Il giornalino di Gian Burrasca/1 febbraio

1 febbraio

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29 gennaio 2 febbraio


1 febbraio.

È appena giorno e io che mi sono svegliato presto ne profitto per continuare a registrare le mie memorie nel mio caro giornalino, mentre i miei cinque compagni dormono della grossa.

In questi due giorni passati ho due fatti notevoli da narrare: una condanna alla prigione e la scoperta della ricetta per fare un’eccellente minestra di magro.

Ieri l’altro dunque, cioè il 30 Gennaio, dopo colazione, mentre stavo chiacchierando con Tito Barozzo, un altro collegiale grande, un certo Carlo Pezzi, gli si accostò e gli disse sottovoce:

- Nello stanzino ci son le nuvole...

- Ho capito! - rispose il Barozzo strizzando un occhio.

E poco dopo mi disse: - Addio, Stoppani, vo a studiare - e se n’andò dalla parte dove era andato il Pezzi.

Io che avevo capito che quella d’andare a studiare era una scusa bella e buona e che invece il Barozzo era andato nello stanzino accennato prima dal Pezzi, fui preso da una grande curiosità e, senza parere, lo seguii pensando:

- Voglio vedere le nuvole anch’io. -

E arrivato a una porticina dove avevo visto sparire il mio compagno di tavola, la spinsi e... capii ogni cosa.

In una piccola stanzetta che serviva per pulire e assettare i lumi a petrolio (ve n’erano due file da una parte, e in un angolo una gran cassetta di zinco piena di petrolio e cenci e spazzolini su una panca) stavano quattro collegiali grandi che nel vedermi, si rimescolarono tutti, e vidi che uno, un certo Mario Michelozzi, cercava di nascondere qualcosa...

Ma c’era poco da nascondere, perché le nuvole dicevano tutto; la stanza era piena di fumo e il fumo si sentiva subito che era di sigaro toscano.

- Perché sei venuto qui? - disse il Pezzi con aria minacciosa.

- Oh bella! Son venuto a fumare anch’io.

- No, no! - saltò a dire il Barozzo. - Egli non è avvezzo... gli farebbe male, e così tutto sarebbe scoperto.

- Va bene: allora starò a veder fumare.

- Bada bene però, - disse un certo Maurizio Del Ponte. - Guai se...

- Io, per tua regola - lo interruppi con alterezza, avendo capito quel che voleva dire - la spia non l’ho mai fatta e spero bene! -

Allora il Michelozzi che era rimasto sempre prudentemente con le mani didietro, tirò fuori un sigaro toscano ancora acceso, se lo cacciò avidamente tra le labbra, tirò due o tre boccate e lo passò al Pezzi che fece lo stesso passandolo poi al Barozzo che ripeté la medesima funzione passandolo al Del Ponte che, dopo le tre boccate di regola, lo rese al Michelozzi... e così si ripeté il passaggio parecchie volte, finché il sigaro fu ridotto a una misera cicca e la stanza era così piena di fumo che ci si asfissiava...

- Apri il finestrino! - disse il Pezzi al Michelozzi. E questi si era mosso per eseguire il saggio consiglio quando il Del Ponte esclamò:

- Calpurnio! -

E si precipitò fuori della stanza seguito dagli altri tre.

Io, sorpreso da quella parola ignorata, indugiai un po’ nella istintiva ricerca del suo misterioso significato, pur comprendendo ch’era un segnale di pericolo; e quando a brevissima distanza dagli altri feci per uscir dalla porticina, mi trovai a faccia a faccia col signor Stanislao in persona che mi afferrò per il petto con la destra e mi ricacciò indietro esclamando:

- Che cosa succede qua? -

Ma non ebbe bisogno di nessuna risposta; appena dentro la stanza comprese perfettamente quel che era successo e con due occhi da spiritato, mentre gli tremavano i baffi scompigliati dall’ira, tonò:

- Ah, si fuma! Si fuma, e dove si fuma? Nella stanza del petrolio, a rischio di far saltar l’istituto! Sangue d’un drago! E chi ha fumato? Hai fumato tu? Fa’ sentire il fiato... march! -

E si chinò giù mettendomi il viso contro il viso in modo che i suoi baffoni grigi mi facevano il pizzicorino nelle gote. Io eseguii l’ordine facendogli un gran sospiro sul naso ed egli si rialzò dicendo:

- Tu no... difatti sei troppo piccolo. Hanno fumato i grandi... quelli che sono scappati di qui quando io imboccavo il corridoio. E chi erano? Svelto... march!

- Io non lo so.

- Non lo sai? Come! Ma se erano qui con te!

- Sì, erano con me... ma io non li ho visti... Sa, con questo fumo!... -

A queste parole i baffi del signor Stanislao incominciarono a ballare una ridda infernale.

- Ah! Sangue di un drago! Tu ardisci rispondere così al direttore? In prigione! In prigione! March! -

E afferratomi per un braccio mi portò via, chiamò un bidello e gli disse:

- In prigione fino a nuov’ordine! -

#

La prigione è una stanzetta su per giù come quella dei lumi a petrolio, ma più alta della metà, e c’è una finestra lassù per aria, con una barra di ferro che le dà, proprio l’aspetto triste di una prigione.

Fui serrato lì dentro a catenaccio, e vi rimasi solo con ì miei pensieri finché non venne a farmi visita la signora Geltrude la quale mi fece una lunga predica sul pericolo dell’incendio che avrebbe potuto succedere se il fuoco del sigaro si fosse appiccato al petrolio, e seguitò a declamare per un bel pezzo per finire poi, con voce patetica, a scongiurarmi di dire a lei la verità, assicurandomi che non era per dare delle punizioni ai colpevoli, ma per prendere delle precauzioni nell’interesse di tutti...

Io naturalmente seguitai a dire che non sapevo niente e che non avrei detto niente mai, anche se mi avessero tenuto in prigione per una settimana, che dopo tutto era meglio stare a pane e acqua che essere obbligati a mangiar la minestra di riso due volte al giorno...

La direttrice se ne andò tutta invelenita dicendomi con voce drammatica:

- Vuoi essere trattato con tutto il rigore? Tal sia di te! -

Rimasto solo daccapo, mi sdraiai sul lettuccio che era in un canto della prigione e non tardai ad addormentarmi perché era già tardi e io ero stanco da tante emozioni.

La mattina dopo, cioè iermattina, mi svegliai di lietissimo umore.

Il mio pensiero, considerando i miei casi, corse ai tempi delle cospirazioni, quando i patriotti italiani marcivano nelle prigioni piuttosto che dire i nomi dei congiurati ai tedeschi, e mi sentivo pieno d’allegria, e avrei voluto magari che la prigione fosse stata più stretta e magari anche umida, e con qualche topo.

Però, in mancanza di topi, c’era qualche ragno, e io mi misi in testa di ammaestrarne uno, come Silvio Pellico, e mi misi all’opera con tutto l’impegno, ma dovetti smettere. Non so se dipenda perché i ragni d’allora fossero più intelligenti di quelli d’ora o perché i ragni di collegio siano più zucconi degli altri, ma il fatto è che quel maledetto ragno faceva tutto il contrario di quel che gli dicevo dì fare, e mi fece tanto arabbiare che da ultimo lo schiacciai con un piede.

Allora mi venne in mente che, se avessi potuto chiamare dalla finestra qualche passerotto, sarebbe stato molto più facile di ammaestrarlo; ma la finestra era così alta!...

Non so che cosa avrei dato per potere arrampicarmi su quella finestrino; e a furia di pensarci mi era venuto come una frenesia e non potevo più star fermo, né mi riusciva di levarmi dal cervello quell’idea...

Cominciai dal trascinare il lettuccio sotto la finestra per diminuirne la distanza; poi presi un pezzo di corda che avevo in tasca, levai la cinghia dei calzoni e l’aggiunsi a quella... Ma con tutt’e due si arrivava appena alla metà dell’altezza cui era posta la finestra. Allora mi cavai la camicia, la strappai a strisce, che attorcigliai a uso fune e che aggiunsi alla corda che avevo già; ne venne una corda assai lunga che lanciai mirando alla finestra. Ora ci arrivava, ma occorreva una lunghezza maggiore per farne ritornar giù una parte dopo averla fatta passare sulla sbarra che era nel mezzo alla finestra. Mi cavai anche le mutande delle quali feci altre strisce che aggiunsi alle altre. Cosi ottenni una corda sufficiente a tentare la scalata che mi ero prefisso di dare alla finestra.

Da un capo di essa attaccai una scarpa; e incominciai i miei esercizi di tiro a segno lanciando con la destra la scarpa contro la barra di ferro e tenendo nella sinistra l’altro capo della corda.

Quanti vani tentativi! Non avevo orologio per calcolare quanto tempo occupassi in questo lavoro, ma potevo giudicarne la durata dal sudore che mi bagnava tutto per la fatica.

Finalmente mi riuscì di fare in modo che la scarpa lanciata al disopra della sbarra girasse al di sotto, ritornando dentro la stanza; e dopo, piano piano, a forza di piccole e prudenti scosse date con la parte di corda che avevo in mano mi riuscì di far calare giù l’altro capo tanto da arrivare ad acchiapparlo.

Che felicità! Su quella doppia corda mi arrampicai su fino alla finestra, dove mi riescì di accoccolarmi, alla meglio, e salutai il cielo che mai mi era parso così limpido e così bello come in quel momento.

Ma oltre alla bellezza del cielo che scorgevo al disopra di me mi commosse l’animo un grato odorino di soffritto che veniva dal di sotto... La finestrina, infatti, dava sul cortiletto della cucina in un angolo del quale era una enorme caldaia piena d’acqua bollente.

Allora mi ricordai che era venerdì, il giorno sacro alla famosa minestra di magro che in mezzo a tutte le minestre di riso della settimana veniva ad allietare i nostri stomachi, a quella eccellente minestra di magro così saporita e che pareva riunire in sé le fragranze più care dell’umano palato...

Mi sentivo venir l’acquolina in bocca e una grande malinconia mi scendeva giù nella desolata solitudine delle mie povere budella...

Fortunatamente questo atroce supplizio durò poco, perché ogni desiderio mi sparì come per incanto dallo stomaco appena scoprii la ricetta con la quale il cuoco del collegio faceva la sua ottima minestra di magro.

Stando appollaiato sulla finestra avevo visto più volte andare e venire lo sguattero, un ragazzettaccio che da quel che capii era stato preso da poco perché sentivo il cuoco che gli diceva continuamente: - Fa’ così, fa’ cosà, piglia qui, piglia là - e gli insegnava tutto quel che aveva a fare e dove stavano gli utensili e come dovevano essere adoperati...

- Tutti i piatti sudici di ieri, - gli domandò a un certo punto il cuoco - dove gli hai messi?

- Lassù su quell’asse come mi diceste voi.

- Benone! Ora rigovernali nella solita caldaia dove hai rigovernato ieri e ier l’altro, ché l’acqua calda dev’essere al punto giusto... E poi risciacquali come le altre volte nell’acqua pulita. -

Lo sguattero portò tutti i piatti sudici nel cortiletto e a due a due li fece scivolare dentro il caldaione dell’acqua calda. Poi si mise a tirarli su, a uno per volta, sciaguattandoli e strisciandovi sopra l’indice della destra steso per levarvi bene l’unto...

Quand’ebbe tirato su l’ultimo piatto, lo sguattero esclamò immergendo la mano nella caldaia:

- Che brodo! Si taglia col coltello!...

- Benone! - disse il cuoco comparendo sull’uscio della cucina. - Gli è come deve essere per la minestra d’oggi. -

Lo sguattero sgranò tanto d’occhi, proprio come feci io lassù sul mio osservatorio.

- Come! La minestra d’oggi?

- Sicuro! - spiegò il cuoco, accostandosi al caldaione. - Questo è il brodo per la minestra di magro alla casalinga del venerdì che piace tanto a tutte queste carogne di ragazzi. Capirai! Qui ci son tutti i sapori...

- Sfido io! Ci ho rigovernato i piatti di due giorni di seguito...

- E prima che tu venissi tu c’erano stati rigovernati i piatti d’altri due giorni... Insomma, per tu’ regola, in questa caldaia si comincia a rigovernar la domenica e si dura fino al giovedì, sempre nella medesima acqua; e capirai bene che quando si arriva al venerdì l’acqua non è più acqua, ma è un brodo da leccarsi i baffi...

- Vo’ direte bene, - disse lo sguattero sputando - ma io i baffi non me li voglio leccare un accidente...

- Grullaccio! - ribatté il cuoco. - Ti par’egli che noi si mangi di questa roba? Il personale di cucina mangia la minestra speciale che si fa per il direttore e per la direttrice...

- Ah! - fece lo sguattero, tirando un gran respiro di sollievo.

- Ora, via: portiamo la caldaia sul fuoco, che c’è già il pane bell’e affettato e il soffritto è pronto. E tu impara il mestiere, e mosca! Il personale di cucina, questo te l’ho già spiegato, non deve mai far parola con nessuno al mondo di quel che si fa intorno ai fornelli. Hai capito? -

E, uno da una parte uno dall’altra, afferrarono la caldaia e l’alzarono di peso; ma allo sguattero nel chinarsi cadde nella caldaia il berrettaccio tutt’unto che aveva in testa, ed egli fermatosi dette in una grande risata e ritiratolo su strizzandovelo dentro esclamò:

- Gua’! Ora gli è anche più saporito di prima! -

A questo punto non ne potetti più dallo schifo e dall’ira: e cavatomi la scarpa rimastomi in piedi la tirai giù con forza nella caldaia urlando.

- Porci! allora metteteci anche questa!... -

Il cuoco e lo sguattero si voltarono in su, come due spiritati, e mi par di vedere anche ora quei quattro occhi dilatati, fissi su me in una comica espressione di maraviglia e di sgomento.

Io intanto seguitavo a lanciar loro tutti i titoli che si meritavano, finché essi, riavutisi finalmente dallo sbalordimento, si precipitarono dentro la cucina.

Pochi minuti dopo, la piccola porta della mia prigione si apriva e vi entrava di profilo - ché altrimenti non ci sarebbe potuta passare - la signora Geltrude declamando:

- Ah disgraziato! Uh, che vedo!... A rischio di cader giù e sfracellarsi!... In nome di Dio, Stoppani, che cosa fate costassù?

- Eh! - risposi - sto a veder preparare la minestra di magro alla casalinga...

- Ma che dici? sei impazzato? -

In quel momento entrò un bidello con una scala.

- Appoggiatela lì, e fate scendere quello sciagurato! - impose con aria drammatica la signora Geltrude.

- No, non scendo! - risposi aggrappandomi alla sbarra dì ferro. - Se devo rimanere in prigione voglio starmene quassù perché c’è più aria... e poi si impara come si cucinano i ragazzi in collegio!...

- Scendi, via! Non capisci che ero venuta appunto per farti uscire dalla prigione? Purché, s’intende, tu prometta di essere buono e ubbidiente, ché se no, figliuolo mio, è un affar serio!... -

Io guardai la direttrice sorpreso.

- Perché questa improvvisa liberazione? - pensavo fra me. - Eppure non ho rivelato i nomi dei ragazzi che fumavano nello stanzino del petrolio... Dunque? Ah! Ho capito! Ora cercan di pigliarmi con le buone maniere perché non racconti ai miei compagni la scoperta della ricetta per la zuppa di magro alla casalinga. -

In ogni modo non c’era più ragione di rimanere appollaiato sulla finestrina e discesi.

Appena ebbi toccato terra, la signora Geltrude, ordinò al bidello di riportar via la scala, e poi, presomi per un braccio, mi disse con tono imperioso:

- Di’ su: che volevi dire della minestra di magro che si fa in collegio?

- Volevo dire che io non intendo di mangiarla più mai. Guardi! Mi assoggetto piuttosto a mangiar quella di riso anche il venerdì... a meno che non mi dia la minestra speciale che fanno per lei e per il signor direttore...

- Ma che dici? Io non t’intendo... Dimmi tutta la verità... tutta, capisci? -

Allora le raccontai semplicemente tutto quello che avevo visto e sentito dalla finestrino della mia prigione e con mia grande sorpresa la signora Geltrude, molto impressionata dal mio racconto, esclamò:

- La cosa che dici, ragazzo mio, è molto seria... Bada bene! Si tratta di far perdere il pane a due persone: al cuoco e allo sguattero... Pensaci: hai detto proprio la verità?

- L’ho detta e la sostengo.

- Allora vieni a far rapporto dal signor direttore! -

Difatti mi condusse nell’ufficio di direzione dove, dietro a una scrivania piena di libri, stava il signor Stanislao.

- Lo Stoppani - gli disse la signora Geltrude - ha un rapporto molto grave da fare contro il personale di cucina. Via, racconta -

E io raccontai da capo la scena alla quale avevo assistito.

Passavo di sorpresa in sorpresa. Anche il direttore mi apparve indignato del racconto fatto. Chiamò il bidello e ordinò:

- Fate venir qui il cuoco e lo sguattero. March! -

Poco dopo, eccoli tutti e due; e io daccapo a ripetere il racconto per la terza volta... Ma la mia maraviglia giunse al colmo quando, invece di rimanere confusi, com’io mi aspettavo, sotto il peso delle mie rivelazioni, essi dèttero in una grande risata, e il cuoco, presa la parola, disse indirizzandosi al signor Stanislao:

- La mi scusi, signor direttore, ma le par possibile che si faccia tutto questo? Deve sapere che io ho per abitudine di far sempre la burletta, e ora specialmente che ho per le mani questo sguattero, che è nuovo del mestiere, mi diverto un mondo a dargliene ad intendere delle cotte e delle crude... Quello che ha raccontato il signorino è sacrosantamente vero: soltanto, come le ho detto, si trattava di parole dette per ischerzo...

- Va bene, - disse il direttore. - Ma il mio dovere mi impone di procedere immediatamente a un’ispezione in cucina. Precedetemi... March! E voi, Stoppani, attendetemi qui... -

E uscì impettito, con passo militare.

Quando ritornò poco dopo mi disse sorridendo:

- Tu hai fatto bene a riferirmi quel che avevi visto... Ma fortunatamente la cosa sta come aveva raccontato il nostro cuoco... e puoi mangiar tranquillo la tua brava scodella di minestra alla casalinga. Cerca di esser buono... Va’! - E mi dètte un colpetto di mano su una guancia.

Io me ne andai tutto contento e persuaso in mezzo ai miei compagni, che giusto in quel momento uscivano di classe.

Poco dopo andammo tutti a pranzo, e il Barozzo che, come dissi già, è di posto accanto a me, mi strinse forte la mano sotto la tovaglia e mi disse sottovoce:

- Bravo Stoppani! sei stato forte... Grazie! -

Quando venne in tavola la minestra di magro alla casalinga, il mio primo movimento fu di repulsione. Ma le parole del cuoco mi avevano persuaso... E poi avevo molta fame... E poi, appena assaggiata dovetti riconoscere che quella minestra era proprio buona e mi pareva impossibile che una cosa tanto prelibata potesse esser preparata in un modo così ripugnante.

Avrei voluto raccontare al Barozzo tutta la scena che si era svolta nel cortiletto della cucina e poi nell’ufficio di direzione... Ma la signora Geltrude, che quando si mangia gira sempre intorno alla tavola, non mi levava gli occhi di dosso, e mi accorsi che mi vigilava in modo speciale, proprio per vedere se mangiavo la minestra e se raccontavo l’avventura della mattinata ai miei compagni di tavola.

Anche dopo, durante l’ora di ricreazione, la signora Geltrude continuò la sua sorveglianza speciale; la quale non impedì che il Pezzi, il Del Ponte e il Michelozzi mi facessero una gran festa, dichiarandomi che benché io sia piccino, dopo quel fatto d’aver sostenuto la prigione piuttosto che far la spia, mi consideravano un amico grande come loro, e mi avrebbero ammesso nella loro società segreta che si chiama: Uno per tutti e tutti per uno.

La sorveglianza speciale è durata fino a ieri sera; ma a cena mi parve che il mio contegno avesse finalmente persuaso la direttrice che mi ero dimenticato di quel che avevo visto la mattina.

Così potei narrar tutto per filo e per segno al Barozzo, il quale prese la cosa molto sul serio e dopo aver pensato un po’ disse:

- Vorrei sbagliare... Ma per me l’interrogatorio del cuoco e dello sguattero è tutta una commedia.

- Come!

- Sicuro. Prendiamo a considerare la faccenda dal momento in cui il cuoco, accortosi che tu avevi assistito alla preparazione della minestra di magro alla casalinga, è corso ad avvertire il direttore o la direttrice. Qual era il consiglio che dovevano seguire nel loro interesse? Quello di rabbonirti e di cancellare dalla tua mente lo spettacolo che avevi visto. Essi dunque hanno detto al cuoco e allo sguattero: Quando sarete chiamati dite che è stata una burletta!... Ed ecco che la direttrice viene ad aprirti la prigione, finge di scandalizzarsi al tuo racconto e ti conduce dal direttore il quale finge di fare un tremendo processo al cuoco e allo sguattero, i quali fingono di avere scherzato... e tu, persuaso di tutto questo, mangi e gusti, come al solito, la tua brava minestra di magro alla casalinga e... e tutto sarebbe andato bene per loro se tu non avessi raccontato la cosa al tuo amico Barozzo che ha più esperienza di te e che riferirà la cosa alla società... -

Per questa faccenda, in tempo di ricreazione faremo un’adunanza e decideremo. Non mi par vero che arrivi quell’ora!...

Ma è già sonata la sveglia e bisogna che mi affretti a nasconderti, giornalino mio!

#

L’adunanza della Società segreta Tutti per uno e uno per tutti è andata benissimo.

Ci siamo riuniti tutti in un angolo del cortile; questo disegno che ho fatto qui stasera, prima di addormentarmi, rappresenta il momento più solenne della discussione, con Tito Barozzo che presiedeva alla mia sinistra, e accanto i lui Mario Michelozzi, alla mia destra Carlo Pezzi e, tra questi e il Michelozzi, Maurizio del Ponte.

Prima di tutto c’è stato un voto di plauso per me, perché quel giorno in cui i soci si erano riuniti a fumare nello stanzino del petrolio, piuttosto che far la spia mi ero fatto condannare in prigione. Poi un altro voto di plauso per avere scoperto l’affare della minestra di magro... Insomma sono stato trattato come un eroe, e tutti mi hanno dimostrato una grande ammirazione.

Dopo aver discusso ben bene ci siamo trovati d’accordo su questo punto: che per accertarsi se la minestra del venerdì è fatta con la rigovernatura dei piatti serviti ai pasti degli altri giorni, bisogna, incominciando da domani, dopo mangiato, mettere nel piatto qualche cosa che dia un colore all’acqua nella quale i piatti saranno rigovernati...

- Ci vorrebbe dell’anilina! - ha detto il Del Ponte.

- Ci penso io a procurarla! - ha aggiunto Carlo Pezzi - ne ho vista nel gabinetto di chimica.

- Benissimo. Domani allora principieremo la prova. -

E ci siamo separati dandoci la mano; quello che la stendeva diceva:

- Tutti per uno! -

E l’altro, stringendo la mano, rispondeva:

- Uno per tutti! -

Sono molto contento di essere entrato in questa società; ma ero incerto, caro giornalino mio, di scriverne nelle tue pagine, avendo giurato di non confidare il segreto a nessuno... Però ho pensato che a te potevo confidar tutto perché mi sei fedele e poi io ti custodisco bene, chiuso a chiave nella mia valigetta.

A proposito; la mia valigia è riposta con la mia biancheria in un piccolo armadietto scavato nel vano della parete a capo del letto, al disopra del comodino.

Tutti i collegiali hanno un armadietto simile, chiuso da uno sportello bigio.

L’altra sera, dunque, mentre gli altri dormivano, per riporre nella valigia il giornalino mi ficcai addirittura dentro il mio armadino, e sentii delle voci.

Rimasi in ascolto, pieno di curiosità. Non mi ero sbagliato: le voci erano al di là del muro in fondo all’armadietto... e mi parve perfino di riconoscere la voce della signora Geltrude. Dev’essere una parete sottilissima.