Il continente misterioso/16. Le praterie velenose

16. Le praterie velenose

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15. Una traccia misteriosa 17. Le prime tracce di Herrera

16.

LE PRATERIE VELENOSE


Nei giorni seguenti, il dray procedette con una rapidità meravigliosa e con brevissime fermate. Attraversati i due fiumi Harry e Burt, che nascono sui fianchi della catena degli Strangways e che si perdono fra le sabbie dopo un breve corso, raggiunsero il Wiksteed che era privo d'acqua al pari degli altri, attraversarono i monti Reynold approfittando della vallata del Woodford, affluente del fiume più sopra nominato, girarono il monte Stuart, immenso cono isolato che si eleva presso il 21° parallelo, e giunti presso la catena dei Forster senza aver scoperte le tracce dello stregone, piegarono verso l'est tagliando il 134° meridiano fra i monti Mann e Gwine, sperando di ritrovarle in quella direzione.

Dopo un riposo di ventiquattro ore per non stremare completamente le forze dei loro animali, ripartirono a marcie forzate dirigendosi verso i monti Crawford avendo veduto in quella direzione alcuni casoari a fuggire, ma giunti presso il monte Morphett ripresero la marcia verso il nord attraversando successivamente il Wooford, affluente di destra del fiume Taylor, il Wycliffe che va a scaricarsi in una palude ma che trovarono disseccata, il Sutherland che si perde in quelle grandi pianure sabbiose e pietrose, i monti Davemport, i Murchison, Samuel, i Whistingthon.

Raggiunta finalmente la catena degli Asaburton, senza aver ritrovate le tracce, ripiegarono verso l'ovest presso il lago Wood sulle cui rive giungevano ventidue giorni dopo la loro partenza dai monti Mac-Donnell, esausti di forze, cogli animali semirattrappiti e il dray semifracassato da quella marcia immensa che toccava le quattrocento miglia.

Il Wood è uno dei più importanti bacini dell'interno del continente australiano, che è così scarso di laghi. Non è vasto, perché può misurare una quarantina di chilometri di larghezza e forse cinquanta di lunghezza, ma la sua importanza la si deve unicamente alla massa delle sue acque, che non svaporano mai completamente, anche durante i terribili caldi della stagione estiva, e alla vegetazione delle sue rive che non inaridisce. Forma, si può dire, una grande oasi in mezzo al vasto deserto di pietre, che occupa una sì gran parte del continente.

Infatti, sulle sue sponde e anche su quelle del fiume Fergusson che scaricasi in quel bacino, crescevano a profusione smisurati eucalyptus, fitti macchioni di mulghe, boschi di eriche arborescenti, di magnolie, di mimose, di rododendri, di alberi di gomma, di diacridie, di cedrule australi e di calidri spirali, avvolti fra fitte reti di liane giganti, e si vedevano praterie magnifiche cosparse di fiori d'ogni specie, di gruppi di pelargonie, di achirami, di clematidi e di lys reali grandi un buon metro. In mezzo a quei boschi e a quelle praterie si vedevano fuggire branchi di kanguri, di emù, bande di cani selvatici e sui rami correre e saltellare numerosi microtus fasciati, dal pelo grigio, volpi volanti, perameles obesuk somiglianti agli scoiattoli e svolazzare stormi di kakatue, di colombe, di sule fosche, di ardee colle penne grigie, le gambe corte e il becco lunghissimo, di pardatotos, di colombe magnifiche e anche talune menure, splendidi e bizzarri uccelli, grossi come un pollo, colle penne grigie e nere e le code foggiate in forma di una lira.

— Era tempo che si giungesse in un paese un po' meno arido! — esclamò il mastro. — Corpo d'una fregata!... che lusso di vegetali e soprattutto che abbondanza di selvaggina pelosa e piumata! Cardozo figliuol mio, ti prometto degli arrosti squisiti. Che il sole arrostisca quello stregone! Io non mi muoverò da qui, prima di aver riposate le membra una intera settimana. Auff! Non ne posso più, dottore, di questo viaggio!

— Ci fermeremo finché vorrai, Diego — disse il dottore. — È qui che noi cominceremo le nostre ricerche, per sapere dove si trova il nostro disgraziato compatriota.

— Sperate di scoprire le sue tracce, dottore? — chiese Cardozo.

— Sì, marinaio mio. Se è vero che è stato incontrato qui, noi troveremo le sue tracce. Su queste rive egli deve essersi fermato per ristorarsi delle privazioni subite nella traversata del deserto.

— Visiteremo le sponde del lago cacciando — disse Diego.

— È quello che volevo proporvi, mastro. È probabile che qualche famiglia di australiani si trovi accampata su queste sponde, e potrebbe fornirci delle importanti notizie.

— Il primo negro che incontro, lo prendo per un orecchio e ve lo conduco, dottore.

— Grazie, Diego. Prima però ci fortificheremo onde non venire sorpresi. Abbatteremo alcuni alberi e costruiremo una trincea attorno al dray.

— M'incarico io di questo, dottore — disse Diego. — Di trincee me ne intendo e Cardozo mi aiuterà. Se lo stregone spingerà contro di noi qualche tribù, troverà un osso duro da rodere. Intanto, possiamo approfittare delle tre o quattro ore di luce che ancora rimangono, per fare una battuta nei boschi. Vedo là tanta selvaggina da caricare un dray. Che ne dici, Cardozo?

— Sono con te — rispose il giovanotto. — Quattro costolette di kanguro non si rifiutano.

— Andiamo, adunque.

Mentre i due marinai, armatisi di fucili si allontanavano dirigendosi verso i boschi che circondavano il vasto bacino, Niro-Warranga aveva staccati i buoi e i cavalli e li aveva spinti verso una prateria di erbe grasse, cosparsa di fiori rossi, che parevano prodotti da una leguminosa che strisciava sul terreno. Quando li vide brucare quell'erba tenera e succulenta, l'australiano si affrettò a ritornare al dray per allestire l'accampamento notturno e fare provvista di legne secche. Pareva però in preda ad una certa inquietudine e quando il dottore, occupato nei suoi calcoli astronomici e a riordinare le sue note di viaggio non lo osservava, gettava degli sguardi strani sugli animali che si disperdevano per la prateria, come se cercassero le erbe migliori.

Temeva che si allontanassero troppo dall'accampamento e che si smarrissero sotto i boschi, o che cadessero sotto gli acuti denti dei cani selvaggi? Sarebbe stato molto difficile il dirlo.

Pochi minuti prima che il sole tramontasse, Diego e Cardozo ritornavano all'accampamento trascinando un animale che avevano ucciso presso le rive del lago e che ignoravano a quale specie appartenesse, non avendone, prima di allora, mai veduto uno simile.

Era un lucertolone lungo due metri, munito da ogni parte del collo di due espansioni cutanee che parevano due mantelli. L'avevano sorpreso fra i rami di un albero e l'avevano ucciso con due palle, mentre stava per lasciarsi cadere a terra spiegando quelle due mantelline che dovevano servire da paracadute.

— Sapreste dirci, dottore, che bestia è questa? — chiese Diego. — Vi assicuro che non ne ho mai veduta una eguale.

— È un rettile piuttosto raro — disse Alvaro, esaminando con vivo interesse quello strano lucertolone. — È stato scoperto alcuni anni or sono e gli hanno dato il nome di clamido-sauro, avendo, lo scopritore, paragonato questo stravagante mantello alla clamide degli antichi greci. So che vive sugli alberi, ma niente di più e ignoro se la sua carne sia mangiabile.

— Anche che lo fosse, vi assicuro, dottore, che non l'assaggerei. Diamine! Bistecche di lucertola! Questo piatto lo lascio volentieri ai compatrioti di Coco.

— Avete scoperto nessun indizio, del passaggio del signor Herrera?

— Nessuno, dottore — rispose Cardozo. — Abbiamo percorsi soli pochi chilometri, ma domani intraprenderemo una vera esplorazione.

— Conto su di voi, amici.

Ritornati al dray, Diego montò la prima guardia assiso al fuoco, mentre i suoi compagni si sdraiavano sui loro materassi e Niro-Warranga, che da parecchio tempo era dispensato dai quarti, diffidandosi ormai di lui, si coricava presso un gruppo di cespugli.

Durante la notte, parecchie bande di dingos attraversarono la prateria inseguendo la selvaggina, ma si tennero lontane dall'accampamento. Verso le tre del mattino però, Cardozo che era subentrato al mastro, scorse una grossa truppa avvicinarsi alla prateria di fiori rossi, dove dormivano i cavalli e i buoi. Temendo che quegli audaci predoni a quattro gambe minacciassero gli animali, si diresse da quella parte accompagnato da Niro-Warranga che si era armato d'una scure e della rivoltella e scaricò due volte il suo snider. I cani, impauriti, si allontanarono; ma poco dopo ritornarono emettendo lugubri ululati. Cardozo notò, non senza una certa sorpresa, che né i cavalli, né i buoi davano segno di essere impauriti, mentre le altre volte muggivano e nitrivano più forte che mai.

— Devono dormire molto profondamente — mormorò.

Non ci fece più caso e ricominciò le fucilate contro i cani che diventavano più audaci, facendo accorrere il mastro e il dottore.

— Conduciamo gli animali presso il dray — disse Diego. — Quelle canaglie affamate sono capaci di scannarli e di divorarli in pochi minuti.

Si diresse verso gli animali che erano coricati qua e là e menò un calcio al primo che incontrò, ma quello non diede segno di svegliarsi. S'appressò ad un bue ed eseguì l'istessa manovra, ma senza miglior esito.

— Per mille boccaporti — esclamò. — Che sonno duro hanno questi animali!

Afferrò un bue per le corna e si provò a scuoterlo: fu fatica inutile. Allora un dubbio tremendo gli passò pel capo.

— Che siano stati uccisi! — esclamò, gettando all'intorno uno sguardo sospettoso. — Dottore, Cardozo, accorrete!...

— Cos'hai veduto? Dei selvaggi forse? — chiese Cardozo.

— No, ma temo che i nostri buoi siano stati uccisi!

— Uccisi! — esclamò il dottore impallidendo.

— Non si muovono più.

Il dottore in preda ad una viva inquietudine s'avvicinò agli animali scuotendoli vigorosamente, ma non diedero segno di vita. Cavalli e buoi parevano morti.

— Gran Dio! — esclamò, tergendosi il freddo sudore che inondavagli la fronte.

— Chi può averli uccisi?...

— Ma io non vedo alcuna ferita, dottore — disse Cardozo che era ritornato recando alcuni rami accesi.

— Allora sono stati avvelenati.

— Avvelenati! — esclamarono i due marinai. — E da chi?

— Niro-Warranga — disse il dottore volgendosi verso l'australiano. — Vi sono delle praterie velenose in Australia?... Io ne ho udito parlare.

— Lo ignoro, padrone — rispose il selvaggio, girando il capo altrove.

— Lo ignori tu, che vieni dall'interno del continente e che hai passata la tua gioventù fra questi boschi e queste pianure?

— Io non lo so, padrone.

— Ehi, Coco! — esclamò il mastro. — La tua voce mi pare che tremi!... Per mille fulmini, i miei sospetti ingigantiscono ed io...

— Aspettate, Diego — disse il dottore. Prese un ramo acceso e si curvò sulle erbe osservandole attentamente.

— Dei fiori rossi! — esclamò. — Sono forse queste le praterie velenose?... Burke e altri esploratori hanno parlato di praterie dai fiori velenosi. Niro-Warranga, non hai osservato prima queste erbe?

— No, padrone — rispose l'australiano. — Ho spinto il bestiame qui, perché mi pareva che il pascolo fosse eccellente, ma io ignoravo le proprietà venefiche di questi fiori.

— Ed io credo che tu sappia ben altro, Coco! — esclamò Diego. — Qui si trama un tradimento e tu non devi essere estraneo a tutto ciò.

— Mentite, mastro Diego — rispose l'australiano, coi denti stretti. — Lo giuro su Barimai.

— Al diavolo il tuo Barimai!... Io ti dico che ti appicco al più alto albero della foresta.

— Basta, Diego — disse il dottore. — Fra breve sapremo cosa pensare di quest'uomo, che non è più lo stesso d'un tempo. Tregua alle parole inutili ora; si tratta di uscire da questa situazione che minaccia di diventare estremamente pericolosa.

— Dubitate di me, padrone? — chiese l'australiano.

— Sì, la tua condotta non è franca.

— Cosa intendete di dire?

— Che non ti comprendo più.

— Sospettate adunque di me?

— Sì.

— Allora lascio il campo. La mia presenza ormai è inutile qui, giacché gli animali sono morti.

— E dove vuoi andare?

— Ritorno verso il sud.

— Tu, solo, senza viveri!...

— Gli australiani non hanno bisogno né di carri, né di animali, né di viveri, e...

Si arrestò bruscamente, girando attorno un rapido sguardo. Nel vicino bosco erasi udito un rauco grido, che pareva emesso da un uccello notturno.

— Cos'hai? — chiese il mastro, che aveva notato quel grido e la brusca mossa dell'australiano.

— Nulla — rispose Niro-Warranga. — Mi pareva di aver udito il sibilo di un boomerang.

— O un segnale? — gli chiese Cardozo balzandogli addosso e afferrandolo strettamente per le braccia.

— E quale? — chiese l'australiano coi denti stretti.

— Che ne so io?

— V'ingannate, io non ho amici in queste solitudini.

— E il kerredais? Sapresti dirmi perché ci precede? — gli chiese Diego. Niro-Warranga nell'udire quelle parole trasalì e gettò sul mastro uno sguardo feroce.

— Ah! — esclamò con voce sibilante. — Tu sai questo?... Ebbene, prendi!...

Con una improvvisa scossa si liberò dalla stretta di Cardozo fece un balzo indietro ed estratta rapidamente la rivoltella sparò due colpi sul mastro; poi, prima che i due marinai e il dottore, stupiti, potessero fare un moto solo, si gettò nella vicina foresta, scomparendo sotto la cupa ombra dei grandi alberi.