Il capitano della Djumna/Parte prima/7. Il pariah

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7. IL PARIAH


Sei giorni dopo gli avvenimenti narrati, una bella nave scendeva la corrente dell'Hugly, col favore del vento e della marea, lasciandosi a poppa la capitale del Bengala, che allora allora cominciava ad indorarsi dei primi raggi dell'astro diurno.

Era uno di quei navigli che gl'indiani chiamano pariah, a due alberi, colla punta assai acuta, ma non aveva le forme barocche delle navi di questa specie che costruiscono sulle coste del Coromandel o del Malabar. Se portava l'attrezzatura delle pariah, aveva lo scafo delle grab, costruito gran parte con alberi di tek, legno ben noto per la sua estrema durezza e col quale si fanno le sbarre e le bordature, mentre la parte immersa era di salice indiano, legno pesantissimo, che viene considerato come incorruttibile e che può resistere perfino cento anni ai morsi dell'acqua salata. Dodici indiani seminudi, color del bronzo, di statura alta, stavano immobili alle braccia delle manovre, pronti ad allentare od a stringere le vele, mentre a poppa, un vecchio dalla pelle bianca, con una barba brizzolata, teneva in mano la ribolla del largo timone.

A prora invece, un uomo giovane, vestito di tela bianca, discorreva con un giovanetto di tredici o quattordici anni, pure vestito di bianco e col capo coperto da un grande cappello di fibre di rotang.

Non sarebbe necessario dire che il vecchio, che stava al timone era Harry, il giovane era Oliviero e il suo compagno, il fratello del disgraziato comandante della Djumna.

Il pariah, abilmente diretto, con tutte le vele ben gonfie, filava con una rapidità di sette od otto nodi all'ora, favorito dalla corrente che scendeva colla marea, passando dinanzi ad una interminabile fila di bungalow, di capanne, di giardini, di piantagioni e di risaie e guizzando abilmente fra centinaia di barche e di navi, che salivano verso la regina del Bengala. Coll'alzarsi del sole, il fiume gigante si svegliava. Le sue sponde si popolavano di uomini e di animali, gli uni per fare i loro bagni giornalieri e per recitare le loro preghiere, coi piedi immersi nell'acqua come usano i bramini brigibasi, alla cui casta appartengono i contadini ed i portatori di palanchine, e gli altri per dissetarsi. Le barche fluviali riprendevano i loro viaggi interrotti dalla notte, o lasciavano i loro ancoraggi, per compiere i loro carichi nei villaggi o nei grandiosi magazzini dei ricchi negozianti o delle fattorie europee. L'architettura navale di tutta l'India aveva i suoi campioni svariati. Si vedevano centinaia di bangle, grandi barche fluviali che possono caricare perfino cinquemila mona di riso, con alberi enormi fatti di bambù uniti e con un tetto di foglie, per riparare gli equipaggi; gran numero di poular, piccoli bastimenti, ben costruiti, adatti alla navigazione interna, colla poppa e la prora alte assai e con un piccolo albero munito d'una vela quadra; grosse pinasse, divise in tre cabine, con una specie di varanga sul dinanzi, e che vengono adoperate pel trasporto dei viaggiatori, e quindi una infinità di battelli minori, di murpuriky specie di baleniere colla prora foggiata a testa di pavone, e di ponga, barchette scavate nel tronco d'un albero.

Non mancavano nemmeno alcune di quelle bellissime barche usate dai principi indiani e chiamate fylt-sciarra ossia teste d'elefante, perché a prora portano scolpita una testa di quei pachidermi, lunghe oltre cinquanta piedi e montate da gran numero di remiganti vestiti sfarzosamente. Il pariah però, che scendeva con crescente rapidità, ben presto oltrepassò gli ultimi sobborghi della grande città e si trovò quasi solo sulla grande fiumana. Solamente alcune grab lo seguivano, ma ad una grande distanza, essendo l'Hugly larghissimo al di sotto di Calcutta.

La sponda sinistra che allora fiancheggiava, essendo colà più sensibile la bassa marea, a poco a poco diventava deserta, selvaggia. Le immense paludi delle Sunderbunds che formano il delta gangetico, cominciavano colle loro nebbie pestilenziali e colle loro gigantesche piantagioni di bambù, sede dei serpenti e delle tigri.

Solamente di tratto in tratto appariva ancora qualche piccolo attruppamento di misere capannucce di foglie, circondate da risaie o da piantagioni d'indaco, ma anche quelle non tardarono a scomparire. Alle otto del mattino Calcutta non era più visibile sull'orizzonte settentrionale; l'imponente linea dei suoi palazzi e la sua enorme fortezza erano scomparsi. Il pariah si era allontanato dalla sponda, non essendo prudente costeggiare le terre paludose delle Sunderbunds, che sono cinte da banchi fangosi, dai quali non di rado irrompono le tigri che si nascondono fra i paletuvieri, osando lanciarsi talvolta perfino sul ponte delle navi.

Harry, dopo essersi assicurato che la velatura era ben disposta, aveva ceduta la barra ad un indiano ed aveva raggiunto Oliviero ed Edoardo, che non avevano abbandonata la prua.

— Tutto va bene — disse. — A mezzogiorno potremo lasciare Diamond-Harbour e questa sera navigheremo nel golfo.

— E quando speri di farci avvistare le Andamane, vecchio mio? — chiese Oliviero.

— Se il diavolo non ci mette la coda, approfittando del monsone favorevole, potremo giungere alla Grande Andamana fra una dozzina di giorni. Voi però sapete che l'uomo propone e che Dio dispone, e questo proverbio è più che esatto in mare.

— Ti sembrano abili, i nostri uomini?

— Il presidente della «Young-India» ha scelto un equipaggio che non mi pare a nessuno secondo. Tutti bei pezzi di giovanotti e marinai obbedienti, signor Oliviero. Io me ne intendo, ve lo assicuro e non m'inganno.

— Ti credo, Harry. Sei un lupo di mare di quelli vecchi. Bada però che i nostri uomini non abbiano alcun contatto col mariuolo che è rinchiuso nella cabina. Non sempre si può fidarsi interamente di quest'indiani.

— Non abbiate timore, signor Oliviero. Fra i nostri marinai non vi sono né saniassi, né ex-saniassi e poi Garrovi non vedrà che me. Tengo io la chiave della sua cella e non potrà corrompere nessuno.

— Sei un carceriere di cui si può fidarsi.

— Lo credo — disse il marinaio, sorridendo.

— È sempre tranquillo?

— Quando l'ho rinchiuso nella cabina mi parve calmo, ma molto scoraggiato.

— Al furfante non piacerà di certo il doversi trovare un giorno di fronte alla sua vittima.

— Credo però che a quel tizzone d'inferno, rincresca di più la sua vita signorile così bruscamente troncata; in causa di quell'oca emigrante. È così incallito nel delitto, che non si commuoverà rivedendo il suo antico capitano.

— Eppure temo che mio fratello non gli perdoni l'infame tradimento — disse Edoardo. — Quando se lo vedrà dinanzi, lo ucciderà.

— Sarà una canaglia di meno — disse Harry. — Non sarò di certo io che cercherò di salvarlo.

— Gli abbiamo promessa salva la vita, se ci sarà fedele, vecchio mio.

— E credete, signor Oliviero, che ci rimarrà fedele?... Quel gaglioffo arde dal desiderio di vendicarsi, ve lo dico io.

— Peggio per lui, Harry: Ma... toh!... Che cos'è quel fumo che s'innalza sulla sponda?... Un incendio forse?

Harry ed Edoardo si volsero e videro, fra le piantagioni di bambù che coprivano le isole fangose dell'Hugly, elevarsi parecchie colonne di fumo sulle quali volteggiavano nembi di scintille.

— Vi sarà qualche villaggio di molanghi dietro a quelle canne giganti — disse Harry.

— E lo bruciano? — chiese Oliviero.

— No, signore — rispose Edoardo. — Bruciano dei cadaveri, per poi gettare le ceneri nelle sacre acque del Gange.

— Le quali le porteranno diritto in paradiso — disse il tenente, ridendo.

— Tale è la loro credenza, signore.

— Odo i tare — disse Harry. — Bruceranno il cadavere di qualche capo di certo.

— Cosa sono questi tare? — chiese Oliviero.

— Delle lunghe trombe che vengono adoperate nei funerali. Udite?

Delle note tristi, lugubri, echeggiavano in mezzo alle colonne di fumo, seguite da rulli molto sordi, che parevano prodotti da molti tamburi e da canti scordati che talvolta diventavano dei veri ululati.

— Non ho mai veduto una cerimonia funebre in queste poche settimane che sono in India — disse Oliviero. — Si dice che siano paurose: è vero, Harry?

— Poco allegre di certo, — rispose il marinaio, — ma molto curiose, signor Oliviero. Tra poco il pariah passerà dinanzi a quel rogo e potrete assistere alla funebre cerimonia.

Infatti la nave, per evitare un grande banco di sabbia segnalato con un gavitello, poggiava verso la sponda, avvicinandosi a quelle colonne di fumo. Dal castello di prua, su cui si tenevano Oliviero ed i suoi compagni, si poteva distinguere ciò che succedeva sulla riva, senza bisogno di munirsi di cannocchiali.

Il rogo era stato innalzato in una piccola radura, aperta fra i bambù e riparata da un muro. Attraverso al fumo e alle fiamme consumanti il cadavere, si vedevano apparire e scomparire parecchie dozzine di quei brutti molanghi che abitano le paludi del Gange, uomini di piccola statura, gracili, dalla pelle nera e quasi sempre tremanti di febbre.

Alcuni suonavano i tare, altri percuotevano dei piccoli tamburi, facendo un fracasso infernale, mentre i rimanenti cantavano le lodi del morto. Sulla muraglia, gran numero di marabù, grossi uccelli dal lungo e robusto becco e colle ali nere, grandi divoratori di carogne, e degli arghilah e dei bozzagri, parevano che attendessero pazientemente la fine della cerimonia, per impadronirsi degli avanzi del cremato.

Di tratto in tratto un indiano s'avvicinava al rogo e versava dei recipienti pieni d'olio profumato per ravvivare le fiamme, le quali allora s'alzavano gigantesche, minacciando di bruciare le penne dei volatili, senza però che questi s'incomodassero a lasciare i loro posti.

Quando il pariah fu di fronte alla piccola radura, le urla dei molanghi raddoppiarono e i tare echeggiarono più acuti che mai, mentre un giovane, cacciatosi fra le scintille, percuoteva con grande forza la catasta di legna, con una specie di mazza.

— Il morto era un bramino — disse Harry, che guardava con viva curiosità quei brutti indiani. — Era di certo un personaggio importante.

— Da che cosa arguisci che era un bramino? — chiese Oliviero.

— Sapete chi ha percosso con quella mazza di ferro quell'indiano?

— Il rogo mi pare.

— No, ha rotto il cranio a suo padre. Quel giovanotto era il figlio del morto.

— E perché lo ha percosso sul capo?

— Diamine, perché l'anima del morto potesse uscire — rispose il marinaio.

— Tu vuoi burlarti di me.

— No, signore — disse Edoardo. — Harry ha detto il vero. Ai bramini si usa spezzare il cranio, quando il cadavere è ormai incandescente.

— E poi gettano le ceneri nel fiume?

— Sì, ma le ossa vengono raccolte e conservate, per gettarle nel fiume in qualche grande occasione — continuò Edoardo.

— Mi hanno detto però, che gl'indiani non sempre abbruciano i cadaveri.

— È vero, signore. Talvolta gettano nel fiume il morto senza prendersi la briga di cremarlo. Sono convinti che andrà egualmente in cielo.

— O nel ventre dei coccodrilli — disse il tenente, ridendo. — Ed è vero che talvolta accelerano la morte dei moribondi?

— Verissimo e lo fanno coll'acqua sacra del Gange, costringendoli a berne tanta da scoppiare o poco meno — disse Harry. — Ehi!... Timoniere!... Attento ai banchi!...

Il fiume, che andava allargandosi smisuratamente, avvicinandosi alla foce, cominciava allora a diventare pericoloso, in causa dei grandi banchi di sabbia che si staccavano dalla sponda o che si elevavano in mezzo a delle isole o degli isolotti che si estendevano in tutte le direzioni.

Il pariah aveva molto da fare ad evitare quegli ostacoli, che crescevano ad ogni momento di numero, ma ben presto se ne liberò, allontanandosi dalla riva e prendendo definitivamente il largo.

Qualche isola però stendeva i suoi promontori sabbiosi per un lungo tratto, costringendo la nave a descrivere delle lunghe curve.

Tutte quelle terre, divise da migliaia e migliaia di canali e di canaletti, apparivano prive di capanne e di abitanti.

Erano coperte da vere jungle spinose, costituite da ogni specie di bambù, avvinti da quelle piante arrampicanti chiamate calamo, che si allungano straordinariamente e che gli indiani adoperano per legare gli elefanti o per attaccare le ancore delle loro barche, tanto quelle fibre sono solide. Di tratto in tratto si vedevano apparire sulle sponde dei branchi di bufali selvaggi, animali di grossa taglia, colle corna di bellissima forma, colla fronte larga, selvaggina formidabile, poiché osa gettarsi perfino contro le tigri e non teme di scagliarsi anche contro un esercito di cacciatori. Guatavano cogli occhi sanguigni la nave, poi fuggivano in mezzo ai terreni paludosi, loro posti favoriti, essendo amanti dell'acqua e del fango. Altre volte invece si mostravano delle bande di oxis, graziosi animali che hanno del cervo e del daino, col pelo fulvo picchiettato di bianco o dei reggimenti di sàras schierati in bell'ordine, specie di gru di alta statura, colle penne lisce e d'una tinta grigio-perla.

Alle sei di sera, il pariah, che aveva filato sempre con buona velocità, passava dinanzi a Diamond-Harbour, porticino situato alla foce dell'Hugly, dove le navi ordinariamente si fermano per ricevere gli ultimi dispacci, composto d'una casa, circondata da pochi alberi di cocco e d'un faro.

Harry che si era messo alla barra, virò al largo, lasciando alla sua sinistra l'isola di Saugor, spinse la nave al di là delle Sandheads ossia Teste di sabbia, che sono immensi banchi pericolosissimi proiettati dal Gange nel golfo del Bengala e un'ora dopo, nel momento in cui il sole spariva dietro l'orizzonte, la spedizione si trovava in pieno mare.