verme è morto,
Or che l’avel si schiude
Sulle sue tibie nude,
Or che col suo lenzuolo
Fa il nido l’usignolo!

Scruta o sartor d’imagini.
Cerca del ver la cruna,
Cuci sul vecchio scheletro
Una zimarra bruna,
E quando avrai divino
Rifatto il manichino
Coll’irto stil descrivi
Quel buio morto ai vivi.

Sorgeva un’êra turgida
Di fole e di portenti,
Piovea luce e caligine
Sulle confuse genti,

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E un’avida cuccagna
Di genii e di calcagna
Avea sconvolto il fondo
Del lutulento mondo.

Fieri, ispirati, intrepidi,
Ravvolti in saio nero,
Già si vedean gli apostoli
Di Storck e di Lutero,
S’udian maledizioni,
Bestemmie ed orazioni
Di cupi anabatisti,
Di papi e d’anticristi.

Bajardo, quel fantastico
Guerrier senza paura,
Già la superba epigrafe
Scrivea sull’armadura;
Sghignazzava Aretino
Fra putte allegre e vino
E Kopernico intento
Frugava il firmamento.

E tu? povero monaco,
Di te fama non suona;
Passasti sotto i gotici
Tetti di Ratisbona

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E la tua vita brulla
Nel paese del Nulla
Disparì, vago vago
Come un flutto di lago.

Pur fosti un vivo e all’anima
Chiedevi alti responsi;
Invïdiavi agli uomini
L’onda dei crini intonsi,
E il vïolento corso
T’empìa de’ sogni e il morso
Del desiderio edàce.
Martire della pace!

E allor s’udiva a vespero,
Nel tempio ov’arde l’ara,
Un pio bisbiglio, un querulo
Mormorio di zanzàra;
Poi si scerneva un viso
Macro e col crin riciso,
quasi un morto in sudario,
Che diceva il rosario.

Talora intorno all’abside
Dalle dorate pale,
Le madonne di Mèckenen
Ti tentavano al male

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E allor la prece pia
Sul labbro tuo languìa,
Smagata dagl’incanti
Rei di quei volti santi.

Ma l’uom nol sa. Le Vergini
Non tradir quel mistero.
Il nome tuo tre secoli
Passò ignorato e mero,
Solo il trovar le biche
Dell’umili formiche
E la pupilla inqueta
D’un giovane poeta.

Ed eri forse un genio
A cui fallìa la gloria,
Un pazïente anonimo
Smascherator di storia,
Un creator d’orrende
Romantiche leggende
O del poema nero
Di Faust o d’Assuero.

Forse una ragna pendula
Fra due cippi romani
Ti rivelò il miracolo
Dei ponti americani,

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Forse per l’aura bruna
Vedendo errar la luna
Divinasti l’incauta
Magìa dell’areonauta.
 
Certo ti colse il torbido
Problema del futuro
Scavando i bei caratteri
Sovra l’antico muro;
Eri certo un poeta!
Eri certo un profeta!!
(O idea volgare e trista)
Eri forse un copista.


1862, Ratisbona