Il continente misterioso/4. Assediati su una tomba

4. Assediati su una tomba

../3. I cani selvaggi ../5. Caccia al kanguro IncludiIntestazione 22 ottobre 2017 75% Da definire

3. I cani selvaggi 5. Caccia al kanguro

4.

ASSEDIATI SU UNA TOMBA


Il dingo australiano, che gli indigeni chiamano warrangal, che significa cane selvaggio, forma una specie a parte che se ha dei punti di contatto coi lupi e coi cani selvaggi degli altri paesi, non somiglia affatto né agli uni, né agli altri. Forse s'avvicina, per le forme, alle volpi ma è assai più grande, più robusto, più tarchiato ed ha le gambe alte invece di averle corte.

S'incontra in tutto il continente australiano, sia presso le coste che nelle regioni ardenti dell'interno, ma sfugge le vicinanze delle città e delle borgate, ben sapendo che nulla ha da guadagnare. Ordinariamente, i dingos si radunano in cinque o sei, ma talvolta accade d'incontrarli in grossi branchi, specialmente nei territori ricchi di selvaggina.

Si direbbe però che formano tribù a parte, perché i cani di una determinata regione non si mescolano con quelli di un'altra, anzi guai se l'osassero, poiché verrebbero immediatamente fatti a brani. Si è anzi portati a credere che essi si siano diviso il continente per cacciare a loro comodo nei loro territori senza concorrenti pericolosi.

Sono cacciatori formidabili. Inseguono tutti gli animali selvaggi e, non contenti, si radunano in bande nelle grandi praterie dove gli allevatori tengono le loro immense mandrie e fanno delle vere stragi. Pecore, montoni, maiali, vitelli e giovani cavalli cadono a diecine sotto i loro acuti denti. Perciò ferve una guerra feroce fra i coloni e i dingos. Si scavano dovunque trappole, si avvelenano gli animali morti colla stricnina e si trascinano nei boschi abitati dai dingos, i quali non esitano a divorarli, e si cacciano col fucile, ma essendo assai astuti e sospettosi, non si lasciano avvicinare. Inseguiti però e messi alle strette, si gettano coraggiosamente contro i cani dei pastori che odiano profondamente e anche contro gli uomini.

Se sono numerosi, diventano allora audaci e non temono più l'uomo. Non vivono in buona armonia che coi selvaggi, ma non tollerano alcuna schiavitù, né si addomesticano.

Convivono col selvaggio australiano più per interesse che per affezione. Si uniscono a lui per cacciare, ma esigono la loro parte di selvaggina e rimangono talvolta in sua compagnia quindici giorni o un mese, poi lo abbandonano se prima il loro padrone momentaneo non li uccide per mangiarli, ciò che sovente accade.

È bensì vero che talvolta il selvaggio ha cura del suo cane cacciatore e che ama i piccoli nati nella sua capanna di corteccia d'albero; anzi li fa allattare perfino dalla moglie a scapito dei proprii figli, ma ai primi morsi della fame non sa resistere e mette sui carboni la cagna e i piccini. La situazione adunque dei due marinai, assediati da quella numerosa banda di robusti e affamati animali, non era certo brillante. Se fossero stati pochi assalitori, avrebbero potuto affrontarli senza correre seri pericoli, ma erano troppi e alle loro gambe ci tenevano.

— Mille fulmini! — esclamò il degno mastro, vedendo la banda precipitarsi furiosamente sul morto e divorarlo in quattro secondi. — Che stomachi!

— E soprattutto che denti! — disse Cardozo.

— Figliuol mio, comincio a diventare inquieto. Siamo proprio assediati, e che assedio! Senza un fucile e senza un crostino da porre sotto i denti.

— E senza una goccia d'acqua per bagnarci il gorgozzulo, marinaio.

— Con questo sole che ci biscotta. E durerà molto questo assedio?

— Non ne so più di te, marinaio!

— Fruga nel tuo cervello e cerca un mezzo per mandare al diavolo questa banda urlante.

— Frugo e rifrugo, ma non trovo, Diego.

— Che dobbiamo prendere il posto di quella brutta mummia che abbiamo gettato giù? Se questi animali si ostinano a rimanere qui, moriremo quassù, figliuol mio.

— E i falchi banchetteranno allegramente, marinaio.

— Birbone, tu ridi e parli come un uomo che si trova nella sua casa.

— Vuoi che mi strappi i capelli?

— No, Cardozo, ma mi pare che la nostra situazione non sia comica, ma pericolosa. Toh! Io comincio ad aver fame di già! Avessi portato con me quello struzzo!

— Sai cosa fanno gli australiani quando hanno fame?

— No, davvero, Cardozo.

— Si stringono la cintura, anzi ne portano sempre una di pelle di opossum per stringerla meglio.

— Ma io non sono un selvaggio, figliuol mio — disse il mastro.

— Non ho un consiglio migliore da darti — disse il giovane marinaio, ridendo.

— Ridi ancora, birbone, mentre io vado in bestia! Si è mai veduto un uomo eguale! Orsù, finiamola, ragazzo mio e cerchiamo di sloggiare da questo palco che puzza ancora di carne fracida. Toh, se provassimo a chiamare il dottore?

— Fiato sprecato, marinaio. Siamo tanto lontani che non udrebbe nemmeno un colpo di trombone.

— State zitti, animalacci! — gridò il mastro che cominciava a perdere la pazienza. — Odi che concerto stonato.

— Si accordano per una serenata, marinaio.

— Per una serenata! A no, per mille milioni di fulmini! Io non dormirò su questa baracca nauseante che ha portato un morto. Toh!... Un'idea!

— Gettala fuori — disse Cardozo che conservava il suo inalterabile buon umore.

— Se provassimo a pescare i nostri fucili?

— In qual modo?

— Ho ancora un gherlino1 in tasca.

— Ma tu hai un magazzino di corde.

— Abitudine da vecchio marinaio, figliuol mio. Faccio un nodo scorsoio e cerco di alzare un fucile.

— Proviamo; vedo che la mia carabina è semiappoggiata ad un ciuffo di erbe e si potrebbe prenderla facilmente, purché i dingos non mangino la corda.

— Altra idea!

— E quale, marinaio?

— Se prendessimo al laccio qualche dingo? Mi hanno detto che sono eccellenti.

— E vuoi mangiarlo crudo? — chiese Cardozo schiattando dalle risa. — Preferisco la tua prima idea.

— Hai ragione, sono una bestia, ragazzo mio. Orsù, all'opera, e voi urlatori, preparatevi a passare un brutto quarto d'ora. Ventre di balena! Faremo una marmellata!

Il mastro si levò da una delle sue quattordici tasche, un pezzo di corda lunga sei o sette metri, fece un nodo scorsoio e si coricò sul ventre spingendosi fino sull'orlo della piattaforma che sotto quelle scosse scricchiolava in modo inquietante.

I cani, che si erano accovacciati all'ingiro, col muso in aria, attendendo pazientemente la preda vivente, scorgendolo balzarono in piedi spiccando salti verso i pali e urlando furiosamente.

— Siete troppo piccini, miei cari — disse il mastro. — Lasciate che faccia il mio giuoco e vedrete che sona di zuccherini vi darò io.

Prese il nodo scorsoio, lo aprì per bene, lo fece girare due volte in aria come fanno i gauchos della pampa argentina quando vogliono prendere alla corsa i buoi o i cavalli selvaggi e lo gettò verso il fucile di Cardozo che era rimasto un po' sollevato, essendo appoggiato ad un ciuffo di erbe. Dare uno strappo violento e sollevare d'un sol colpo l'arma, fu l'affare d'un istante. I dingos, quasi si fossero accorti di ciò che stava per accadere, si slanciarono contro il fucile e lo addentarono rabbiosamente, ma il mastro era dotato d'una forza poco comune. Con un secondo strappo lo liberò da quei denti e lo issò sulla piattaforma gettando un grido di trionfo.

— Bel colpo! — esclamò Cardozo. — Un gaucho non avrebbe fatto di meglio.

— Qualche cosa ho appreso dagli indiani della pampa — disse il mastro, che era raggiante pel felice successo. — Ora, miei cari dingos, vi faremo filare a tutte gambe. A te, Cardozo, che sei un tiratore di prima forza.

Il giovane marinaio prese lo snider, si assicurò che era carico e lo puntò in mezzo alla banda urlante.

— Quello là, prima di tutti, quel brutto cagnaccio che urla più forte di tutti e che mi sembra idrofobo — disse il mastro.

Non aveva ancora terminata la frase che il cane designato stramazzava a terra con una palla conica nella testa. I suoi compagni spaventati, retrocessero urlando più forte che mai e mostrando i denti.

— Mandami a gambe levate quello laggiù, che ci guarda con quei brutti occhi obliqui — riprese il mastro.

Una seconda detonazione echeggiò e il secondo cane cadde dopo d'aver fatto tre o quattro salti disordinati.

Gli assedianti non vollero saperne di più. Misero la coda fra le gambe come i loro congeneri d'Europa e fuggirono in tutte le direzioni salvandosi nei boschi. Un terzo colpo di fucile che ne fece cadere un altro alla distanza di quattrocento passi, affrettò la loro fuga.

— Urrah! — gridò il mastro balzando giù dalla piattaforma e impadronendosi del suo fucile. — Presto, Cardozo, sciogli le gambe e trottiamo prima che quegli animali si radunino e tornino ad inseguirci.

— Eccomi marinaio — disse Cardozo saltando a terra. — E il morto?

— L'hanno mangiato come fosse un semplice zuccherino.

— Povero diavolo!

— Bah! — disse il mastro alzando le spalle. — Invece di venire mangiato dai falchi, lo hanno divorato i cani: è tutt'uno, figliuol mio. Di trotto! Che odo i cani a urlare ancora.

I due cacciatori, contenti di aver riacquistata la libertà si misero a correre verso il vicino bosco onde, nel caso che venissero nuovamente assaliti, rifugiarsi sugli alberi, ma i cani non si fecero più vedere. Ne avevano avuto fin troppo di quei tre colpi di fucile.

Ritrovato lo struzzo, che era ancora appeso all'albero, se lo caricarono sulle spalle e a lenti passi ripresero la via dell'accampamento. Sulle rive del fiume incontrarono il dottore, il quale, inquieto per la loro lunga assenza, si era messo in cerca di loro, lasciando il carro e gli animali sotto la guardia di Niro-Warranga.

— Cosa portate? — chiese il dottore appena li vide avanzarsi sotto gli alberi. — Si direbbe che rimorchiate un grosso capo di selvaggina.

— È grosso infatti, signore e molto pesante, — disse il mastro, — ma non indovinereste di certo a quale specie appartiene.

— Un kanguro gigante forse?

— Meglio ancora.

— Toh — esclamò il dottore, che allora si trovava a breve distanza. — Ma voi avete ucciso uno struzzo africano.

— Sì, dottore — rispose Cardozo. — Non vi sorprende?

— Non tanto, ragazzo mio, quantunque trovi la cosa un po' strana.

— Ma siamo in Australia, signore — disse Diego.

— E cosa vuoi concludere, mio degno mastro?

— Che non siamo in Africa.

— Allora ti dirò che da qualche anno i coloni australiani fanno venire degli struzzi dal capo di Buona Speranza, e che quei giganteschi bipedi si trovano molto bene anche qui e che si moltiplicano rapidamente essendo il clima di questo continente quasi simile a quello dell'Africa meridionale.

— Per le piume? — chiese Cardozo.

— Sì, e ritraggono dalla vendita di esse dei ragguardevoli guadagni.

— Allora il nostro struzzo è fuggito da qualche recinto — disse il mastro.

— Così deve essere — rispose il dottore.

— Ditemi signore, — riprese il mastro, — sono feroci i dingos?

— Quando sono molti diventano audaci, ma se sono pochi fuggono la presenza dell'uomo bianco.

— Sapete che volevano mangiarci i polpacci? Se non trovavamo una tomba australiana, una specie di palco sul quale ci salvammo, non so come saremmo ritornati al campo. Ci hanno assediati per due o tre ore.

— Siate prudenti amici e non allontanatevi troppo dal campo. Ah!... Mi dimenticavo di dirvi che ho fatto una importante scoperta.

— E quale? — chiesero ad una voce Diego e Cardozo.

— Ho trovate le tracce del nostro compatriota.

— Oh!...

— Sì, mentre percorrevo le sponde del fiume, ho trovato inciso sul tronco di un wed-waiga o albero mortale queste parole: Seguo le tracce di Burke — devierò al lago Wood — B. Herrera — 24 luglio 1870.

— Oh! Diavolo! — esclamò Cardozo. — Che sia stato proprio lui a inciderle?

— Ne sono certo.

— Ma chi è questo signor Burke? — chiese il mastro. — Un suo compagno che lo precedeva?

— Come, lo ignori, mastro? — chiese il dottore sorpreso.

— Eh signore, io non m'intendo che di navi, di ancore, di vele e di cannoni.

— È il primo uomo bianco che ha attraversato il continente australiano.

— Molti anni fa?

— Nel 1860-61.

— Era un inglese?

— No, un ex-ufficiale degli ussari ungheresi.

— Raccontate, dottore — disse Cardozo.

I tre uomini che erano giunti nell'accampamento, si sdraiarono dietro al carro per tenersi all'ombra, mentre Niro-Warranga preparava il pranzo che prometteva di essere squisito dai profumi che empivano l'aria.

— Come vi dissi, — riprese il dottore, — questo viaggio meraviglioso che doveva tornare fatale all'esploratore, si compì negli anni 1860-61. Fino a quell'epoca si ignorava completamente l'interno del continente che alcuni ritenevano fertile e altri un deserto immenso.

"Burke, sussidiato dal governo di Vittoria e da una sottoscrizione di cittadini, il 20 agosto 1860 parte coraggiosamente per l'interno con diciassette uomini, ventisette cammelli che aveva fatti venire dall'India, ventisette cavalli e viveri per quindici mesi.

"Divide i suoi uomini in due colonne e il viaggio in tre grandi tappe: le due prime di seicento chilometri ciascuna e la terza di mille.

"Il 19 ottobre 1860 Burke raggiunge la prima colonna che si era accampata a Menindie dopo una marcia disastrosa. Accorda ad essa un riposo di alcuni giorni, e al comandante di essa, Wright dà appuntamento a Coopers-Creek, poi con pochi compagni riprende il viaggio verso il nord.

"Due mesi dopo, giungeva al fiume, ma i suoi uomini erano ridotti in uno stato compassionevole. Il caldo orribile, la sete, le privazioni d'ogni specie e le fatiche li avevano fiaccati e i più erano ammalati.

"Burke non si arresta. Lascia lì i suoi uomini, dà a loro appuntamento più al nord e riparte col suo luogotenente Willis, un certo King e un altro compagno, sei cammelli, un cavallo e viveri per quattro mesi.

"Cammina rapidamente facendo solo poche fermate, fuga i selvaggi che cercan di sorprenderlo per mangiarlo, attraversa deserti, supera montagne, soffre la fame e la sete, ma finalmente giunge sulle coste settentrionali e s'immerge nelle onde dell'oceano. L'ardita traversata era stata compiuta."

— Che uomo! — esclamò Cardozo entusiasmato.

— Ma il ritorno doveva essere disastroso, fatale — riprese il dottore. — Mancavano i viveri e si trovavano in una regione deserta. Retrocessero rapidamente per raggiungere Coopers-Creek dove speravano di ritrovare i compagni.

"Ammazzano uno ad uno i cammelli per cibarsi, poi il cavallo, poi si nutrono di serpenti, d'insetti, di foglie d'alberi e giungono morenti, sfiniti, ischeletriti a Coopers-Creek."

— E trovano i compagni? — disse il mastro.

— No, non trovarono nessuno. Erano partiti al mattino e avevano lasciato una carta, ma non un pezzo di pane, nulla insomma.

— Canaglie! — esclamò il mastro.

— Burke impotente a raggiungerli, decide di dirigersi verso occidente onde cercare un grande allevatore di montoni. Quella decisione fu la sua perdita, poiché se si fosse fermato in quel luogo, avrebbe riveduto i suoi compagni.

— Erano ritornati?

— Sì, Cardozo, ma due giorni dopo la partenza di Burke.

— Quale contrattempo!

— L'ardito esploratore e i suoi compagni si rimettono in cammino, ma non sono uomini, sono scheletri, sono ombre, sono moribondi che si trascinano. Alcuni miserabili selvaggi cercano di aiutarli offrendo a loro del grano selvatico che non riuscirono a inghiottire tanto erano sfiniti.

"Pure il 10 maggio si rimettevano in marcia, ma al 14 si arrestarono. Non avevano più nulla da porre sotto i denti.

"Willis muore, poi cade un altro. Burke e King con un ultimo sforzo riprendono le mosse, ma il 30 giugno, dopo d'aver errato per deserti e montagne, l'infelice esploratore stramazza a terra.

"Ha appena la forza di scrivere su un pezzo di carta queste parole: King sopravviverà, spero: egli ha mostrato un grande coraggio. Il nostro scopo è raggiunto, noi abbiamo per primi toccato i confini dell'Australia verso l'oceano, ma noi siamo stati abbandona...

"Non potè finire l'ultima parola, perché ricadde. Un istante prima di spirare, con voce rotta disse al suo fedele compagno che non voleva abbandonarlo: «Desidero che il mio cadavere resti esposto senza sepoltura sulla sabbia, al gran sole del deserto. Io rimarrò in tal modo in pieno possesso di queste contrade che ho scoperte».

"Poi quell'uomo energico, che aveva affrontato tanti pericoli per compiere la meravigliosa traversata, spirò.

"Il suo compagno proseguì solo la marcia e si ricoverò presso una tribù di selvaggi, fra i quali visse parecchi mesi, cioè fino all'arrivo delle spedizioni di soccorso mandate dal governo di Vittoria."

— E il cadavere dell'esploratore, rimase senza sepoltura? — chiese Cardozo.

— No, fu sepolto, e il governo gli eresse in Melbourne un grandioso monumento.

— A tavola! — gridò in quell'istante Niro-Warranga.


Note

  1. Funicella che si adopera in marina per saldare le gomene.