Il giornalino di Gian Burrasca/6 febbraio
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6 febbraio.
È vicina la sveglia, giornalino mio, e io ho molti fatti da registrare. Prima di tutto una lieta notizia: i convittori del collegio Pierpaoli non mangeranno più minestra di riso per un pezzo!
Iersera, quando tutti dormivano, io che stavo sull’attenti sentii nella porta del dormitorio un lieve sgretolo a più riprese, come quello di un tarlo. Era il segnale convenuto: il Michelozzi raschiava la porta con l’unghia per avvertirmi di portar fuori il bottiglione pieno di petrolio, ciò che io feci in un batter d’occhio.
Egli lo prese e porgendomi la mano mi sussurrò in un orecchio:
- Vieni dietro a me rasentando il muro... -
Che palpiti nell’avventurarsi così, nel buio dei corridoi, fermandosi in ascolto a ogni più lieve rumore, trattenendo il respiro...
A un certo punto, sboccando da un corridoio stretto stretto, la scena fu rischiarata da una finestra le cui imposte erano aperte, e ci fermammo dinanzi a una porticina nascosta nel muro.
- Il magazzino! - mormorò il Michelozzi. - Prendi questa chiave... È quella del gabinetto di fisica e apre benissimo anche questa porta... Fa’ piano... -
Presi la chiave, la introdussi pian piano e la girai nella serratura adagino adagino... La porticina si aprì ed entrammo.
Il magazzino era fiocamente illuminato dal chiarore che veniva da un finestrino aperto sulla parete difaccia alla porta, in alto; e a quella luce incerta vedemmo da un lato una fila di balle aperte, con della roba bianca...
Vi misi le mani; era il riso, quell’odiato riso che nel collegio Pierpaoli ci era servito a tutti i pasti, tutti i giorni, meno il Venerdi e la domenica...
- Aiutami! - mormorò il Michelozzi.
Lo aiutai ad alzare il bottiglione, e giù! innaffiammo ben bene le balle col petrolio.
- Ecco fatto! - aggiunse il mio compagno posando il bottiglione in terra e incamminandosi verso l’uscita. - E ora quella bella provvista di riso posson farsela fritta. -
Io non risposi. Avevo adocchiato un sacco di fichi secchi e me ne ero empite già le tasche e la bocca.
Dopo aver richiusa la porticina tornammo cautamente per la strada già fatta e ci separammo dinanzi al mio dormitorio.
- Tutto è andato bene! - disse a bassa voce il Michelozzi - e abbiamo reso un grande servigio a tutti i nostri compagni. Ora vo a riportare la chiave del gabinetto di fisica al suo posto e poi a letto... Uno per tutti!
- Tutti per uno! - e ci stringemmo la mano.
Io zitto zitto andai a letto; ma ero così commosso per questa avventurosa spedizione notturna che non potevo prender sonno.
Alla fine mi decisi a ripigliare il mio lavoro dentro l’armadietto; il segnale col quale il Michelozzi mi aveva prima annunziato la sua presenza mi aveva suggerito il modo di forare senza pericolo la tela che rendeva inutile il mio osservatorio.
Ma prima di accingermi a tal lavoro ho voluto allargare la buca, e adoperando con tutta la prudenza possibile lo scalpello nelle connessiture dei quattro lati di un mattone riuscii a indebolirlo talmente che finì con lo staccarsi.
Ora avevo dinanzi a me un vero e proprio finestrino che potevo a mio talento richiudere e riaprire, rimettendo o rilevando il mattone, a seconda del bisogno.
Restava a bucar la tela che vi era dinanzi. Un po’ con l’unghie e un po’ con lo scalpello mi misi a grattarla a riprese cadenzate, pensando:
- Anche se di dentro sentono questo rumore crederanno che sia un tarlo e io potrò seguitare il mio lavoro fino a che non abbia raggiunto lo scopo. Difatti ho seguitato a grattare finché non ho sentito, tastando col dito sulla tela, un forellino... Ma nella stanza che era oggetto di tante faticose ricerche da parte di Maurizio Del ponte v’era buio perfetto.
Allora, non essendovi per il momento altro da fare, me ne ritornai a letto soddisfatto del mio lavoro.
In verità la mia coscienza non poteva rimproverarmi di essermi abbandonato all’ozio che è il padre dei vizii... e io mi addormentai placidamente pregustando già in sogno le grandi sorprese che mi riserba questo mio osservatorio che mi costa tanti sudori e per il quale ho perduto tanti sonni...
Non mi par vero d’arrivare a stasera!
Evviva, evviva!...
Oggi a desinare si è finalmente cambiato minestra!... Abbiamo avuto una eccellente pappa col pomodoro alla quale le ventisei bocche dei convittori dei collegio Pierpaoli han rivolto con ventisei sorrisi il più caldo e unanime saluto...
Noi della Società segreta ci si guardava ogni tanto con un sorriso diverso da tutti gli altri perché sapevamo il mistero di questo improvviso cambiamento.
Chi sa che tragedia era successa in cucina!...
La signora Geltrude girava attorno alla tavola con gli occhi iniettati di sangue che pareva una belva, volgendo lo sguardo qua e là sospettosamente...
Per me e per Mario Michelozzi è stata una grande soddisfazione quella di aver fatto cambiar regime ai nostri pasti, e ripensando alla nostra audace spedizione di stanotte, ai pericoli affrontati con tanto sangue freddo, mi par d’essere uno degli eroi di quelle imprese gloriose che si trovano in tutto le storie di tutti i popoli e che a farle devono essere state molto divertenti per chi le ha fatte, quanto sono noiose a leggerle per i poveri scolari perché devono poi impararle a mente con tutte le date...
E alla fin dei conti non si tratta forse, sia pure in un campo più ristretto, delle medesime cause e dei medesimi fatti nei quali chi ha più core e più coraggio si sacrifica per il bene comune?
Anche nelle storie delle nazioni ci sono i popoli che ogni tanto si stancano d’aver sempre minestra di riso, e allora avvengono le congiure, i complotti, e saltan fuori i Michelozzi e gli Stoppani che affrontano i pericoli finché per la loro abnegazione, non si passa alla pappa al pomodoro...
Che fa se il popolo ignora chi è stato che ha fatto cambiar minestra? A noi ci basta la coscienza d’aver fatto quel che abbiamo fatto per la felicità di tutti.
Però gli altri soci della nostra Società segreta ci han fatto molta festa, a me e al Michelozzi, per la riuscita dell’impresa, e Tito Barozzo stringendoci la mano ci ha detto:
- Bravi! Vi nomineremo i nostri petrolieri d’onore!... -
Intanto Maurizio Del Ponte ci ha fatto una comunicazione molto importante.
- Ho visto la stanza sulla quale il nostro bravo Stoppani ha aperto il suo finestrino che ci sarà di una utilità incalcolabile. Ho potuto penetrarvi perché in questi giorni i muratori stanno rifacendovi un pezzo d’impiantito. È la sala particolare della direzione, quella dove il signor Stanislao e la signora Geltrude ricevono le persone più intime e di riguardo. Questa stanza a destra comunica con l’ufficio di direzione e a sinistra con la camera da letto dei coniugi direttori. In quanto al quadro che impedisce al nostro Stoppani di spingere lo sguardo su questa importante piazza nemica, è il grande ritratto a olio del professor Pierpaolo Pierpaoli, benemerito fondatore di questo collegio, zio della signora Geltrude alla quale passò in eredità... -
Benissimo!
Stasera mi godrò dunque lo spettacolo nella sala riservata di Pierpaolo Pierpaoli buonanima, dal mio palchetto su all’ultimo ordine stando comodamente sdraiato nel mio armadietto.
- Come vorremmo essere al tuo posto! - mi hanno detto i compagni della Società Uno per tutti e tutti per uno.