Il contrattempo/Nota storica

Nota storica

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Atto III
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NOTA STORICA


Chi legga il capitolo XVI della seconda parte dei Mémoires, potrebbe credere che il Goldoni avesse regalato questa commedia a Girolamo Medebach, avanti di separarsi da lui e dal teatro di Sant’Angelo sulla fine del carnovale 1753, vale a dire cinque anni dopo la partenza da Pisa. Ma la prefazione della Donna vendicativa, stampata nel t. VII (1754) dell’ed. Paperini di Firenze, ci insegna che il Contrattempo faceva parte delle dieci composizioni annue imposte all’autore dal severo contratto col capocomico: la recita poi seguì, nello stesso carnovale, a quella delle Donne curiose, e il titolo fu da principio l’Imprudente, o l’Uomo imprudente. La data che si legge nella stampa di Firenze (Raperini, t. VIII), carn. dell’anno 1757, si deve intendere more veneto: e quella dell’ed. Zatta di Venezia, aut. dell’anno 1757, è affatto fantastica, se pur non accenna a una ripresa del Contrattempo sul teatro di S. Luca, poichè in fatti, come la premessa ci avverte, il Goldoni aveva nel ’54 rimaneggiato il componimento, attenuando il carattere del protagonista. - Si ricordi che il commediografo veneziano aveva già scritto nel 1748 l’Uomo prudente (vedi vol. II di questa ed.) per il pantalone D’Arbes, e l’anno dopo un Pantalone imprudente, «che non fu mai rappresentato» (pref. alla Donna vendic.) o solo nel 1765 (v. Diario Veneto di quell’anno, 14 e 15 genn.): benchè nulla avessero da che fare col Contrattempo o sia il Chiacchierone imprudente.

Non possediamo notizie intomo all’esito che la commedia ottenne sulla scena. Certo non dovette essere molto felice; e la lunga stagione del carnovale, che durò fino ai 6 di marzo, pare si chiudesse quell’anno con una ripetizione delle Donne Curiose (Mém.es, 1. c.), perchè non si potè o non si volle a tempo allestire la Donna vendicativa. L’autore, non osando lodare altrimenti il proprio lavoro, lo vantò nelle Memorie quale scuola efficace per gli imprudenti ed i ciarlieri. Nessuno dei contemporanei ne fa menzione: solo il Beregan nel Museo d’Apollo (1754), ricordato nella prefazione, fa strapazzare da Momo il protagonista («Vuol pingermi un Poeta, e un pazzo mi colora [Nota: I Poeti]; Potrebbe l’Imprudente dirsi una bestia ancora»). - Vero è che i caratteri del Contrattempo riuscirono esagerati, inverosimile l’azione, il riso volgare. Non diremo che il Goldoni, scioltosi ormai dal Medebach e prossimo a passare ai servizi del Vendramin, col quale fin dai 15 di febbraio sottoscriveva il contratto, abboracciasse gli ultimi suoi lavori, ma dopo la Serva amorosa, dopo la Locandiera, dopo le Donne curiose, non è meraviglia che il suo ingegno provasse bisogno di riposo. Quest’opera per ogni conto infelice, e tutta morta, non offre nemmeno qualche lieve importanza storica: pur diede già materia a osservazioni e raffronti.

Prima di tutto per la favola si ricongiunge a una lunga serie di commedie, a soggetto e scritte, sul tema dei contrattempi d’un servo malaccorto il quale distrugge l’opera del padrone, o del padrone che distrugge quella del servo. Emilio Re nella Rivista teatrale (A. IX, fasc. 2, marzo-apr. 1910: La tradizione comica dell’Imprudente: Barbieri-Gold.) enumerò parecchi scenarii (Oratio inavertito, l’Amante inavertito, l’Incauto ovv. l’inavertito, Lelio inavcrtilo, il Flagello del padrone. Truffaldino ballordo flagello alle fortune [p. 462 modifica]del suo padrone, il Servo sciocco, Arlequin calet étourdi) che allietarono nel Seicento e nel Settecento i teatri in Italia e fuori, derivati con maggiore o minor fedeltà dal famoso Inavertito overo Scappino disturbato e Mezzettino travagliato (1629), commedia di Nicolò Barbieri detto Beltrame, che l’autore stesso prima della stampa soleva recitare all’improvviso (mi accontento di citare L. Moland, Molière et la comédie italienne, Paris, 1867, vh. IX, e Rasi, I comici italiani, I, al nome Barbieri). Ho detto famoso, perchè sulla traccia dell’Inavertito immaginò Molière nel 1653 (come si crede) l’Etourdi ou les contretemps, proprio all’inizio dell’opera sua di scrittore comico: ma del giusto valore di tale imitazione, rimproverata già dagli Italiani al commediografo francese quasi un furto, parlò di recente, come si conveniva, P. Toldo (L’oeuvre de Molière et sa fortune en Italie, Torino, 1910, pp. 20-27. - Si confronti l’Amant indiscret ou le Maitre étourdi, 1654, comm. di Quinault). Lo stesso Emilio Re (1l. c, 69) additò un’altra commediola di Luigi Riccoboni, recitata a Parigi nel 1717, la quale nel titolo (le Sincère à contretemps) ci ricorda ancora più il carattere particolare dell’eroe goldoniano nel Contrattempo.

Del resto fin qui nessun modello diretto a cui Goldoni abbia potuto attingere. Invece il personaggio di Rosaura, l’ingenua, specialmente nella sc. 17 del secondo atto parve al Rabany (C. G. cit., Paris, 1896, p. 205) e al Merz (C. G. in seiner Stellung zum französischen Lustspiel, Lipsia, 1903, p. 26) imitato dall’Agnese di Molière (l’Ecole des femmes, II, 6): ma tale dipendenza nega ora il Toldo (op. cit., 398) ed è lecito in fatti sospettare che qualche spunto comune ai due commediografi si ritrovasse nel teatro dell’arte, del quale persiste un’impronta nell’esagerata caricatura del Goldoni. Che poi il Dottor veneziano imitasse un pochino se stesso, ripetendo la Diana della Donna volubile (vol. VI), tutti sono d’accordo (cfr. anche la Rosaura dell’Uomo prudente, vol. II, e del Tutore, vol. VII). - Sarebbe infine facile paragonare Ottavio quando nell’atto secondo legge il sonetto del fanatico Leandro all’Alceste di Molière che maltratta i versi di Oronte; anzi si potrebbe esaminar da vicino la soverchia sincerità dell’uno e dell’altro, che costringe all’esilio i due eroi, e osservare come il pubblico dovesse restare alquanto incerto nel giudicarne la colpa e il castigo, se non fosse troppo misero trastullo mettere a pari il Misantropo con una sgorbiatura.

Certo non si offerse chiaro alla fantasia del nostro autore il carattere dell’Imprudente: noi disprezziamo Ottavio per quei medesimi difetti morali per cui si rende odioso Guglielmo, l’avventuriere onorato, al quale molto rassomiglia (v. vol. VI, Nota stor.), ma le sue imprudenze qualche volta riescono amabili, altra volta villane e assurde. Di rado Goldoni, nel creare i suoi personaggi anche più umili, cadde in simile errore. Aggiungo che nemmeno si capisce bene la prefazione della commedia, dove si allude a persone maldicenti, più che imprudenti. Dell’episodio bolognese trovasi traccia nelle scene 14 e 15 del secondo atto: il sonetto poi, nella scena 12, mi ha l’aria di voler canzonare la musa lirica dell’abate Chiari.

Un’ultima osservazione: non crederei che a Teodora Medebach soddisfacesse la parte punto brillante di Rosaura; anche nelle Donne curiose la prima donna, moglie del capocomico, poco aveva da affaticarsi. Rimane ignoto se ciò avvenisse in grazia della salute cagionevole di Teodora, o per [p. 463 modifica]malanimo del poeta, o per il canone artistico di Carlo Goldoni, che non voleva obbedire alle tirannie degli attori e non aveva rispetto per le prime o per le seconde parti, giudicando onorevoli tutte egualmente, come dichiarò nella prefazione della Castalda (v. vol. VII, 110- III).

Qualche recita sporadica del Contrattempo si nota nel secolo decimottavo: per esempio a Modena nel 1758 (Modena a C. G., Mod., 1907, p. 237), a Venezia nel 1796 (Giorn. dei teatri di Ven.). Dopo lungo e meritato oblio, invano cercò di conciliargli il favore del pubblico la R. Compagnia Sarda nel 1838 (Costetti, La Comp. R. Sarda, Milano, 1893, p. 117), a’ tempi della Romagnoli servetta e della ingenua Ristori. Giustamente passò quasi inosservato ai critici, sebbene G. B. De Rossi, morto appena l’autore, osasse lodarne ai compastori d’Arcadia la «felicità dell’intreccio» e gli facesse perciò posto accanto al Tasso, alla Bottega del caffè, alla Figlia ubbidiente (Del mod. teatro comico ital. e del suo restauratore ecc., Bassano, 1794, p. 107). Di Rosaura si ricordò più tardi Ignazio Ciampi, per notare come «poco meno che non guasta l’intiero ordito, per la caricata semplicità che la veste» (La vita artistica di C. G., Roma, 1860, p. 55). - Non si conoscono traduzioni.

G. O.


Questa commedia fu stampata la prima volta nel 1755 (falsamente ’54) nel t. VIII dell’ed. Paperini di Firenze; e uscì l’anno stesso a Bologna (Corciolani XI) e a Pesaro (Gavelli VIII), nel 1757 a Torino (Fantino-Olzati X). Fu ancora impressa a Venezia (Savioli IV, 1760; Zatta, cl. 2.a, V, ’90; Garbo XV, ’98). a Torino (Guibert-Orgeas Xll, ’73), a Lucca (Bonsignori XXIII, ’90), a Bologna (Luchesini, ’91), a Livorno (Masi XXVI, ’92) e altrove nel Settecento. Il sottotitolo di Chiacchierone diventò qualche volta Chiacchierino. - La presente ristampa seguì il testo più curato del Paperini, ma reca in nota a piè di pagina le scarse varianti delle altre edizioni.