Filosofia

Canto II
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VIII.

Così dicea fra sè la Donna, e dove
Folta la strage più, di più felici
Estinti si pascea, vide Corrado
Da’ suoi disgiunto, in disugual tenzone
Solo pugnar, e vender caro il suolo
Che passo, a passo, al vincitor lasciava,
E poi caderne insanguinato, e invano
Invocarne, sfidar, chieder di tanti
Mali, che quivi ei trasse, espìatrice
Unica, morte. Ahi, che il serbava il fato
A la vita, e al penar! Vendetta intanto
Meditava i tormenti, e su le aperte
Ferite il sangue rattenea, cui tristo,
Disegno avea di riversar ben tosto,
Ma stilla, a stilla; insaziabil, crudo
Seidde in suo furor così il dannava
A morir sempre, e a non spirar giammai.
Ed è questi Corrado? Oh, tal nol vide
Allor Gulnara, che tremenda alzava
Sua destra insanguinata a dettar leggi!
È desso!.... Inerme, oppresso no, dolente
Sol de la vita che gli resta. Lievi
Son le ferite, ahi troppo! eppur cercolle

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Aspre, e baciata avrìa la man che spento
Lo avesse ne la mischia; una di tante,
Non fuvven’una, che tra l’ombre (in Cielo
Chieder non osa ) lo spignesse.... E solo,
Ei di tanti respira, ei che sì audace
Per morir combattèo? Così profondo
Fremer si sente il cor, qual freme in petto
A ognun che giù da la sublime ruota
Precipitò della fortuna, e or ode
Del vincitore la minaccia, e mira
Gli infiniti delitti, e il loco infame,
Ove fra lenti aneliti omai debbe
Pagarne il fio. Ma quel ch’a sue trist’opre
Fu scorta, Orgoglio, or d’ogni affetto è velo
E del suo duol; in suo severo, e cupo
Aspetto, più che prigionier, tel’ credi
Conquistator; qual è domato, e infranto
Dal duro affaticarsi, e dalle crude
Agrezzate ferite, intorno gira
Chetamente lo sguardo. L’arrogante
Folla da lunge, or che cessò il periglio,
Urla, ed irrìde, ma il guerrier che move
A lo suo fianco, non insulta o spregia
Tanto nemico, ed il feroce sgherro
Ch’al suo carcere veglia, silenzioso
Lo guata, e trema.