Il buon cuore - Anno XIV, nn. 37-38 - 18 settembre 1915/Religione

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Vangelo della domenica IIa dopo la Decollazione

Testo del Vangelo.

Diceva il Signore Gesù a’ suoi discepoli: Guardatevi dai falsi profeti, che, vengono a voi vestiti da pecore, ma al di dentro sono lupi rapaci. /.i riconoscerete dai loro frutti. Si coglie forse uva dalle spinc, o fichi dai triboli? Così ogni buon albero porta buoni frutti; e ogni albero cattivo fa frutti cattivi. Non può un buon albero far frutti cattivi; nè un albero cattivo far frutti buoni. Qualunque pianta che non porti buon frutto, sarà tagliata e gettata nel fuoco. Voi li riconoscerete adunque dai frutti loro. Non tutti quelli che dicono: Signore, Signore, entreranno nel regno de’ cieli; ma colui che fa la volontà. del Padre mio, che è ne’ cicli, questi entrerà nel regno de’ cicli. (S MATTEO, cap. 8). Pensieri. Il tratto di Vangelo riferito fa parte del discorso. della Montagna, discorso che potrebbe chiamarsi il programma’ religioso e sociale di Gesù. Dopo una notte passata nella solitudine e nella preghiera, aveva allora allora scelto i suoi Dodici; popolo si accalcava attorno a Lui, avido di sentire la parola nuova. E Gesù in parte riassume gli insègnamenti già dati, in parte ne formula dei nuovi. i Come l’udirono ammirati quei primi seguaci del Cristo, così anche noi rimaniamo conquisi (li meraviglia dinnanzi a questo monumento di sanienza: i pregiudizi sono sfatati, le ragioni pi4 intime ed alte della psiche umana sono illuminate:•l’uomo che ha fede in Cristo non sente più i tormenti della ricerca angosciosa della verità, perché chi ’segue Lui, chi. ascolta la sua parola ha la verità e la vita. [p. 260 modifica]Ma come Gesù sentì il bisogno di istituire dei Maestri che si spargessero in mezzo alle turbe per evangelizzarle, così anche oggi, l’uomo, per raggiungere cotesta verità che è vita, ha bisogno di qualcuno che lo guidi. Non si arriva al possesso della verità senza uno sforzo, senza un lavorio assiduo: sforzo o lavorio che l’uomo da solo non può compire: ha bisogno di sentirsi altri al fianco, compagno e a volti guida nella faticosa ascensione. Ecco infatti una scena che si ripete costantemente attraverso la storia d&l’umantià: le anime volonterose, le coscienze che vogliono elevarsi al sapere e al bene si stringono sempre attorno a qualche personaggio che,in sapere e bontà mostri qualche esperienza. Forse è un po’ la nostra natura inferma che si spaventa a compiere da sola il faticoso cammino, forse è una non ingiustificata sfiducia nella resistenza della nostra volontà e insieme una fiduciosa dedizione a chi abbiamo sperimentato migliore di noi: c’entra di certo anche l’ammirazione per la virtù che abbiamo sentito in altri: fatto sta che tutti, quando vogliamo progredire, volgiamo attorno lo sguardo, avidamente cercando una guida, un maestro, un Profeta, secondo la parola del Vangelo. E la parola Maestro ha in sè un altissimo significato: la si pronunzia con un misto di venerazione e di gioia. è diventata equivalente ad un altro dei grandi vocaboli umani: Padre. L’uno è il principio d’ella vita fisica, l’altro della vita intellettuale e morale: ambedue, con azione simultanea, tendono alla formazione, armonica e compiuta, di quella meraviglia che è l’uomo sano e virtuoso.

Queste tendenze ad affidare ad altri la direzione della nostra coscienza costituisce senza dubbio un pericolo: Gesù è sollecito della nostra salute e quindi non ci risparmia l’avvertiMento: Guardatevi dai falsi Profeti! E perchè l’ammonimento sia efficace aggiunge qualcuno dei caratteri che, contraddistinguono il vero Maestro, il Maestro che illumina e santifica, da colui che di maestro ha solainente l’esteriore, ma non il cuore e l’azione. E’ certo che a costituire la personalità del Maestro entra, come elemento essenziale, il sistema che esso segue, la scuola cui appartiene: dimodochè per stabilire il valore morale di un Maestro non basta mettere in bilancia le sue virtù naturali o morali, ma bisogna naturalmente aggiungere. quanto di logico, di dimostrato o di vero si trova nella sua dottrina. Così Maestro e dottrina formano,un insieme che, secondo il Vangelo, per riuscire efficace, è necessario in qualche modo assomigli all’agnellino. In che cosa?

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L’agnellino, così candido, così timido, è il’simbolo della delicatezza, della purità, d’ogni sentimento tenero e squisito. La virtù, il ricordo del mite animale

inclina a pensieri di pace, di perdono, a visioni serene. E non è analogo il sentimento ’che si desta in noi al ricordo dei nostri buoni maestri, che colle prime nozioni del sapere, ci hanno istillato l’amore, le venerazioni alle cose belle e ci hanno messo nell’animo istinti:di virtù? E non è un senso di pace, una larga onda di amore dei fratelli, una voluttà santa di bene che ci siamo sentiti trascorrere nelle vene, quando abbiamo potuto apprezzare e tradurre in pratica dottrina di coloro che gli insegnamenti attingevano all’insegnamento e al labbro di Colui che tutte. le generazioni chiameranno il Maestro Divinof Come osano chiamarsi Maestri. dei ttibuni improvvisati, che pur ripetendo a sazietà la parola fratellanza, non sanno insegnare ai loro adepti che l’odio contro il vicino e l’infausta lotta di classe contro classe? L’agnellino ci richiama ancora idee di docilità, di rispetto ai diritti altrui e all’autorità. E abbiamo qui un altro dei caratteri di una buona scuola. Se una dottrina, un sistema sociale o religioso mi insinua la soprafazione e non sa conciliare i diritti coi doveri, se non sa contenere le violenze della passione di fronte alla ragione, di fronte alle intuizioni del sentimento: un sistema che non sa imporre il rispetto alla proprietà, alla coscienza e magari anche alle deficienze degli altri e fomenti invece il gelide egoismo, un sistema sifatto, io lo rigetto, abbia pure le apparenze più suggestive; è un sistema erronee, è un falso maestro. E in ultimo, per un insieme di circostanze storiche, l’agnellino richiama l’idea del sagrificio. E nel maestro vero la troverai sempre questa nota dell’uomo spassionato che per la sua scienza e per le coscienze a Lui affidate sa agonizzare, sa sacrificare la vita. E come è superbamente bella la visione dell’uomo che nell’investigare la verità non si lascia fuorviare non da debolezze di natura, non da difficoltà da sormontare, non (la rinuncie che fanno sanguinare, ma che non sente che la voce della ragione e della coscienza. Magnifico il gesto di quest’uomo che ciò che ha raccolto faticosamente nel silenzio. lo predica agli altri e tutt’attorno a sè desta una meravigliosa fioritura di idee nobili, di fieri proposit. d’atti generosi! O voi che nella scuola, o nel tempio, o nella famiglia, coll’esempio, colla parola, cogli scritti, lavorate ad istruire, ad educare, ad elevare le intelligenze, le coscienze, voi, primi e più nobili lavoratori. della famiglia umana, siate benedetti!

Un tremendo, un brutale grido di ira selvaggia, quasi fischio di colossale bufera, è scoppiato, or sono alcuni anni’, sul nostro paese. La indignazione d’allora era giustificata? Se i fatti denunciati fossero stati veri, nulla di più giusto, e quel tremendo scoppio d’ira veniva a rinsaldare una verità contenuta nell’odierno Vangelo: nulla di più iniquo di un cattivo maestro. Guardatevi dai falsi profeti: essi vengono a voi con le apparenze di agnelli, ma entro sono lupi rapaci. [p. 261 modifica]Il lupo, nella sua libidine di rapina, perfido ed ipocrita, dissimula la sua ferocia, si atteggia a compostezza, si avvicibia, simulando indifferenza, alla vittima, l’accosta, l’azzanna, l’uccide, la sbrana, la divora. L’anima semplice a lui si abbandona, domandando nutrimento, domandando protezione. E lo sciagurato versa in ’quell’anima il veleno dell’errore, del vizio, della corruzione! E’ possibile un sì mostruoso delitto! O voi che dall’alto delle tribune, nei comizi, nei teatri, nelle conversazioni; con giornali, con proclami attaccate una dottrina che ha • educate a’ virtù tante generazioni e. spargete il dubbio e la diffidenza iu persone e istituti che parvero per tanto tempo la salvaguardia della moralità e della santità voi che, abbarbagliati da una chimerica visione di benessere temporaneo strappate alle nuove generazioni la fede in un benessere definitivo, promesso unicamente a coloro che sanno amare, che sanno perdonare; voi, apostoli della nuova fede, ’in qualche ora di dolore o di rimpianti, allorchè avete visto a quali eccessi possa trascendere una massa di popolo ubbriacato da fallaci promesse, non avete mai sentito, dal fondo della -vostra coscienza, sorgere, silenziosa ma terribile, la domanda: tu sei un Maestro redentore o non sei piuttosto un lupo rapace? Nell’attuale momento storico, la più diffusa cultura e una. concezione più chiara del dovere sociale, ha avuto per effetto immediato che, molto facilmente, ognuno può far sentire la propria opinione, riunire quindi sulla coscienza degli altri e quindi esercitare un po’ di quell’apostolato che è tanto necessario sia volto alla diffusione del bene. Ora perchè la nostra azione sia efficace, importa tener presenti le conclusioni del tratto evangelico: Il valore delle dottrine e dei maestrilo riconoscerete dai loro frutti...

Non può un buon albero far frutti cattivi, nè un albero cattivo far frutti buoni. E merita una seria meditazione la minaccia: qualunque pianta che non porti buon frutto sarà tagliata e gettata nel fuoco. Tutta la nostra azione educatrice riuscirà vana se alla cultura della mente non aggiungiamo il culto della virtù, di maniera che nella nostra vita, tutto,. costume e dottrina, si fonda in un dignitoso accorcio. Se noi vogliamo influire sulla educazione religiosa dei nostri fratelli, non basta la parola: non tutti quelli che dicono: Signore, Signore entreranno nel, regno dei cieli. Agli atti esterni del culto è indispensabile vada congiunta la probita, l’onestà, la giustizia; l’esercizio di tutte le virtù. E insieme all’esercizio l’intenzione deve essere nobile, pura, disinteressata. La carità, il perdono delle offese, l’aiuto prestato ai deboli, cose ottime in sè, non avrebbero che un meschino valore morale se fossero ispirate da mire frivole e ambiziose. Fare la volontà di Dio, ossia operare in quella maniera e con quella perfezione che Iddio comanda, ecco la regola suprema per il credente: colui che fa la volontà del Padre mio, che è nei cicli, qtr,sii entrerà nel regno dei cieli. G. G.

Vangelo della Domenica III dopo la Decollazione Testo del Vangelo...Allora alzatosi un certo dottor della legge per tentarlo, gli disse: Maestro, che debbo io fare. per possedere la vita eterna? Ma Egli rispose a lui: Che è quello che sta scritto nella legge? Come leggi tu? Quegli rispose, e disse: Amerai il Signore Dio tuo con• tutto ii cuor tuo, e con tutta l’anima tua, e con tutte le tue forze, e con tutto il tuo spirito, e il prossimo tuo come te stesso. E Gesù gli disse: Bene hai;- isposto: fa questo e vivrai. Ma quegli volendo gius;ificare se stesso, disse a Gesù: E chi è mio prossimo? E Gesù prese la parola e disse: Un ’UOMO andava da Gerusalemme a Gerico, e. diede negli assassini, i quali ancor lo spogliarono, e avendogli dato delle ferite se n’andarono,. lasciandolo mezzo morto. Or avvenne che passò per l’istessa strada un sacerdote, il quale, vedutolo, passò oltre. Similmente anche un ferita, arrivato vicino a quel luogo, e veduto colui tirò innanzi. Ma un Samaritano, che faceva ir suo viaggio, giunse presso di lui, e’vedutolo si mosse a compassione, e se gli accostò, e fasciò leerite di’ lui, spargendovi sopra olio e vino; e messolo sul suo ’giumento. lo condusse all’albergo ed ebbe cura di esso. E il dì seguente tirò fuori due denari, e li diede all’oste e dissegli: Abbi cura di lui, e tutto quello che spenderai di più, te lo restituirò al mio ritorno. Chi di questi tre ti pare’ egli essere stato prossimo per colui che incappò negli assassini? E quegli rispose: Colui Che - usò ad esso misericordia. E Gesù gli disse: l’a e fa anche tu lo stesso. (S. LUCA, Cap. io;.

Pensieri. Maestro, che debbo io fare per avere la vita eterna? E’ questa la domanda che via via si viene formulando in tutte le coscienze. Quando la fede succhiata col latte materno comincia ad essere scossa al contatto delle realtà della vita; quando la pietà ingenua del fanciullo si -trova di fronte ai dubbi accumulati dall’irreligione, e deve lottare contro la folla delle suggestioni cattive; quando, nel percorso della vita, qualche verità nuova si presenta alla nostra intelligenza, e gli orizzonti del nostro mondo spirituale si tramutano e ingrandiscono, allora, dalle coscienze rette, vien spontaneo il grido: Maestro, che debbo io fare per aver la vita eterna? Così Paolo, sulla via di Damasco, riavutosi dal primo sbalordimento, esclama: Signore, dimmi che cosa io debbo fare. Per quanto, giudicando dalla superficie, possa sembrare che l’anima moderna sia indifferente ai problemi religiosi, scrutata nelle sue ’ansie, nelle sue aspirazioni, nelle sue angoscie, nei suoi dubbi, questa grande anima moderna ha certo delle preoccupazioni - per l’al ’di là e non può non ripetere essa pure nelle ore più trepide, le parole del Dottore: Maestro, che debbo io fare per avere la vita eterna? Suggestionato dal demone del lusso, del piacere, dell’orgoglio, potrà a volte l’intelletto nostro guardare con diffidenza ai [p. 262 modifica]problemi ultramondani; si potrà magari combattere qualsiasi concezione spiritualista del mondo e della vita nostra, ma ignorarlo il problema religioso o dimenticarlo è impossibile, è contro natura. Può darsi che la domanda: Che debbo io fare.!’ s’a mossa unicamente onde eludere uno studio personale ed accurato delle quistioni che agitano il nostro tempo; quasi allegand6 la nostra ignoranza del dovere’ a scusa ed attenuante della negligenza nel compierlo, anzi mettendo in certo modo a carico della Provvie denza che non ci abbia fornito una cognizione più esatta di quanto importi sapere ’per conseguire il nostro fine. I1 Vangelo nota ancora che il Dottore interrogò Gesù per provocarlo «tentons cum». E difatti è a lamentarsi che a volte lo studio dei problemi religiosi più che a pascolo spirituale dell’anima è volto.ad esercizio polemico. e nel ragionamento non tanto ci preme di cogliere la verità, quanto e più di rafforzarci nelle nostre vedute e di conservare ’e posizioni entro le quali amiamo di trincerarci. E basta questa mancanza di sincerità per rendere frustraneo nostro studio e allontanare da noi ia visione della verità.

Chi fa la domanda, nel tratto odierno di Vangelo, è un Dottore della legge, un erudito. Per scusare l’ignoranza, in fatto di religione di troppi dei nostri intellettuali, noi alleghiamo il fatto - che nell’ordinamento- scolastico e nella compagine dell’insegnamento d; famiglia, lo studio della religione e della filosofia ceduto il posto a studi di vita pratica, sicelè’ 1. dotto delle scuole moderne non conosce che imperfettamente le soluzioni che il cristianesimo propone ai quesiti riguardanti la vita sociale e religiosa. Invece la ’scienza.ebraica era essenzialmente studio della religione; come si spiega adunque che un dAto, versato nella scienza delle Scritture,.;entisse il bisogno di rivolgere al Maestro una simile domanda? E senza soffermarci al caso particolare, la domanda, per noi che dal Vangelo aspettiamo una parola che soddisfi alle esigenze di tutte le coscienze in tutti i tempi, per noi la domanda suona così: la scienza da sola può condurre al possesso della verità nell’ordine religioso? L’argomento è troppo vasto e troppo importante perchè possa essere trattato senza il dovuto sviluppo, quasi in iscorcio. Raccogliendo le impressioni dirette del tratto evangelico, è chiaro che a produrre la bontà, la virtù, non è sufficiente il conoscere le formule e il testo della Legge_ Il Dottore, malgrado il suo sapere, è cattivo d’animo e perverso d’intelligenza. Come per essere eccellenti musicisti non basta conoscere le teorie d’armonia, di contrappunto, la storia dell’arte, i canoni d’estetica, ma si richiede qualche. cosa di caratteristico, ciò che noi chiamiamo il genio, l’estro; così per essere buoni, per essere nella verità, non basta la scienza in genere, nemmeno quella particolare delle religioni.- Ma ci si deve aggiungere qualche cosa di intimamente in noi, quella che, con la parola di San Paolo, chiamerei il senso di Cristo. Senza la. disposizione dell’animo al

bene e dell’intelletto al vero, la scienza diventa inefficace, anche per la ragione che, essendol’intelletto inceppato dalle passioni nelle sue indagini, il nostro sapere resta limitato, monco e perciò stesso falso. Mentre una cultura vasta e libera da preconcetti è sprone e guida alla pietà, alla virtù, una scienza incompleta crea i facili derisori di virtù mal valutate perchè mal comprese.

Per trovare un termine di riposo al nostro istinto spirituale e conseguite quindi la vita, il sapere sterile e freddo non basta; esso deve essere avvivato, riscaldato dalla luce, dal calore della carità; virtù che mette nell’animo nostro un baldo entusiasmo per tutto ciò che è vero, bello, nobile, Dio: e ce lo fa amare cotesto Iddio non come un Potente tremendo e solitario, ma come un Padre amoroso che raduna attorno a sè tutta la famiglia umana. Amando il Padre è impossibile non amare i figli. Perciò è chiaro che chi" ama Dio deve necessariamente amare il prossimo suo. Questo amore cosi alto, che abbraccia tutti, è l’u_ nica via, secondo il Vangelo, per giungere alla vita eterna: loc fac, et viz’es. I Dottori ebrei, con quella grettezza che viene da una scienza priva di carità, avevano frainteso e immiserito il grande precetto divino. I vincoli che formano di tutto il genere umano una grande famiglia e ci rendono solidali lungo il cammino dei secoli son parecchi: la comunanza di gioie e dolori, l’identità di fede religiosa e di destinazione ultramondana, ed altri. Ma il legame’ più comprensivo è la comune fi’gliuolanza di’ tutti gli uomini in Dio; gli altri sono secondarii; questo predomina. Invece gli Ebrei, per il fatto che alcuni uomini erano da loro divisi per scuole religiose, non’riconoscevano in essi la mutua fratellanza in Dio creatore e li ritenevano estranei alla grande famiglia. Dio esige da noi amore per tutte le sue creature, qualunque sia il colore della loro pelle o lo stato della loro coscienza.

Nel caritatevole Samaritano i Santi Padri hanno riconosciuto una di quelle figure simboliche che, a distanza di secoli, rispecchiavano qualcuno dei tratti del Cristo venturo. Difatti, pur nella semplicità del suo profilo, la carità di cotesto eretico, come lo chiameremmo noi, ha qualche cosa di elevato ed è ricca di lezioni per tutti. Lui, Samaritano, si avvicina all’Ebreo, ridotto in tali condizioni che aveva messo orrore al sacerdote e al levita; si avvicina e lo soccorre sfatando il pregiudizio che non hanno diritto a riguardo ’coloro che sono da noi disgiunti per fede religiosa. Si avvicina, lo soccorre, medicando le sue ferite. Uno spirito gretto, avrebbe domandato all’Ebreo qualche cosa come una ritrattazione o almeno gli avrebbe imposto l’umiliazione di sapersi soccorso da un avversario politico e religioso: Quante volte noi, prima di stendere la mano al nostro fratello, tentiamo far pressione sulla sua coscienza e strappargli una [p. 263 modifica]parola che suoni dedizione dell’anima sua a noi che in cambio gli gettiamo un tozzo di pane In Samaritano non catechizza, non polemizza: con un gesto semplice e simpatico lo solleva e gli usa tutti i riguardi che si devono a un fratello. Certo sfamare l’intelletto, illuminare la coscienza è atto nobile, più nobile che sfamare uno stomaco. Ma intanto se il tuo fratello ha freddo, è parola di San Giacomo, è derisione che fili 1,o catechizzi sui suoi doveri religiosi e lo mandi altrove a cercarsi un po’ di fuoco. Catechizzare è opera ardua, dare un po’ di pane è cosa che tutti poSsono fare. Ma poi chi non sa vedere nelle opere di misericordia, dignitosamente esercitate, una nobile ed efficace forma di apostolato? L’atto del credente che si piega verso l’incredulo, ne medica le ferite e priva sè stesso dei comodi della vita per farne dono all’avversario, non è questa una eloquente testimonianza alla bontà dello spirito che ci guida? Se noi vogliamo vivere dello spirito di Gesù dobbiamo essere operosi e intelligenti nella nostra carità. Non partire da presupposti empirici, ma adattare la nostra azione ai bisogni, alle esigenze anche dei no-. Iri fratelli. Nell’attuale crisi sociale, ad esempio, con i ro la fiumana d’odio che tenta sommergi e il lavorio dei nostri padri nella fede, non basta sventare le arti (lei nuovi maestri, non basta sfatare le calunnie addensate attorno a persone e cose che ci sono care. Non basta ’lavorare per illuminare le intelligenze, sebbene sia questo un lavorio urgente e indispensabile. Ma bisogna inoltre, quasi direi in prima riga, interessarsi dei bisogni materiali del prossimo; aiutarlo nella sua eVoluz’one, rendergli meno disagevole l’ascensione verso il benessere materiale e il possesso di quei vantaggi che sono reclamati dalla sua coscienza e da un equo criterio di giustizia distributiva. Quando le turbe si affollavano attorno a Gesù e per ascoltarlo - andavano incontro a privazioni, Gesù dapprima le satollava e poi parlava loro del regno di Dio.

Fa questo e vivrai! Con uno slancio unico del cuore ama’ Dio e tutte le sue creature, amale creature senza restrizioni, come ami in Dio tutti i suoi attributi: fa questo e vivrai! Che dolce parola: Vivere! Vivere, cioè sentire nel proprio organismo potente il fremito di tutte quelle energie che costituiscono la vita. Vivere! Aver.l’intelletto affinato e fissb alla verità come l’aquila ha fisso l’occhio;l sole: l’intelletto libero da strettoie, da pregiudizi, da errori. ViVere aver la volontà alacre, decisa e forte per seguire sempre il bene. Vivere! e nel cuore sentire il fascino di tutti gli entusiasmi le at_ trattive per tutte le cose nobili. Vivere! e nella pienezza della vita, conte da ara che arde, spargere tutto attorno a sè scintille di luce, vampedi calore, correnti di simpatie che richiamano altri a fare il bene, ad abbracciare la verità. Vivere! e sentirmi per un legame misterioso unito alla immensa falange degli uomini (li buona volontà che per vario cammino, senza posa, migrano verso la casa del Padre che è nei cieli: Vivere,

vivere sempre, sempre operoso, sempre sentire nella propria anima il formarsi di nuove correnti di energia! Dolce e sublime! O Maestro, che posso io fare per conseguirla cotesta vita? G. G. Hoc fac et ViVCS. Ama e vivrai.

La Celluloide

Non si sa con precisione da chi sia stata fatta la scoperta della celluloide; certo è che nel 1855 un certo Parkès, abitante di Burry-Port, nella provincia di Galles, prendeva un brevetto che gli riservava in Inghilterra il Monopolio della fabbricazione di una sostanza destinata a sostituire il ’caucciù e la gutta= pera e à questa sostanza, che egli preparava colla pirossílina dava il nome di parkesina. Intorno al 1865 un industriale di Birmingham, un certo Spiers, fondava a Londra tino stabilimento per la produzione della.riloide, sostanza che,non era altro che la moderna celluloide, nome con cui essa fu fatta conoscere da due americani, i fratelli Hyatt: questi diedeio alla fabbrica della «Celluloid Manifac_ turing CompanY)i un grande sviluppo e istituirono

  • una succursale della medesima in Francia, a Stains,

presso Parigi. I francesi cercarono di gareggiare con la produzione:Arai-nom, e aprirono tre fabbriche, una delle quali, a Gravel ín Normandia, sussiste ancora. La fabbricazione della celluloide è un’operazione delicata e tutt’altro che scevra di pericoli; essa consiste essenzialmente di una mescolanza di cotone fulminante e di canfora, sostanze che vengono incorporate ricorrendo all’alcool; alla miscela poi Si aggiungono delle sostanze per colorarla nel modo voluto. oppure per renderla opaca: Ottenuta la perfetta omogeneità della miscela, la si comprime in appositi stampi per mezzo di un torchio idraulico, e se ne fanmí rnie lastre dello spessore di 8 a io millimetri, (lel peso di 200 gramrifi l’una. Per la celluloide destinata alla fabbricazione dei fiori artificiali e all’imitazione dell’ambra, si adoperano 103 chilogrammi di fulmicotone, 5o di canfora e so di alcool a 96 gradi. Nella preparazione della celluloide che serve per fabbricare i crisi detti articoli (li Parigi, le proporzioni sono: fulmicotone ioo kg.,canfora 20, tolneno 42, alcool so. Le lastre di celluloide, vengono laminate, poi coni primendonc molte una su l’altra, se ne formano dei blocchi di circa un quintale ciascuno, che poi.vengono tagliati in pezzi della grossezza voluta. Un’operazione di capitale importanza nella fabbricazione della celluloide è la stufatura: i fogli prima di essere compressi in blocchi, vengono collocati in stufe ventilate e riscaldate a una temperatura variante da 6o a 65.centigradi; e lì vengono lasciati per un tempo che può variare da otto giorni a tre mesi. Lo scopo (li questa stufatura è di far asciugare la celluloide, liberandola dall’alcool che essa coni iene: in [p. 264 modifica]fatti, essa non può senza pericolo esser lavorata se non quando è ben secca e quando ne siano eliminate le ultime tracce di alcool. Gli usi della celluloide sono diventati innumerevoli. Questo corpo ha la preziosa qualità di rammollirsi per effetto del calore e (li prender tutte le forme che gli si vuol dare purchè sia portato alla temperatura da 8o a 90 centigradi.’ La celluloide si lavora- come l’avorio, come la tartaruga, ’come il, legno; la si può lavorare al tornio, segarla., ’incollarla, fonderla in uno stampo. Essa è utilizzata, fra altro, per • la fabbricazione degli apparecchi di chirurgia e di ortopedia, e fornisce ai dentisti delle dentiere solidissime e di poco peso. Con questa sostanza si fabbricano scatole, gingilli,. pettini, tasti di pianoforte, palle da bigliardo, maniche da ombrelli e da coltelli, ecc. ecc. La biancheria detta americana --- colli, polsini e petti da camicie — consiste in una striscia di tela O di cartone ricoperta di un sottilissimo strato di celluloide, fortemente compressa. La celluloide trova ancora numerosi usi nell’industria di fiori artificiali. Una delle sue più recenti applicazioni consiste nel ricoprire con éssa dei tessuti di amianto per renderli idrofughi pur facendoli rimaner permeabili all’aria; si utilizza inoltre la celluloide