Il giro del mondo in ottanta giorni/Capitolo XV

Capitolo XV

../Capitolo XIV ../Capitolo XVI IncludiIntestazione 27 dicembre 2022 25% Da definire

Capitolo XIV Capitolo XVI
[p. 103 modifica]

CAPITOLO XV.


Nel quale il sacco delle banconote si alleggerisce ancora di alcune migliaia di sterline.


Il treno si era fermato in stazione. Gambalesta scese pel primo dal vagone, e fu seguito dal signor Fogg, che aiutò la sua giovine compagna a por piede sullo scalo. Phileas Fogg intendeva recarsi direttamente al piroscafo di Hong-Kong, a fine di collocarvi comodamente mistress Auda cui non voleva abbandonare, finchè ella si trovasse in quel paese tanto pericoloso per lei.

Al momento in cui il signor Fogg stava per uscire dalla stazione, un policeman gli si avvicinò e disse:

«Il signor Phileas Fogg?

— Sono io.

— Quest’uomo è il vostro servo? aggiunse il policeman, additando Gambalesta.

— Sì.

— Compiacetevi di seguirmi entrambi.»

Il signor Fogg non fece un movimento che potesse dinotare in lui una sorpresa qualunque. Quell’agente era un rappresentante della legge, e, per o [p. 104 modifica]gni Inglese, la legge è sacra. Gambalesta con le sue abitudini francesi volle discutere, ma il policeman lo toccò con la sua bacchetta, e Phileas Fogg gli fe’ cenno d’obbedire.

«Questa giovane signora può accompagnarci? chiese il signor Fogg.

— Faccia pure,» rispose il policeman.

Il policeman condusse il signor Fogg, mistress Auda e Gambalesta verso un palki-ghari, specie di carrozza a quattro ruote ed a quattro posti, tirata da due cavalli. Si partì; nessuno parlò durante il tragitto, che durò venti minuti circa.

La carrozza percorse dapprima la «città nera,» dalle vie strette, fiancheggiate da casupole nelle quali brulicava una popolazione cosmopolita, sucida e cenciosa; indi attraversò la città europea, rallegrata da case di mattoni, ombreggiata da alberi di cocco, irta di filari di alberi in mezzo ai quali trascorrevano già, ad onta dell’ora mattutina, cavalieri eleganti e magnifici equipaggi.

Il palki-ghari si arrestò dinanzi ad una abitazione di apparenza semplice, ma che non doveva essere destinata agli usi domestici. Il policeman fece scendere i suoi prigionieri — si poteva davvero dar loro questo nome — e li condusse in una camera dalle finestre ad inferriate, dicendo loro:

«Alle otto e mezzo voi comparirete dinanzi al signor giudice Obadiah.»

Indi egli si ritirò e chiuse la porta.

«Ecco lì! siamo presi!» esclamò Gambalesta abbandonandosi sopra una sedia.

Mistress Auda, volgendosi subito al signo [p. 105 modifica]r Fogg, gli disse con voce di cui cercava invano di mascherare l’emozione:

«Signore, è forza abbandonarmi! È per me che siete inseguiti! Per avermi salvata!»

Phileas Fogg si contentò di rispondere che ciò non era possibile. Inseguito per quell’affare del sutty! Inammissibile! In che modo i querelanti oserebbero presentarsi? Doveva esserci equivoco. Il signor Fogg aggiunse che, in tutti i casi, egli non avrebbe abbandonata la giovine donna e l’avrebbe condotta a Hong-Kong.

«Ma il battello parte a mezzogiorno! fece osservare Gambalesta.

— Prima di mezzogiorno saremo a bordo,» rispose semplicemente l’impassibile gentleman.

Ciò fu affermato così ricisamente, che Gambalesta non potè a meno di dire a sè stesso:

Diamine! è certo! prima di mezzogiorno saremo a bordo!» Ma non era rassicurato niente affatto.

Alle otto e mezzo la porta della camera si aprì. Il policeman riapparve ed introdusse i suoi prigionieri nella sala vicina. Era una sala d’udienza, ed un pubblico alquanto numeroso, composto di Europei e d’indigeni, ne occupava già il pretorio.

Il signor Fogg, mistress Auda e Gambalesta sedettero sopra un banco di fronte ai seggi riservati al magistrato e al cancelliere.

Quel magistrato, il signor Obadiah, entrò quasi subito, seguito dal cancelliere. Era un uomo grosso e tondo tondo. Egli staccò una parrucca sospesa ad un chiodo e se la mise in testa lestamente.

«La prima causa, diss’egli.

Ma, portandosi la mano alla testa:

«Eh! non è la mia parrucca, diss’egli. [p. 106 modifica]

— Difatti, signor Obadiah, è la mia, rispose il cancelliere.

— Caro signor Oysterpuf! Come volete mai che un giudice possa pronunciare una buona sentenza con la parrucca di un cancelliere?

Lo scambio delle parrucche fu fatto. Durante questi preliminari, Gambalesta bolliva d’impazienza, chè la lancetta gli sembrava camminare terribilmente presto sul quadrante del grosso orologio del pretorio.

«La prima causa, ripigliò allora il giudice Obadiah.»

— Phileas Fogg? disse il cancelliere Oysterpuf.

— Eccomi, rispose il signor Fogg.

— Gambalesta?

— Presente! rispose Gambalesta.

— Bene! disse il giudice Obadiah. Son già due giorni, accusati, che vi si fa la posta a tutti i treni di Bombay.

— Ma di che ci accusano? esclamò Gambalesta impazientito.

— Ora lo saprete, rispose il giudice.

— Signore, disse allora Phileas Fogg, io sono cittadino inglese, ed ho il diritto....

— Vi venne forse mancato di riguardi? chiese il signor Obadiah.

— Per nulla affatto.

— Bene! fate entrare i querelanti.»

Dietro ordine del giudice, una porta si aprì, e tre sacerdoti indù furono introdotti da un usciere.

«Proprio così! mormorò Gambalesta, sono quei bricconi che volevano abbruciare la nostra giovane signora!»

I sacerdoti si tennero in piedi dinanzi al giudice, e il cancelliere lesse ad alta voce una querela per sacrilegio, formulata contro il signor Phileas Fogg ed [p. 107 modifica]il suo servo, accusati di aver violato un luogo consacrato dalla religione braminica.

«Avete udito? chiese il giudice a Phileas Fogg.

— Sì, signore, rispose il signor Fogg, consultando il suo orologio, e confesso.

— Ah! voi confessate?...

— Io confesso, ed aspetto che quei tre sacerdoti confessino a loro volta che volevano fare alla pagoda di Pillaij.»

I sacerdoti si guardarono in faccia. Pareva non intendessero nulla delle parole dell’accusato.

«Senza dubbio! esclamò impetuosamente Gambalesta, a quella pagoda di Pillaji, dinanzi a cui stavano per abbruciare la loro vittima!»

Nuova stupefazione dei sacerdoti, e profonda sorpresa del giudice Obadiah.

«Quale vittima? chiese egli. Abbruciare chi? in piena città di Bombay?

— Bombay! esclamò Gambalesta.

— Senza dubbio. Non si tratta già della pagoda di Pillaji, ma della pagoda di Malebar-hill, a Bombay.

— E come corpo di reato, ecco le scarpe del profanatore, aggiunse il cancelliere deponendo un paio di scarpe sulla sua scrivania.

— Le mie scarpe!» esclamò Gambalesta, che fuori di sè dalla sorpresa, non potè rattenere quella involontaria esclamazione.

Ognuno indovina la confusione che erasi operata nella mente del padrone e del servo. Quell’incidente della pagoda di Bombay essi l’avevano dimenticato, ed era proprio quello che li traeva dinanzi al magistrato di Calcutta.

Infatti, l’agente Fix aveva compreso tutto il [p. 108 modifica]vantaggio che poteva trarre da quel malaugurato caso. Ritardando la sua partenza di dodici ore, egli aveva tenuto consiglio coi sacerdoti di Malebar-hill; aveva loro promesso un indennizzo considerevole, sapendo bene che il governo inglese si mostrava severissimo per quel genere di delitti; indi col treno successivo li aveva lanciati sulle tracce del sacrilego. Ma a cagione del tempo impiegato alla liberazione della giovane vedova, Fix e gli Indù giunsero a Calcutta prima del signor Fogg e del suo servo, che i magistrati avvisati per dispaccio dovevano arrestare alla loro discesa dal treno. Figuratevi il dispetto di Fix, allorchè seppe che Phileas Fogg non era ancora giunto nella capitale dell’India! Egli dovette credere che il suo ladro, fermandosi ad una delle stazioni del Peninsular railway, si era rifugiato nelle provincie settentrionali. Durante ventiquattr’ore, in mezzo a mortali inquietudini, Fix lo appostò alla stazione. Quale fu dunque la sua gioia allorchè quella mattina stessa lo vide scendere dal vagone in compagnia, vero è, di una giovane donna, di cui non poteva spiegarsi la presenza. Subito gli lanciò addosso il policeman, ed ecco come il signor Fogg, Gambalesta e la vedova del rajà del Bundelkund furono tratti dinanzi al giudice Obadiah.

E se Gambalesta fosse stato meno preoccupato del fatto suo, avrebbe scorto, nell’angolo del pretorio, il detective che seguiva il dibattimento con un interesse facile a comprendere, poichè a Calcutta, come a Bombay, come a Suez, il mandato d’arresto gli mancava ancora.

Però, il giudice Obadiah aveva preso atto della confessione di Gambalesta, che avrebbe dato tutto quello che possedeva per ritirare le sue imprudenti parole. [p. 109 modifica]

«I fatti sono confessati? disse il giudice.

— Confessati, rispose freddamente il signor Fogg.

— Ritenuto, ripigliò il giudice, ritenuto che la legge inglese, intende proteggere ugualmente tutte le religioni delle popolazioni dell’India, il reato essendo confessato dal signor Gambalesta, convinto di aver violato con piede sacrilego il lastrico della pagoda di Malebar-hill, a Bombay, nella giornata del 20 ottobre, condanno il detto Gambalesta a quindici giorni di carcere e ad una multa di trecento sterline (7,500).

— Trecento sterline? esclamò Gambalesta, che non era veramente sensibile che alla multa.

— Silenzio! disse l’usciere con voce stridente.

— E, soggiunse il giudice Obadiah, ritenuto che non è materialmente provato che non ci sia stata connivenza tra il servo e il padrone, che in ogni caso quest’ultimo deve essere tenuto responsabile dei fatti e dei gesti di un servo a’ suoi stipendii, dichiara colpevole il detto Phileas Fogg e lo condanna ad otto giorni di carcere e centocinquanta sterline di ammenda. Cancelliere, chiamate un’altra causa!»

Fix, nel suo angolo, provava un’indicibile soddisfazione. Phileas Fogg, trattenuto otto giorni a Calcutta, era più di quanto occorreva per dare al mandato il tempo di giungergli.

Gambalesta era stordito. Quella condanna rovinava il suo padrone. Una scommessa di ventimila sterline perduta, e tutto ciò perchè, da vero balordo, egli era entrato in quella maledetta pagoda!

Phileas Fogg, tanto padrone di sè come se quella condanna non lo concernesse, non aveva neppure corrugato il sopracciglio. Ma, al momento in cui il cancelliere chiamava un’altra causa, si alzò e disse: [p. 110 modifica]

«Offro cauzione.

— È nel vostro diritto,» rispose il giudice.

Fix si sentì agghiadare, ma tirò il fiato quando udì il giudice, «vista la qualità di stranieri di Phileas Fogg e del suo servo, fissare la cauzione per ciascun d’essi alla somma enorme di mille sterline (25,000 franchi).

Sarebbe stata una spesa di duemila sterline per Phileas Fogg, se non purgava la sua condanna.

«Io pago,» disse il nostro gentleman.

E dal sacco che portava Gambalesta estrasse un pacco di banconote che depose sulla scrivania del cancelliere.

«Questa somma vi sarà restituita alla vostra uscita dal carcere, disse il giudice. Frattanto, voi siete libero sotto cauzione.

— Venite, disse Phileas Fogg al suo servo.

— Ma almeno restituiscano le scarpe! esclamò Gambalesta con un movimento d’ira.

Gli restituirono le sue scarpe.

«Queste sì che costano caro! mormorò egli. Più di mille sterline l’una! Senza dire che mi calzano male!»

Gambalesta, mogio, mogio, come un cane bastonato, seguì Fogg, che aveva offerto il suo braccio alla giovine donna. Fix sperava ancora che il suo ladro non si deciderebbe mai ad abbandonare quella somma di duemila sterline e che farebbe i suoi otto giorni di prigione. Si gettò dunque sulle tracce di Fogg.

Il signor Fogg prese una carrozza, nella quale salirono subito mistress Auda, Gambalesta e lui. Fix corse dietro la carrozza che si fermò poco dopo sopra uno dei moli della città.

A mezzo miglio in rada il Rangoon era ancorato con la bandiera di partenza alzata in testa a [p. 111 modifica]ll’albero. Undici ore suonavano. Il signor Fogg era in anticipazione di un’ora. Fix lo vide scendere dalla carrozza ed imbarcarsi in una lancia con mistress Auda e il suo servo. Il detective battè il piede a terra.

«Oh! il furfante! esclamò, ei parte! Duemila sterline sacrificate! Prodigo come un ladro! Ah! gli terrò dietro sin in capo al mondo, se occorre; ma di questo passo, egli darà fondo a tutto il denaro del furto!»

La riflessione dell’ispettore di polizia era perfettamente ragionevole. Infatti, da quando aveva lasciato Londra, tra spese di viaggio e in premi, in compera d’elefante, in cauzioni e in multa, Phileas Fogg aveva già seminato più di cinquemila sterline (125,000 franchi), sulla sua strada; e il tanto per cento della somma ricuperata, destinato ai detectives, andava diminuendo sempre!