Il buon cuore - Anno XIV, n. 43 - 23 ottobre 1915/Religione

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Domenica prima dopo la dedicazione

Testo del Vangelo.

Disse il Signore Gesù ai suoi discepoli: «Il regno de’ cieli assomiglia ad un re, il quale volle fare i conti co’ suoi servi; e avendo principiato a rivedere le partite, gli fu presentato uno che gli andava debitore di diecimila talenti. E non avendo costui il modo di pagare, comandò il padrone che fosse venduto lui e sua moglie, e i figlioli, e quanto aveva, e si saldasse il debito. Ma il servo prostrandosegli a’ piedi lo supplicava dicendo: Abbi meco pazienza, e ti soddisferò interamente. Mosso il padrone a pietà di quel servo, lo lasciò in libertà e gli condonò il debito. Ma partito di lì il servo, trovò uno dei suoi conservi, che gli doveva cento denari; e presolo per la gola lo strozzava dicendo: Pagomi quello che devi. E il conservo, prostrato a’ suoi piedi lo supplicava dicendo: Abbi meco pazienza, e io ti soddisferò intieramente. Ma quegli non volle, e andò a farlo mettere in prigione, fino a tanto che l’avesse soddisfatto. Ma avendo gli altri conservi veduto tal fatto, grandemente se ne rattristarono; e andarono e riferirono a! padrone tutto quello che era avvenuto. Allora il padrona lo chiamò a sè e gli disse: servo iniquo, io ti ho condonato tutto quel debito, perchè ti sei a me raccomandato: Non dovevi adunque anche tu aver pietà d’un tuo servo, come io ho avuto pietà di te? E sdegnato il padrone, lo diede in mano de’ carnefici, fino a tanto che avesse pagato tutto il suo debito. Nella stessa guisa farà con voi il mio Padre celeste, se ciascheduno di voi non perdonerà di cuore al proprio fratello.» S. GIOVANNI ’:ap ( o).

Pensieri. Che brutto vizio è la durezza di cuore nel non perdonare le offese altrui, specialmente se chi la usa verso gli altri fu egli stesso prima perdonato e beneficato da Dio! E’ questa la importante verità, ricordataci dall’odierno Valgelo.

  • *

Il regno de’ cieli, dice Cristo a’ suoi discepoli, è simile a un re, il quale volle fare i conti co’ suoi servi. Questo re è Dio, i servi siamo noi. Non è fissato il giorno nel quale Dio ci chiamerà dinanzi a lui, per [p. 292 modifica]dare conto della nostra Vita, per vedere quali debiti noi abbiamo verso di lui, cioè per vedere quali peccati noi abbiamo commessi, e applicherà la pena meritata, in ragione e proporzione dei peccati stessi. Questo giorno non è fissato, ma è ua giorno che certamente,arriva;.è un giorno inevitabile; può arrivarci da un momento all’altro; anzi, secondo quanto Gesù Cristo dice in altro luogo del Vangelo, quel giorno arriva quando meno noi io aspettiamo, come un ladro che per entrare con più sicurezza in una casa, sceglie il momento nel quale il padrone è fuori di casa; e nel senso spirituale quando il peccatore è fuori di casa sua, cioè, distratto dagli interessi terreni e dalle passioni che lo trascinano, pensa poco, o non pensa affatto, agli interessi dell’anima propria.

Avendo principiato a rivedere le partite, gli fu presentato uno che gli andava debitore di diecimila talenti. Questo debito è enorme; secondo la valutazione dei denari presso il popolo ebreo, diecimila talenti equivarrebbero a cento venti milioni di lire. Evidentemente questa misura non va presa in senso esatto, materiale, ma in senso traslato, cioè che il servo aveva un debito assai grave, e tale che non era in grado di soddisfare. Così avviene pure dei debiti che noi abbiamo verso Dio, cioè dei peccati che abbiamo commesso contro di lui. Ogni peccato mortale è un debito grave, grave in se, grave per la sua insolvibilità. Grave in sè perchè il peccato mortale è un’offesa a Dio, che diventa quasi di valore infinito per la natura infinita di Dio, contro il quale si oppone; grave perchè noi offendiamo Dio che ci ha tanto beneficato; Dio che si è umiliato sino a venir sulla terra per noi, che ha patito, che è morto sulla croce per noi; Dio che volle rimanere sulla terra perpetuo cibo delle anime nostre nel santissimo sacramento dell’Eucaristia; Dio che a questi benefici di carattere generale, ha aggiunto una serie di tanti benefici particolari, che, costituiscono una storia speciale di benefici nell’intimo rapporto dell’anima nostra con lui. Noi solo sappiamo e possiamo dire, quanto la storia dell’anima conti numerosi, continui, squisitissimi, questi benefici: grave per la sua perchè l’uomo è impotente a cancellare da sè il proprio peccato commesso, trovandosi privo della grazia di Dio, mezzo necessario perchè il peccato ci sia rimesso. L’uomo da sè può peccare, non può da sè solo uscire dal proprio peccato.

Non avendo il servo di che zagare, comandò il i adrone che fosse venduto lui, la sua moglie, i suoi figliuoli, e quanto aveva, e si saldasse il debito. Questi forma di pagare i debiti è relativa ai costumi dei tempi ’antichi: le persone erano considerate come cose: íe persone sono però le cose più preziose che l’uomo possa avere, specialmente quando le persone hanno un vincolo così stretto con noi, come la moglie, i figli, da essere considerati come fossimo noi stessi. Nel senso morale questa pena così grave è immagine delle

vene che i nostri peccati si meritano dinanzi a Dio,,cioè la condanna eterna, la privazione della libertà dell’anima nostra, e di tutte le facoltà che la costituiscono, l’intelligenza, la volontà, i sensi, che sono quasi a dirsi i nostri famigliari. Ma il servo prostratosegli ai piedi, lo supplicava dicendo: abbi meco pazienza, e ti soddisferò interamente. E’ questo l’ufficio del peccatore per ottenere il perdono dei suoi peccati, la condizione indispensabile perchè Dio gli usi misericordia; riconoscere il suo peccato, sentire, dichiarare l’obbligo di soddisfarlo, supplicare perchè gli venga perdonato, Manifestandosi pronto a adempire tutte le condizioni richieste, perchè il perdono ci sia concesso. Sono le condizioni precise che si riuniscono a formare il Sacramento della penitenza. Quale è la condotta di Dio?’ Mosso il padrone a pietà di quel servo, lo lasciò in libertà e gli condonò il debito. Quante volte Iddio si è con noi comport-àto in.questo modo! Noi avevamo offeso Dio, l’avevamo offeso gravemente. Quanti peccati noi siamo dolorosamente obbligati a riconoscere nella nostra vita! Ingratitudini, disobbedienze, infedeltà, negligenze, scan dali, furti, sacrilegi... se non sono tutti, ciascuno nel segreto della propria coscienza faccia la scelta dei peccati che gli appartengono. Se Dio avesse agito con noi a rigore di giustizia, egli avrebbe potuto colpirci co’ suoi castighi, quando noi col peccato eravamo suoi nemici dichiarati; Dio benignamente ci attese: quel giorno che noi, stanchi del peso della nostra coscienza, ci siamo risolti a pentirsi dei nostri peccati, ci siamo recati ai piedi del sacerdote di Dio, ne abbiamo fatto una sincera accusa, abbiamo chiesto il perdono, abbiamo pianto di dolore, quel giorno Iddio si lasciò commuovere del nostro dolore, delle nostre lagrime, ci perdonò, e la compiacenza, il sollievo dell’anima per quel perdono, la gioia che tutto ci invase nel sentirci ancora in possesso della grazia sua, oh quanto ci compensò del sacrificio che abbiamo fatto, delle difficoltà che abbiamo vinto contro il nostro orgoglio nel prostrarci ai piedi del Confessore, il quale alzando la sua mano benedetta, in nome di Dio ci disse: io ti assolvo!

La gioia, il benefizio, che Dio ci aveva accordato col perdono dei nostri peccati, doveva essere una predisposizione per accordare noi lo stesso beneficio agli altri, se l’occasione portasse che gli altri fossero in qualche modo debitori a noi. Noi dovevamo quasi desiderare che questa occasione si presentasse, per avere il piacere di far vedere a Dio quanto apprezzavamo il beneficio che aveva accordato a noi nel perdono del molto, accordando noi. al nostro prossimo il perdono del poco. Del poco, perchè si vogliano pur grandi le offese che gli altri possòno aver fatto a noi, non potranno mai nella gravità eguagliarsi alle offese che noi abbiamo fatto a Dio. Dio è di natura infinita; noi siamo della stessa natura di chi ci offese: i [p. 293 modifica]benefici che noi possiamo aver fatti a’ nostri offensori potranno mai anche in piccola proporzione paragonarsi, e nel numero e nella qualità, ai benefici che Dio la accordati a noi? Questa gioia cerchiamo noi di procurarcela? abbiamo noi perdonato i debiti al nostro prossimo? debiti sempre piccoli in faccia ai debiti grandi a noi perdonati da Dio?... Ah, quanto l’uomo è infelice! quanto l’uomo si condanna ad essere meschino quando potrebbe essere grande, quanto l’uomo si condanna ad essere uomo, colle sue piccinerie, colle sue bizze, coi suoi astii, quando l’uomo potrebbe essere simile a Dio, a Dio nella sua superiorità, nella sua bontà! Partito di lì il servo, trovò uno dei suoi conservi, che gli doveva cento denari, e presolo per la gola lo strozzava dicendogli: Pagami quello che devi! E il conservo prostrato a’ suoi piedi lo supplicava dicendo: abbi meco pazienza, e ti soddisferò interamente. Ma quegli non volle, e andò a farlo mettere in prigione, fino a tanto che l’avesse soddisfatto. Cento denari! E’ un’inezia di fronte ai dieci mila talenti che il servo doveva al suo padrone, e che il padrone generosamente gli aveva perdonato. Caldo, caldo ancora, del grande beneficio che aveva ricevuto, oh come gli si doveva presentare naturale di fare al suo conservo quello che era stato fatto a lui! Quello che dava era immensamente meno di quello che aveva ricevuto. E non lo dà! E il conservo gli ripete la stessa parola, la stessa preghiera, che egli poco tempo prima aveva fatta al suo padrone: il dolore, lo spavento, che avrebbe provato, se il padrone non gli avesse perdonato, non doveva fargli comprendere, sentire, il dolore, il peso, che, col non perdonare, recava al suo compagno, e indurlo quindi a partecipare agli altri un po’ di quella gioia che aveva provato presso di sè? E’ una condotta che ripugna; è una condotta che rivolta contro di sè tutte le nobili disposizioni di un animo bennato e gentile... Beneficato sì tanto, generoso sì poco! Non è questo il caso che si è verificato tante volte, tutte le volte che voi non voleste perdonare le offese al vostro prossimo? non è un caso che forse si avvera anche al presente?... E son forse inezie, piccoli puntigli, animosità meschine... E ci sta di sopra il pon do delle grandi misericordie che Dio ha usato con noi, quelle misericordie delle quali tutti i momenti abbiamo e avremo bisogno!

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Questa condotta è troppo indegna perchè non risvegli la riprovazione di chi viene a conoscerla, la riprovazione degli uomini, la riprovazione di Dio. Gli altri conservi veduto tal fatto, grandemente se ne rattristarono, e andarono e riferirono al padrone tutto quello che era avvenuto. Questo atto è un atto di giusto sdegno e di carità. Lo sdegno poteva anche reprimersi, e tenersi chiuso nel proprio cuore: ma vi

è di mezzo un infelice, un infelice trattato coi modi più duri e villani, e cacciato in fondo ad una prigione. In questi casi la delazione è acconsentita, la delazione è un dovere. Col non usare carità, il servo crudele obbliga gli altri a non usare carità verso di lui. Il castigo è immancabile, è fulmineo. Saputo ciò il padrone richiamò a sè il servo, e gli disse: servo iniquo, io ti ho condonato tutto quel debito, perchè ti sei a me raccomandato. Non dovevi anche tu aver pietà di un tuo conservo, come io ho avuto pietà di te? E sdegnato lo diede in mano ai carnefici, fino a tanto che avesse pagato il suo debito. Il padrone è immagine di Dio. Può Dio far rivivere i peccati, già perdonati, come non fossero stati perdonati? No; i peccati perdonati una volta, sono perdonati per sempre. Questa nuova condanna è prodotta dal debito che il servo crudele ha fatto di nuovo col suo peccato di crudeltà: la condanna di Dio contro il peccatore è provocata non da un peccato piuttosto che da un altro; è provocata dal peccato in genere; è provocata dallo stato nel quale l’anima si è messa di nuovo, tornando peccatrice: era peccatrice prima, è peccatrice dopo; la condanna non può mancare. Un ferito a morte è medicato e guarito dalle sue ferite. Se dopo guarito, si procura un’altra ferita mortale, la guarigione della prima ferita non impedisce che non abbia a morire per la ferita posteriore.

  • * *

Qual’è il castigo? Un castigo eterno. Se l’uscir di prigione è alla condizione di pagare il debito, come mai il condannato potrà procurarsi i mezzi di pagare il debito stando in prigione? Non potendo pagare il debito mai, resterà in prigione sempre. E’ la dottrina cattolica intorno alla riprovazione eterna dei poveri dannati. Chi fu condannato all’inferno non può più uscirne, perchè non può più procurarsi la grazia di Dio, che è la condizione indispensabile per ottenere il perdono della colpa. Non può esserci più libertà dove non c’è più redenzione. Quale terribile conseguenza! Nella stessa guisa farà con voi il mio Padre celeste, se ciascheduno di voi non perdonerà di cuore al proprio fratello. Chi non perdona le offese ricevute sa quindi con dolorosa certezza qual destino lo attende: Ed il perdono non deve essere un perdono di apparenza, di etichetta, un perdono che appaghi solo le esterne esigenze sociali, che hd il sorriso in faccia, la censura dietro le spalle; no: deve essere il perdono sincero, il perdono intimo, il perdono del cuore, il perdono non fatto credere agli altri, ma il perdono sentito da noi. Qual bellezza morale se il precetto di Cristo venisse apprezzato, adempito sempre da tutti! Il male non solo sarebbe mutato in bene; le offese altrui diventerebbero occasione di una nobile, di una bella, di una generosa azione da parte nostra. Non negatevi questa compiacenza: la coscienza esulta, Dio vi bacia! L. V. [p. 294 modifica]Guglielmo... l’è matt!

Sì, sì, l’è matt, propri de bon! Ormai, l’è tiara, che in quell so cervell El g’ha na maledetta fissazion De vorè fa, d’omen e cà, on sfragell! Per lu a vedè ferii, mort a monton L’è on spettacol de god el pusse. e beli. Quand sparen tucc insemma cent canon, Per lu... l’el dolce canto d’on usell. Nissun di so capiss che l’è malsan; Che l’è stramatt e ch’el so agì el consist In del sfogà el so ticch d’ess inuman. Te see on imperator puranca trist! Squas, squas, te ne fee cred a nun cristian, Che ti te see in personna... l’anticrist!! FEDERICO Bussi

Libriccino confortatore in tempo di guerra

Questo opuscoletto, che raccoglie i più persuasivi conforti per coloro che si trovano fra le angustie della guerra, di piccolo formato, rilegato con eleganza, appena lanciato al gran pubblico, trovò così sincere accoglienze, che se ne dovette fare tosto una seconda edizione. In Italia è, naturalmente, affatto sconosciuto, oppure privilegio di pochi. Io ne ebbi notizia dal Periodico The Month» e ne feci subito acquisto, coll’intenzione di voltarlo in nostra lingua e diffonderlo tra noi, al quale scopo chiesi pure la relativa autorizzazione. Del suo valore intrinseco e d’attualità si dovrebbe poter giudicare dall’intestazione dei quattordici articoletti di cui si compone, e cioè: 1.o Conforto del punto di vista, il sopranaturale. 2.o Conforto dell’«amore divino 3.o Conforto della «Passione vittoriosa». 4.o Conforto della Risurrezione dì Cristo. 5.o Conforto del Santo Sacramento. 6.o Conforto dello Spirito Santo. 7.o Conforto di Maria Santissima. 8.o Conforto dei SS. Angeli. 9.o Conforto della Chiesa Cattolica. 10.o Conforto della «Risurrezione della carne». 11.o Conforto delle SS. Scritture. I2.o Conforto della Penitenza. 13.o Conforto del bene morale portato dalla guerra. 14.o Conforto del lavoro provocato. (1) A Little book of comfort in time of War (London, Cetholic Truth Society 1915).

Ma, come c’è una suggestività di intitolazioni che spesso si smentisce alla prova, così giudicammo sottoporre all’esame dei nostri lettori qualche saggio preso qua e là nelle centootto paginette del libriccino in questione. E per oggi vediamo il primo capitolo:

Conforto del punto di vista del sopranaturale «Le cose visibili sono di questo tempo; ma quelle cha non si vedono, sono eterne». (II.a Corinth. IV, 1S). Quando l’Alighieri nel suo viaggio al Paradiso stava per salire alla regione delle stelle fisse, ebbe istruzione di voltarsi indietro a contemplare la terra e i pianeti. Col viso ritornai per tutte quante Le sette spere, e vidi questo globo Tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante: E quel consiglio per migliore approbo Che l’ha per meno; e chi ad altro pensa, Chiamar si può veramente probo. (Parad. XXII. 133-138). Dante aveva colpito il punto sopranaturale della realtà, il punto che riguarda la terra e gli affari della terra come non aventi valore alcuno, eccetto quello di condurre o di distogliere l’anima dal conseguire la vita oltramondana. Questo è naturalmente il punto di vista cristiano. Noi lo abbiamo chiaramente espresso nelle parole dell’Apostolo ai Corinti: «Le cose visibili sono di questo tempo; ma quelle che non si vedono, sono eterne. Perciò, vi dico o fratelli: breve è il tempo, e ne consegue che coloro i quali hanno donne, si comportino come se non fossero ammogliati; quelli che piangono, come quelli che non piangono; quelli che sono nella gioia, come non lo fossero; quelli che fanno acquisti, come non possedessero; e quelli che si servono di questo mondo, come se non ne facessero uso, perchè l’esteriorità di questo mondo passa». E questo non è un testo unico in materia: la Scrittura abbonda di passi simili. L’oltretomba della Chiesa cattolica è sempre stato qualcosa di odioso agli occhi del mondo. Che essa deliberatamente preferisca la salvezza anche d’un’anima sola al benessere temporale della famiglia umana, è per il mondo almeno un’insania: e tuttavia, qw-ito deriva per logica necessità dai principi fondamentali della Fede cristiana. Noi sappiamo tutto ciò, eppure, con quale difficoltà lo realizziamo! Le cose che si veggono, sono tuttavia così chiare, così pressanti; e quelle che non si veggono sembrano non reali «fuori di vista e di mente», tale il fatto fisico-logico. Egli è per ciò che la Chiesa impiegò Con tanta abbondanza le cose materiali nel suo culto e le utilizzò per un elaborato Rituale; perciò il suo divino Fondatore istituì un sistema di Sacramenti in cui la Grazia dovesse venir conferita per il tramite di segni e cose sensibili. Da queste la Chiesa prende le mosse per farci meditare e realizzare Iddio, e le cose invisibili di Dio. I ritiri spirituali sono pure effettuati per schiuderci, per quanto è possibile, a mezzo delle cose temporali, quelle che sono eterne. Dietro il moto che mai non resta del tempo presente, vibra la profonda, libera pace dell’eternità. La nostra vita temporale e finiti, si svolge sullo sfondo di una vita infinita ed eterna. Negli esercizii di religione, la Chiesa vorrebbe pure metterci a contatto con questa Divina Vita. Nondimeno, a dispetto [p. 295 modifica]di tutti gli aiuti di cui disponiamo, è tanto facile venir assorbiti dagli affari temporali. Spesso è l’avvicinarsi della morte che per la prima volta orienta i nostri pensieri verso una seria considerazione delle realtà invisibili e sopranaturali; e per tale ragione la Chiesa ci inculca la meditazione della morte. Oggidì cotale esortazione è ben poco necessaria. -Non molte miglia, lontano, poderosi eserciti di uomini stanno faccia a faccia colla morte. Essa è un cumuló e una mescolanza d’ossa, messa innanzi ai nostri sguardi, è un memento mori che nessuno può ignorare. Se noi volessimo approfittare di cotal monito terrificante, i-npareremo la lezione preziosa, che questa nostra vita terrena è fragile e fugace, e che la vita eterna che verrà, è la vera nostra vita. Dovremmo imparare a ritirare i nostri sguardi dal sangue e dal fumo del campo di battaglia, per volgerli ai colli eterni d’onde ci viene ogni aiuto, colli ognora investiti della luce del Sole che non conosce tramonto, dove:i trovano in ordinate file le legioni dell’esercito angelico, i diecimila volte dieci mila che servono al Dio degli eserciti. Dovremmo realizzare questo, che nessuna convulsione, per quanto spaventevole, dei nostri affari temporali, nessuna perdita per quanto grave, di beni terreni e di felicità, può privarci della Divina Luce di Dio che Egli, nel suo amore, ci donerà se sinceramente la cerchiamo. Nessun esercito vincitore può toglierci il possesso dell’amore di Gesù e della sua Santa Madre; nessun nemico terreno può recare il più legger danno alle nostre anime immortali. Il fine della nostra vita è.quello di glorificare Iddio, per poi possederlo per sempre. Tal fine può venire promosso egualmente colla tribulazione e le privazioni, che colla felicità ed il possesso dei beni presenti, ed anco colle umane affezioni secondo ordine. Nell’antichità, prima che Cristo venisse a metterci nell’ordine della grazia sopranaturale, Platone, il supremo esponente della religione naturale, disse del vero filosofo, «Come può mai colui che possiede tesori di mente ed è spettatore di tutti i tempi e di tutta l’esistenza, fare gran conto della vita umana? Non lo può.» Ed ogni cristiano possiede questa visione nella sua fede e non ha che volgere attorno lo sguardo. Se questa orribile guerra potesse disilludere l’Europa circa la sua fede riguardo alla prosperità materiale; se le armi delle forze belligeranti giovassero a gettare dal trono l’idolo dei progresso del secolo; dell’industriaii:mo e della mocerna civilizzazione, il Moloch al quale abbiamo così a lungo sacrificato i nostri figli, i migliori, i più nobili del nostro popolo, il macello e la fame ci darebbero già un vantaggio non minimo. Dalle crude stragi della guerra spunterà il fiore a lungo desiato della religione, ed il sangue dei campioni d’Europa, come il sangue dei martiri, si trasformerà in seme della Chiesa. Guardando ai dolori che ne circondano, io provo questo senso di speranza -che le umane menti possano rivolgersi, mediante il soffrire a Dio, che la mancata pace e prosperità della terra, potrà condurli a cercare una volta di più la pace e la felicità che non avranno mai fine, e che l’eccidio di Babilonia fabbricata con un industrialismo ateo, sarà in grado di aprir loro gli occhi alla visione della nuova celeste Gerusalemme nostra madre. Questa Gerusalemme è la visione della pace che è la contemplazione di Dio, velato bensì al presente, ma poi, visibile fece; ia a faccia. Gualtiero Hilton, nel suo bel libro La scala della Perfezione, parla di Gerusalemme come del punto d’arrivo del nostro pellegrinaggio terrestre. Egli ci dice di non abhadare a

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quanto ci possa accadere, ma ci esorta a «sublimarci pensando solo a Gerusalemme». «Imprimi bene tutto ciò nei desiderii dell’anima tua e ve lo chiudere stretto; ti salverà da tutti i pericoli del tuo viaggio, cosicchè mai abbia a perire, ma invece tu possa sfuggire insidie e inganni, per raggiungere poi in breve tempo la città di Gerusalemme». Questo peculiare proposito, che è l’essenza del distacco, l’esprime altresì colla formula: «Io non posseggo nulla, non desidero nulla, ma solo l’amore del Signor nostro Gesù.» A misura che noi tocchiamo cotal punto di vista, verremo in possesso di una pace interiore; e troveremo che, qualunque cosa ci possa accadere, tutto sarà nostro davvero, perchè ’tutte le cose sono di Dio e Dio è nostro. Forse non sapremo mai realizzare appieno quaggiù il punto di vista sopranaturale; solo in morte quella realizzazione sarà consumata. Questa guerra, a dir vero, in cui tanti debbono morire, dovrebbe farcelo realizzare alquanto. Se non ci riesce, non possiamo avere alcun solido conforto in faccia ai nostri guai. Se, e nella misura che sapremo raggiungere questo sopranaturale punto di vista, i nostri timori si calmeranno e leniti saranno i dolori. Accadrà come allora che noi volgiamo i nostri sguardi, da una sordida via, ai vasti spazi dei cieli tutti seminati di stelle. Noi vedremo colla Fede il Signore assiso in trono e quel celeste Tempio gremito della sua angelica Corte. Potremo entrare in un regno dove non c’è strepito. salvo il giubilo di coloro che godono nel Signore; non tenebre, eccetto la profondità dell’Infinità Divina; non guerre, eccetto le vittorie dei santi e degli Angeli, sopra le schiere di Satana. Allora le anime ncstre saranno immerse nell’immenso oceano di luce, di pace e di vita; la Triade Divina che rivelò se stessa come Amore. Trad. di L. Meregalli.

L’ITALICA GENS

PER GLI SCAMBI COMMERCIALI nelle Colonie Italiane del Brasile Meridionale (Continuaz. vedi num. 41).

E si può prevedere che una importazione dei nostri prodotti continuerà ancora per molto tempo ad esser possibile, pel fatto che la industria locale non può per ora dare prodotti così buoni e perfezionati come i nostri: così chi ha assaggiato i vini delle colonie italiane del Rio Grande e di Santa Catharina, che sono i soli vini del Brasile, non pensa che essi possano sostituire i vini ita’iani, e lo stesso può dirsi di tutti gli altri articoli. Possibilità di sviluppo del commercio italiano Pertanto si può affermare senza tema di illuderA che il nostro commercio di importazione in quegli Stati sarebbe suscettibile di uno sviluppo molto ma molto maggiore: questa convinzione mi sono fatta viaggiando per quelle colonie italiane poco più di un anno fa: nel giro che allora feci per i singoli nuclei fu mia particolare preoccupazione di interrogare i negozianti nostri connazionali sulle condizipni del com [p. 296 modifica]mercio loro; da tutti mi fu costantemente dimostrato il desiderio di potere avere generi ed articoli italiani, desiderio condiviso e manifestato da tutta la popolazione italiana, la quale in quei paesi ha conservato intatta la lingua, i costumi, i gusti della nostra gente. Tal desiderio pertanto quasi sempre resta insoddisfatto per la difficoltà di far venire qualsiasi merce dall’Italia; mentre per contrario è facilissimo colà avere i prodotti tedeschi, costretti dalle insistenti richieste dei coloni italiani, provvedonó in Italia alcuni tipi di tessuti caratteristici e tradizionali dei nostri contadini, come cotoni stampati per grembiuli, pezzuole da testa, ecc. e li mandano colà col marchio delle merci tedesche. La mancanza di comunicazioni dirette coll’Italia. Di questo è causa principale la mancanza di comunicazioni dirette coll’Italia. Come abbiamo detto, nessun piroscafo italiano tocca di regola i porti di questi Stati. Le nostre linee regolari e veloci pel Sud America toccano Rio de Janeiro e Santos e di lì vanno a Montevideo, lasciando tutti i porti intermedi della

costa Sud. Brasiliana; e non potrebbero fare altrimenti, date le condizioni di quei porti, che non sono accessibili se non a vapori di piccolo tonnellaggio, che non peschino più di tre o quattro metri. Le merci italiane dunque, per arrivare negli Stati meridionali del Brasile, Rio Grande, Santa Catharina, Paranà ed anche Espirito Santo, hanno due vie: o trasbordare dai nostri transatlantici a Rio de Janeiro, a Santos od a Montevideo sui vapori del «Loyd Brasiliano» o della «Navegagao costeira», compagstia,pure Brasiliana, e subire spese fortissime e ritardi per trasbordo e magazzinaggio, oltre le tariffe elevatissime di quelle Compagnie medesime: ovvero imbarcare ad Amburgo sui piroscafi tedeschi della «Hamburg Amerika Linie», sopportando in questo caso, la maggiore spesa di ferrovia dall’Italia ad Amburgo quest’ultima è la via generalmente prescelta. In ambedue i casi naturalmente le nostre merci arrivano in Brasile in condizioni di inferiorità di fronte alle merci tedesche, pel maggior costo di trasporto sostenuto. (Continua)

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