Il guarany/Parte Quarta/Capitolo I
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CAPITOLO I.
IL PENTIMENTO.
Quando Loredano si fu scostato dall’avventuriere che l’avea minacciato, chiamò quattro de’ suoi compagni in cui più confidava, e con loro si ritrasse nella cucina.
Chiuse la porta per poter più tranquillamente trattare di ciò ch’avea in animo, senza essere sturbato.
In quel breve istante avea fatto un cambiamento nel suo disegno della sera; le parole di minaccia poc’anzi proferite dall’avventuriere gli rivelarono che la scontentezza cominciava a serpeggiare.
Loredano non era uomo da arretrare dinanzi a un tale ostacolo, e lasciarsi frodar della speranza nutrita da tanto tempo.
Risolse di far presto le sue faccende, e di mandar ad effetto in quello stesso dì il suo intento: sei uomini forti e imperterriti bastavano per condurre a termine l’impresa che avea macchinata.
Chiusa che ebbe la porta, guidò i quattro avventurieri fino al luogo contiguo all’oratorio, ove l’altro continuava la sua opera di demolizione, minando la parete che li separava dalla famiglia.
— Amici, disse Loredano, siamo in condizione disperata; non abbiamo forza per resistere ai selvaggi, e giorno più giorno meno ci sarà d’uopo soccombere.
Gli avventurieri abbassarono il capo e non risposero; sapevano che quella era una triste verità.
— La morte che ci attende è orribile; serviremo di pasto a questi barbari che si nutrono di carne umana; i nostri corpi senza sepoltura sazieranno gl’istinti brutali di questa orda di cannibali!...
Una espressione d’orrore si pinse nella fisonomia di quegli uomini; un brivido corse loro per tutte le membra e penetrò fino al midollo delle ossa.
Loredano fermò un istante il suo sguardo perspicace sopra quei volti scomposti:
— Ho non pertanto un mezzo di salvarvi.
— Quale? dimandarono tutti ad una voce.
— Attendete. Posso salvarvi; ma ciò non vuol dire che sia disposto a farlo.
— Per qual ragione?
— Perchè... Perchè ogni servigio vuole il suo contraccambio.
— Che esigete dunque?
— Esigo che mi accompagniate, mi obbediate ciecamente, accada che vuol accadere.
— Potete viver sicuro, disse uno degli avventurieri; io rispondo pe’ miei compagni.
— Sì! sclamarono gli altri.
— Bene! Sapete quello che andiamo a fare adesso, in questo momento?
— No; ma cel direte.
— Ascoltate! Adesso demoliamo interamente questa parete, l’abbattiamo; entriamo nella sala, uccidiamo quanti ci si parano innanzi, eccettuata una sola persona.
— E questa persona...
— È la figlia di don Antonio de Mariz, Cecilia. Se alcuno di voi desidera l’altra, può prendersela, io ve la dono.
— E dopo ciò?
— Prendiam possesso della casa; riuniamo i nostri compagni e assaltiamo gli Aimorè.
— Ma questo non ci salverà, rispose uno degli avventurieri; poc’anzi diceste che non avevamo forza bastante per resister loro.
— Per certo! soggiunse Loredano: non resisteremo loro, ma ci salveremo.
— In che modo! dissero gli avventurieri con diffidenza.
Loredano sorrise.
— Quando dissi che assalteremo l’inimico, non parlai chiaro; volli dire che gli altri lo assalteranno.
— Non vi capiamo ancora; parlate più chiaro.
— Ebbene. Divideremo la nostra gente in due squadre; noi e qualche altro apparterremo ad una, che resterà sotto la mia obbedienza.
— Fin qui andiamo bene.
— Fatto questo, una delle squadre uscirà di casa per fare una sortita, nell’atto che gli altri assalteranno i selvaggi dall’alto della roccia; è uno stratagemma già vecchio e che dovete conoscere: mettere il nemico tra due fuochi.
— Avanti; continuate.
— Siccome l’affare della sortita è il più arrischiato e pericoloso, lo prendo sopra di me. Voi mi accompagnate e marciamo... Solamente che in luogo di muovere contro il nemico, corriamo al più vicino luogo popolato.
— Oh!... sclamarono gli avventurieri.
— Sotto pretesto che i selvaggi possono tagliarci l’entrata nella casa per alcuni giorni, portiamo con noi le provviste de’ viveri. Camminiamo senza posa, senza guardarci dietro; e vi prometto che ci salveremo.
— Un tradimento! gridò uno degli avventurieri, Mettere i nostri compagni in mano dei nemici!
— Che volete? La morte degli uni è necessaria per la vita degli altri; questo mondo è fatto così: non saremo noi quelli che lo emenderemo; lasciamo che vada com’è sempre andato.
— Giammai! Non faremo questo! È una viltà!
— Bene; rispose Loredano freddamente, fate ciò che vi aggrada. Rimanete, quando vi pentirete, sarà troppo tardi.
— Ma, ascoltate...
— No; non fate più conto sopra di me. Stimai di parlare ad uomini meritevoli ch’io m’occupassi di salvar loro la vita, ma veggo che mi sono ingannato. Addio.
— Se non fosse un tradimento...
— Che parlate di tradimento!... replicò Loredano con arroganza. Ditemi, credete che alcuno ci toglierà dallo stato in cui ci troviamo? Morremo tutti. E se è così, ben vale la cura che alcuno si salvi.
Gli avventurieri parvero scossi da cotesto argomento.
— Essi stessi, continuò Loredano, a meno che non fossero egoisti, non avrebbero diritto di querelarsene; e morrebbero colla soddisfazione di essere stati di alcun pro colla loro morte ai loro compagni, e non disutili, come accadrebbe, se tutti ci rimanessimo colle mani in mano.
— Così è: avete argomenti cui non si può resistere.
— Fate conto sopra di noi: riprese un avventuriere.
— Tuttavia avrei sempre un rimorso, disse un altro.
— Faremo dire una messa per le loro anime.
— Ben pensato! rispose Loredano.
Gli avventurieri si posero ad aiutare il loro compagno nella demolizione della parete, e Loredano si ritrasse da un canto.
Per qualche tempo accompagnò colla vista il lavoro di que’ cinque uomini; dipoi trasse un largo cinturino di lamine d’acciaio che gli stringeva la persona.
Dalla parte interna di quest’arnese ci avea una stretta apertura, d’onde estrasse una pergamena piegata per lo lungo; era il famoso itinerario delle miniere d’argento.
Rivedendo quella carta, tutto il suo passato gli si schierò davanti alla memoria, non per lasciarvi il rimorso, ma per eccitarlo ad andare in busca di quel tesoro che gli apparteneva, e di cui non poteva ancora godere.
Fu tolto dalla sua distrazione da uno degli avventurieri, che gli si era fatto da presso senza ch’ei se n’accorgesse, e che dopo aver guardato per un buon pezzo la carta, gli disse:
— Non possiamo gettar a terra la parete.
— Perchè? dimandò Loredano alzando la testa. È assicurata?
— Non è ciò; basta un urto; ma l’oratorio?
— Che c’entra l’oratorio?
— Che c’entra? I santi, le immagini sacre, benedette, non sono cose che si rovesciano al suolo! Se ci prendesse una sì dannata tentazione, chiederemmo a Dio che ce ne liberasse.
Loredano disperato per questo nuovo ostacolo, di cui conosceva la forza, passeggiava da un capo all’altro della sala.
— Stupidi! mormorava tra sè. Basta un pezzo di legno o un po’ d’argilla per farli indietreggiare! E pretendono di esser uomini! Animali senza intelligenza, che neppur hanno l’istinto della conservazione!...
Passarono alcuni minuti; gli avventurieri inoperosi aspettavano la risoluzione del loro capo.
— Avete paura di toccare i santi, disse Loredano facendosi avanti; ebbene, sarò io quello che abbatterà la parete. Continuate e avvertitemi quando n’è il tempo.
In questo intervallo gli altri avventurieri rimasti nello stanzone udirono dalla guardia ciò che essa avea saputo da mastro Nunes.
Allorchè seppero che Loredano era un frate spergiuro de’ suoi voti, si levarono furiosi in cerca di lui per lapidarlo.
— Che state per fare? gridò l’avventuriere. Non è così che deve finire; la sua morte ha da essere una punizione, una terribile punizione. Lasciatene a me la cura.
— A che altre dimore? rispose uno de’ suoi compagni.
— Vi prometto che non ci saranno indugi; oggi stesso sarà condannato; dimani riceverà il castigo de’ suoi misfatti.
— E perchè non adesso?
— Lasciamogli il tempo di pentirsi; bisogna che prima di morire provi il rimorso di ciò che fece.
Gli avventurieri decisero alfine di seguire questo consiglio, e aspettarono che Loredano comparisse per impadronirsene e condannarlo sommariamente. Scorse un buon intervallo di tempo, e Loredano non si vedeva; era quasi mezzodì.
Soffrivano duramente dalla sete; la loro provvisione d’acqua e di vino, già molto scemata dopo l’assedio dei selvaggi, trovavasi nella cucina, la cui porta era stata chiusa per di dentro da Loredano.
Fortunatamente scoprirono nella camera di lui alcune bottiglie di vino, che beverono fra risate e scherni, facendo brindisi al frate, che fra poco condannerebbero a morte.
Nel mezzo di quella ilarità alcune parole rivelavano il pentimento, che cominciava ed ammollire i loro petti; parlavano di andar per il perdono dal fidalgo, di riunirsi di nuovo a lui e di aiutarlo a battere il nemico.
Se non fosse stata la vergogna della cattiva azione che avean commessa, sarebbero corsi immediatamente a gettarsi a piedi di don Antonio de Mariz; ma risolsero di farlo quando l’autore principale della rivolta avesse pagato il fio del suo delitto.
Sarebbe questo il loro primo titolo al perdono che andavano ad implorare; sarebbe la prova della sincerità del loro pentimento.