Il capitano della Djumna/Parte seconda/17. Le sabbie mobili

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17. LE SABBIE MOBILI


Come si disse, la loro fuga precipitosa li aveva condotti sulle sponde d'una palude nascosta nel mezzo d'una boscaglia assai folta e d'aspetto selvaggio. Le piante che la circondavano erano così alte e così fronzute, che sopra quelle acque regnava una semioscurità ed una umidità tale, che larghi goccioloni stillavano dall'estremità dei rami e scendevano lungo i tronchi. Un odore di putredine, derivato senza dubbio dal disciogliersi delle foglie cadute, delle radici dei colossi e dei rami abbattuti dai venti, regnava sotto quelle oscure vòlte di verzura, togliendo quasi il respiro.

Alì si era spinto sull'orlo di quel bacino che aveva una estensione di qualche chilometro sì in lungo che in largo, e guardava attentamente quelle acque oscure e fangose, come se volesse accertarsi se celavano delle sabbie mobili o dei pericolosi ospiti. Aveva notato che quasi nel mezzo della piccola palude sorgeva una specie d'isolotto coperto da un macchione d'alberi, e gli era venuta l'idea di cercare di raggiungerlo, certo che colà non sarebbero stati facilmente scoperti dagli andamani.

Con un colpo di scure spezzò un lungo ramo e lo immerse. L'acqua era poco profonda, poco più d'un metro, ed il terreno gli parve abbastanza solido.

— Tentiamo la traversata — diss'egli. — Un soggiorno di trenta o quaranta ore, non ci sarà fatale, spero.

Si prese Narsinga in braccio, se la mise a cavalcioni delle spalle, le affidò le pistole e le munizioni per non bagnarle ed entrò risolutamente in quelle acque nere e fangose, appoggiandosi al bastone.

Sciapal non si era fatto pregare per seguirlo, ma anche lui si era armato d'un lungo e solido randello, temendo che quelle acque nascondessero dei coccodrilli.

Il fondo del bacino dapprima parve abbastanza solido, ma poco dopo divenne così viscido e così fangoso, che i due uomini cominciarono a diventare inqueti. I loro piedi sprofondavano entro una mota tenace, che li chiudeva come in una morsa, e di tratto in tratto sentivano il terreno cedere bruscamente, come se sotto si estendessero dei banchi di sabbie mobili.

Dei rettili disturbati da quei gorgoglìi dell'acqua, fuggivano e venivano a contorcersi alla superficie, per poi tosto immergersi. Alì e Sciapal avevano creduto dapprima che fossero coccodrilli, ma si erano ben presto accorti che si trattava di grandi lucertole lunghe due metri chiamate bewah, affatto inoffensive e molto paurose.

Procedendo con estrema prudenza e tastando sempre il fondo, erano già giunti a cinque o sei metri dall'isolotto, quando Alì sentì a mancarsi il terreno sotto i piedi, immergendosi fino alle spalle.

— Sciapal!... — esclamò. — Un banco di sabbie mobili!...

— Ma no, padrone — disse l'indiano. — Il terreno è solido sotto i miei piedi.

— Affondo, Sciapal.

— Aspetta che vengo in tuo aiuto.

— No, ci annegheremmo tutti e tre.

— Che devo fare? — chiese l'indiano, con terrore.

— Vai sull'isolotto e porgimi un lungo ramo. Bada di non avvicinarti o affonderai anche te.

— Puoi resistere qualche minuto?

— Lo spero.

— Non muoverti o t'immergerai più presto.

L'indiano s'avanzò verso l'isolotto, scandagliando il fondo col bastone, ma s'avvide subito che il banco di sabbie mobili si estendeva in quella direzione, tagliandosi la via.

Si mise a girarlo, continuando a spingere innanzi il bastone, ma perdeva un tempo prezioso che poteva diventare fatale ad Alì ed a Narsinga. Il capitano rimaneva perfettamente immobile, non ignorando che la minima mossa, il più piccolo tentativo fatto per sottrarsi a quell'assorbimento, avrebbero affrettata la sua discesa nel banco traditore, ma anche restando fermo, a poco a poco vedeva l'acqua montare.

Già cominciava a sentirsi bagnare il mento e la bocca era a breve distanza. Ancora un minuto, forse meno, e non avrebbe potuto più respirare. Narsinga taceva, ma guardava montare, con due occhi smarriti, la nera superficie di quell'acqua. Sentiva che il suo valoroso salvatore a poco a poco, millimetro per millimetro, scendeva nell'orribile tomba delle sabbie mobili.

— Presto, Sciapal! — esclamò Alì che aveva già l'acqua sotto le labbra. — Presto o sono perduto.

— Eccomi, padrone — urlò l'indiano.

Aveva trovata una lingua di terra solida ed aveva raggiunto l'isolotto. Con una strappata irresistibile spezzò un ramo lungo parecchi metri e solido e lo porse rapidamente ad Alì, tenendo ben stretta l'estremità opposta.

— Grazie — ebbe appena il tempo di mormorare il disgraziato capitano. — Ora...

La seconda parola gli fu soffocata dall'acqua, che gli entrava ormai nella gola.

S'aggrappò disperatamente al ramo e Sciapal operò una energica trazione, strappandolo lentamente da quel banco che doveva inghiottirlo. A poco a poco i piedi furono liberati ed Alì potè finalmente giungere presso l'isolotto, sulle cui rive si lasciò cadere, dopo d'aver deposta Narsinga.

— Mio padrone — disse la piccola bengalese, prendendogli la testa fra le mani, — Tu mi hai salvato: sono tua.

— Ci siamo salvati insieme — rispose Alì, sforzandosi a sorridere. — Diamine!... Non ho mai avuto paura della morte come pochi minuti fa. Quelle sabbie sono ben terribili! Sento rizzarmi ancora i capelli sul capo, pensando che stavo per venire assorbito vivo.

— Ed io ho tremato più di te, padrone — disse Sciapal. — Temevo di non giungere in tempo a salvarti e di vedervi sparire tutti e due.

— Non dimenticare la direzione del banco, Sciapal.

— Perché.

— Perché saremo costretti a riattraversare la palude.

— È vero, ma so dove esiste il passaggio e non lo scorderò.

— Visitiamo la nostra possessione ora. Mi sembra che il nascondiglio sia tale, da permetterci di riposare in piena sicurezza.

— Tanto più che è difeso dalle sabbie mobili — aggiunse l'indiano.

Quell'isolotto, che sorgeva quasi al centro della palude, aveva un diametro di venticinque o trenta metri ed era formato da un agglomeramento di radici semidisorganizzate e di foglie già quasi tramutate in terriccio. Su quell'ammasso di legni e di terra erano sorti rigogliosi dodici o quindici alberi, alcuni banani selvatici che portavano delle frutta sottili e probabilmente poco gustose, alcuni manghi e due o tre dammar resinosi.

Quella foresta microscopica erasi già popolata, poiché si vedevano correre sui tronchi degli alberi delle lucertole cantatrici simili a quelle che si vedono in grande numero a Giava ed a Sumatra e che lanciano, quasi senza interruzione, un grido strano che suona geh-ko, mentre sui rami cicalavano degli uccelletti piccoli dai colori brillanti a riflessi metallici, somiglianti ai trochilidi americani e delle geopelie, specie di colombe.

— È un nascondiglio quasi impenetrabile — disse Alì, dopo d'aver fatto il giro dell'isolotto. — Se gli andamani si sono messi in caccia, non sospetteranno di certo che noi ci siamo rifugiati qui.

— Ma mi sembra che la selvaggina non abbondi, padrone — disse Sciapal. — Pensa che non abbiamo ancora fatta la colazione.

— Vi sono dei manghi.

— Che saranno impregnati di resina e quindi detestabili.

— Vi sono dei banani.

— Che basteranno appena per oggi.

— Pel domani penseremo e poi...

— Zitto, padrone! — esclamò Sciapal.

— Cos'hai udito?

— Ascolta!

In lontananza si udirono echeggiare delle urla le quali durarono qualche minuto, poi bruscamente cessarono. Gli uccelli delle foreste, spaventati, erano subito diventati silenziosi, ma poco dopo ripresero i loro gorgheggi e le loro strida.

— Che gli andamani abbiano scoperte le nostre tracce? — si chiese Alì, aggrottando la fronte.

— O che l'albero sia caduto! — disse Sciapal.

— Non è possibile, — rispose il capitano, — e poi deve essere assai lontano.

— Che cosa facciamo, padrone?

— Nulla, per ora. Speriamo che quei furfanti non si accorgano che noi ci siamo nascosti qui. Finché abbiamo del tempo disponibile, raccogliamo i banani ed i manghi.

— M'incarico io di ciò — disse Narsinga.

La piccina, che era agile come una scimmia, s'arrampicò sui manghi, raccogliendo le frutta, mentre Sciapal si cacciava fra le smisurate foglie dei banani, staccando i grossi grappoli.

Alì da parte sua frugava in mezzo ai cespugli delle rive, sperando di trovare qualche animale, ma invano. Stava per raggiungere i compagni, quando vide dei pesci lunghi dieci centimetri, muniti di pinne che parevano robuste, rinforzate da certi lobi carnosi che sembravano zampe rudimentali, balzare fuori dall'acqua, saltellare sulle rive aiutandosi colle code e colle pinne, e cacciarsi fra le erbe.

— Toh toh! — mormorò il capitano, sorpreso. — Dei periophtolmus. Ehi, Sciapal, vieni ad aiutarmi.

— Hai trovato qualche animale, padrone? — chiese l'indiano, accorrendo.

— No, dei pesci, ma che sono saltellanti.

— Hai trovato una rete forse?

— Non occorre, poiché si sono nascosti fra le erbe ed i cespugli.

— Ah! Questa è strana! Dei pesci che si nascondono fra i cespugli!

— Guarda come guizzano.

L'indiano si curvò e vide infatti due o tre dozzine di pesci che balzavano fra i cespugli, inseguendo gl'insetti che fuggivano attraverso le erbe. Quantunque fosse straordinariamente sorpreso, s'affrettò a dar loro la caccia, aiutato da Alì, riuscendo a prenderne una ventina. Gli altri, spaventati, si erano slanciati giù dalla riva, scomparendo sotto l'acqua.

— Non ho mai veduto una cosa simile, padrone — disse l'indiano.

— Ed io ho veduto degli altri pesci perfino in mezzo a dei campi coltivati — rispose il capitano. — A Giava ed a Sumatra ho trovato degli anabas, si chiamano così quei pesci, a due o trecento passi dalle rive dei fiumi o del mare.

— Vivi?

— Vivissimi, anzi ne vidi alcuni che stavano cercando di salire perfino sugli arbusti. Si dice che salgono anche sugli alberi, ma non so se ciò sia vero.

— Oh.

— Ancora le grida?

— Sì, padrone.

— Ma quei furfanti, non vogliono proprio lasciarci tranquilli un solo momento.

— Il capo avrà giurato di farti pagare i due pugni.

— Ma se me lo vedo ancora dinanzi gli regalerò invece due buone palle nella zucca, mio caro Sciapal.

— Hai parecchi colpi ancora?

— Undici.

— Sono pochini, padrone.

— Basteranno per quelle canaglie. Ecco che si avvicinano: nascondiamoci, Sciapal.

Si erano appena celati fra le piante dell'isolotto, quando videro apparire un selvaggio. L'astuto andamano procedeva lentamente e con mille precauzioni, esaminando attentamente le erbe ed i cespugli per cercare le tracce dei fuggiaschi.

Dopo di aver girato qua e là attorno agli altissimi alberi, sempre investigando, s'arrestò dinanzi alla palude, guardando sospettosamente le oscure acque. Pareva che cercasse le tracce sul fondo limaccioso del bacino. Ad un tratto si rialzò di colpo, guardando l'isolotto con una viva curiosità. Il suo istinto d'uomo dei boschi non lo aveva ingannato. Alzò le braccia e mandò tre grida acute. Pochi istanti dopo due altri selvaggi apparivano presso la riva della palude, armati di due grossi archi e di due fasci di frecce.

I tre andamani si scambiarono delle parole additandosi l'un l'altro l'isolotto, poi uno di essi scese risolutamente in acqua, dirigendosi verso il nascondiglio di Alì e dei suoi compagni. Doveva conoscere la pericolosa qualità del fondo, perché si avanzava lentamente e tastando le sabbie. I suoi amici avevano intanto armati gli archi e pareva che si tenessero pronti a lanciare delle frecce.

— Padrone, — disse Sciapal, — siamo scoperti.

— Non ancora — rispose Alì, il quale però aveva armato risolutamente le pistole. — Stiamo zitti e non facciamoci vedere.

— Ma fra pochi minuti quel dannato selvaggio sarà qui.

— Hai dimenticate le sabbie mobili?... È vero che quei nani pesano molto meno di noi, ma non passeranno, Sciapal. Se però troveranno il passaggio, ho le pistole e farò presto a spacciarli.

— E poi avremo addosso tutti gli altri e ci assedieranno.

— L'assedio lo prevedo e lungo.

— Brutta situazione, quando la dispensa è così magra.

— Si vivrà come si potrà e stringeremo le cinture quando il ventre comincerà a diventare vuoto.

Intanto l'andamano continuava ad avanzarsi, sempre con precauzione, incoraggiato dai suoi compagni.

Già non distava che venti passi dall'isolotto, quando lo si vide arrestarsi bruscamente, mandando un grido di terrore.

— Le sabbie lo hanno preso — disse Alì.

— Lo vedo — rispose Sciapal.

— Non muoverti.

— Lascia che lo inghiottano.

L'andamano sentendosi afferrare pei piedi, si era messo a dibattersi, sperando di sottrarsi alla spaventosa stretta, ma invece non faceva altro che aumentare l'assorbimento e sprofondava sempre più.

I suoi compagni, terrorizzati, non osavano gettarsi in acqua. Urlavano come ossessi, tendevano le braccia verso il disgraziato, correvano ora innanzi ed ora indietro, ma non scendevano la sponda.

Alì, vedendo quel povero diavolo in procinto di scomparire, aveva fatto un passo innanzi per afferrare un lungo ramo e porgerglielo, ma Sciapal lo aveva arrestato, dicendogli:

— No, padrone! Ci farai scoprire e salvando quell'uomo perderesti noi.

— Sta per morire, Sciapal — disse Alì.

— Lo vedo, ma è necessario che s'affoghi. Se tu ti trovassi al suo posto, gli andamani invece di aiutarti a uscire da quelle sabbie, ti prenderebbero a colpi di freccia.

— Sarà vero, ma io non posso assistere tranquillo alla morte d'un uomo, sia pure d'un nemico. Accada ciò che si vuole, io lo salverò.

— Padrone...

— Sono deciso, Sciapal.

Strappò un lungo ramo, balzò sulla riva dell'isolotto e lo stese. Il disgraziato selvaggio, che aveva già l'acqua alle labbra, vedendo quel bastone in mano al nemico, emise un urlo terribile credendo che l'uomo bianco volesse spaccargli il cranio, mentre i suoi due compagni raddoppiavano le grida.

— Aggrappati... presto — disse Alì, il selvaggio vedendo il ramo a portata delle mani lo afferrò con vigore disperato, gettando sul suo salvatore uno sguardo atterrito.

— Non lasciarlo — continuò il capitano.

Poi si mise a tirarlo fuori dalle sabbie, con piccole scosse e lo trasse sulla riva. L'andamano appena si sentì salvo s'arrampicò lestamente sull'isolotto e cadde ai piedi dell'uomo bianco, dicendo in bengalese:

— Mi uccidi o mi concedi la vita?

— Se non ti ho lasciato affogare, vuol dire che volevo salvarti. Alzati: nulla hai da temere.

— Sono tuo schiavo: fa' di me quello che vuoi.

— Vedremo se ci sarai utile. Ma dove sono i tuoi compagni?

— Sono scomparsi — rispose Sciapal, venendo avanti.

— Il diavolo se li porti.

— Non se li porterà via, perché ritorneranno, padrone e ci assedieranno.

— Ci difenderemo, Sciapal.

— Con questo nemico in casa?

— È nostro schiavo.

— E ti fidi, padrone?

— Per Bacco!... Al primo sospetto lo rigetto in acqua e ti giuro che dalle sabbie mobili non lo leverei più. Orsù, facciamo colazione finché abbiamo un po' di tempo.