Il giornalino di Gian Burrasca/29 gennaio
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29 gennaio.
È una settimana, giornalino mio, che non ho scritto più un rigo in queste tue pagine, nelle quali in questi giorni avrei avuto pur tante cose tristi e comiche da confidare e anche tante lacrime da versare!...
Ma qui, in questo stabilimento carcerario che chiamano collegio, non siamo mai soli, neppure quando si dorme, e la libertà non penetra mai per nessuno, neppure per un minuto secondo...
Il direttore si chiama il signor Stanislao ed è un uomo secco secco e lungo lungo, con due gran baffoni brizzolati che quando s’arrabbia gli treman tutti, e con una zazzera di capelli nerissimi che gli vengono in avanti appiccicati sulle tempie e che gli dànno l’aria di un grand’uomo, ma dei tempi passati.
È un tipo militare, che parla sempre a forza di comandi e facendo gli occhi terribili.
- Stoppani, - mi ha detto un paio di giorni fa - stasera starete a pane e acqua! Per fianco destro... March! -
E questo, perché? Perché mi aveva sorpreso nel corridoio che conduce alla sala di ginnastica mentre scrivevo col carbone sul muro: Abbasso i tiranni!
Più tardi la direttrice mi disse:
- Sei un sudicione e un malvagio. Sudicione perché hai sporcato il muro, e malvagio perché offendi le persone che cercano di farti del bene correggendoti. Chi hai voluto indicare come tiranni? Sentiamo...
- Uno è Federigo Barbarossa, - risposi pronto - un altro è Galeazzo Visconti, un altro è il generale Radeschi, e un altro è...
- Siete anche un impertinente, ecco tutto! Andate in classe subito! -
Questa direttrice non capisce nulla; invece d’aver piacere chi io mi appassioni contro i peggiori personaggi della storia patria, s’è messa in testa, da quella volta, che io la canzoni, e non mi leva mai gli occhi di dosso.
La direttrice si chiama la signora Geltrude ed è la moglie del signor Stanislao, ma è un tipo tutto diverso da lui. È bassa bassa e grassa grassa, con un naso rosso rosso, e declama sempre, e fa dei grandi discorsi per delle cose da nulla, e non si cheta mai un minuto, corre per tutto e discorre con tutti e su tutto e su tutti trova a ridire.
Gli insegnanti che fanno lezione alle diverse classi sono tutti dipendenti dal direttore e dalla direttrice e paion loro servitori. Il professore di francese arriva perfino a baciare la mano alla signora Geltrude tutte le mattine quando le dà il buon giorno e tutte le sere quando le dà la buona sera; e il professore di matematiche dice sempre al Signor Stanislao quando va via: "Servo suo, signor direttore!"
Noi collegiali siamo ventisei in tutti: otto grandi, dodici mezzani e sei piccoli. Io sono il più piccino di tutti. Si dorme in tre camerate, una accanto all’altra, si mangia tutti in un gran salone, due pasti al giorno e la mattina il caffè e latte col pane inzuppato, ma senza burro e sempre con poco zucchero.
Il primo giorno a desinare vedendo venir la minestra di riso esclamai:
- Meno male! Il riso mi piace moltissimo... -
Un ragazzo di quelli grandi che sta di posto accanto a me (perché a tavola ci mettono sempre alternati, uno piccino e uno più grande) e che si chiama Tito Barozzo ed è napoletano, dètte in una gran risata e disse:
- Tra una settimana non dirai più così! -
Io allora non capii niente, ma ora ho compreso benissimo il significato dì quelle parole.
Sono sette giorni che sono qui e, meno l’altro ieri che era venerdì, si è sempre mangiato la minestra di riso due volte al giorno...
Mi è venuta così a noia, che l’idea di una minestra di capellini, che prima mi era così antipatica, ora mi manda tutto in solluchero!...
Oh mamma mia, cara mammina che mi facevi fare spesso da Caterina gli spaghetti con l’acciugata che mi piacciono tanto, chi sa come ti dispiacerebbe se tu sapessi che il tuo Giannino in collegio è obbligato a mangiare dodici minestre di riso in una settimana!