Il buon cuore - Anno XIII, n. 08 - 21 febbraio 1914/Religione

Religione

../Educazione ed Istruzione ../Beneficenza IncludiIntestazione 23 febbraio 2022 50% Da definire

Educazione ed Istruzione Beneficenza

[p. 60 modifica] Religione

Domenica di Quinquagesima Testo del Vangelo.

It regno de’ cieli è simile ad un uomo il quale seminò nel suo campo buon seme: Ma nel tempo che gli uomini dormivano, il nemico di lzii andò, e seminò della zizzania in mezzo al grano, e si partì. Cresciuta poi l’erba, e venuta a frutto, allora comparve anche la zizzania. E i servi del padre di famiglia accostatisi, gli dissero: Signore, non avete vo seminato buon seme nel vostro campo? Come dunque ha della zizzania? Ed egli rispose loro: Qualche nemico uomo ha fatto tal cosa. E i servi gli dissero: Volete voi che andiamo a coglierla? Ed egli rispose: No; affinchè cogliendo la zizzania, non isterpiate con essa anco il grano. Lasciate che l’uno e l’altra crescano sino alla ricolta; e al tempo della ricolta dirà ai mietitori: Sterpate in primo luogo la zizzania, e legatela in fast&lli per bruciarla; il grano poi radunatelo nel mio granaio.

Orovità UN NUOVO LIBRO DI MONS. BONOMELLI Monsignor G. BONOMELLI

1,1X’4.

(S. MATTEO, Cap. 13).

Pensieri. Se sul principio la predicatione di Gesù era stata

Per gli abbonati del Buon Cuore L. 3,50

accolta con gioia dai suoi uditpri, mano mano l’odio dei farisei era venuto aumentando per gli aperti rimproveri di Cristo. L’ammirazione di prima sotto la influenza dei pregiudizi dei loro maestri mutata in avversione, impediva di comprendere le verità sublimi del Vangelo purè esposte così facilmente. E’ adunque verso la fine della sua vita pubblica che Gesù — ad istruire sufficientemente le’ persone animate da buone intenzioni — proporrà le sue istru Casa Editrice L. F. COGLIATI - Milano, Corso P. Romana, 17

zioni sotto forma di parabole facili ed eleganti: tal Peregrinazioni Estive COSE — UOMINI PAESI Volume di 400 pagine con 16 illustraz. L. 4,— [p. 61 modifica]volta egli stesso poi darà — a quanti ne lo richiedano — le necessarie ed opportune dilucidazioni. In queste parabole espone la storia, lo sviluppo ed il carattere della sua Chiesa: in questa poi ci parla degli ostacoli esterni alla nostra buona volontà contro cui è necessario difendersi e salvaguardarsi. Così appare dalla prima lettura del brano di S. Matteo. Si vede l’opera buona del buon padrone; la cura e la scieltezza del seme, lo zelo intempestivo dei servi innanzi al crescere della zizzania, la tolleranza e la pazienza dell’agricoltore, infine la giusta separazione del buon grado dal olio, la destinazione dell’uno al granaio, dell’altro al fuoco. Parmi ben descritta l’azione di Dio nello spirito umano, e nella società religiosa, la Chiesa Santa, Dio nella sua Chiesa non ha sparso la cattiva sentente: desiderava tutto il buon frutto: allo scopo di ritornare gli uomini a penitenza il figlio di Dio didivenne Figlio dell’Uomo affinché per la fraternità con lui tutti divenissero figli di Dio, ma... l’uomo nemico rovinò seininando zizzania. **•

In una prima affrettata lettura noi possiamo in buona fede attribuire il digastro della zizzania. alla mancanza di veglia da parte degli agricoltori. Se non avessero dormito-. se avessero vegliato alla difesa della buona semente... Infatti la cosa pare così, e ci è facile attribuire e spiegare il fatto dell’esltenza del lolio sociale e spirituale nell’anima nostra e ryella società ad una mancanza di veglia da parte dei mistici cultori o direttori di questa società religiosa. Se ci facciamo a ragionare la cosa non è Così. Un agricoltore quando ha arato il suo campo e lo ha coltivato, non è necessario vegli continuamente alla difesa. Così — per vero — si usa ovunque, clAè troppo giusto è un riposo dopo sì grave fatica. La circostanza notata dal Vangelo dice non la colpa in chi legittimamente riposava, ma nota più l’oltraggio vile del nemico. Se possono darsi gravi danni dalla mancanza di vigilanza da parte di chi ’ha responsabilità, non tutto deve spiegarsi con questa forma esclusiva. — No: questa è l’opera non solo degli eretici, non solo dei peccatori, ma ancora di ne imiquelli che — freddi, rilassati, incl1fferenti tano la vita,.le abitudini: quanti frequentano i malvagi, per il che, a loro sottomettendosi, questi indegni figli di Dio — al pari del lolio e della zizzania — diventano in seguito i figli del peccato e di Satana.

Che si può adunque dai buoni contro di questi che inquinano, infestano il campo e la vigna del Signore? Estirparli?... Non è così facile, come lo dimostra il buon padrone. Come s’intrecciano e s’uniscono nelle loro radici il lolio ed il buon frumento, così i cattivi fanno vita comune coi buoni e gli,eletti, e per salvare un solo eletto è necessaria la tolleranza della loro cattiveria. Vivano — Dio vuole non la loro morte, ma che si convertano e vivano — ma, continuo monito, continua condanna alla loro vita disordinata sia la vita del giusto. Vivano coi giusti, e le vergogne loro ci mostrino la causa di queste spaventose cadute... vivano perché il buono si difenda e veda dove avrebbe potuto precipitare. Viv.ano e servano a perfezionare e fortificare la virtù dei giusti, che nella lotta s’irrobustisce e migliora.

E perchè se di tanta pazienza da Dio un così grande esempio, noi saremmo così intolleranti verso i peccatori? Perchè non avrebbero questi diritto alla nostra pietà? Perché dovremmo sfuggire l’efficacia della preghiera, l’esempio della buona vita, la forza della virtù? Non sarebbe la luce che cede all’ombra? Non furono le preghiere, le lagrime, il martirio di S. Stefano e di S: Monica che diedero alla Chiesa S. Agostino e S. Paolo? Che ci avrebbe fatto uno zelo intempestivo? Non valeva S. Paolo il martirio del giovane levita? B. R


co7•

‘1(.7.• ’71

LA CRITICA DELLA CRITICA

La vita e il libro Quello solo -- - scriveva il De Sanctis — è vivo nella letteratura che è vivo nella coscienza. E più chiaramente: a la poesia è voce del mondo interiore, chè non è poesia dove non’è coscienza, la fede in un mondo religioso, politico, morale, sociale. Perciò base del poeta è l’uomo». Così le sapient: parole rammemora e trascrive a suggello dell’ultimo volume dei suoi scritti’critici G.

Il libro più bello, più completo, più divertente che possiate regalare è l’Enciclopedia dei Ragazzi, [p. 62 modifica]A: Borgese, il quale ha il merito di aver portato nella critica, pur offerta nella forma viva e succinta dell’artc. olo di giornàle o di rivista, una serietà, e un calore di discussione addottrinata a un tempo e geniale che ha scosso ìier un buon periodo di tempo l’incorreggibile apatia della grande massa dei lettori, avvezzi a disinteressarsi delle grandi questioni artistiche e letterarie come di cose estranee e indipendenti dal grande e multiplo fervore della vita • moderna. Borgese ha tentato dimostrare, anzi ha dimostrato che no. A torto per alcun tempo egli passò come uno dei grandi pontefici della critica, derivante la fierezza, talora un po’ proterva, del suo accento dalla cattedratica sapienza — tutt’altro che infallibile però — di Benedetto Croce. E fu considerato dal pubblico è dagli autori ansiosi di strappargli un giudizio favorevole come se fosse davvero in sua facoltà decidere della sorte di ogni scrittore, che è quanto dire delle opere d’arte. Ma Borghese era troppo giovane per assumere, o meglio per assolvere questo còmpito, che del resto non può e non deve entrare affatto nella missione della critica; e quando anzi tenta di farvi capolino ne compromette la serietà, e tradisce subito il dilettantismo impressionistico, d’e: postulanti dell’arte. G. A. Borgese non poteva.e non voleva creare un sistema, nè farsi cont.nuatore o esegeta di una nuova scuola. Egli si riferiva, è vero, sovente al De Santis, polemizzava- ora accordandosi ora opponendosi al Croce, ma nell’alterna’ vicenda dei suoi dibattiti rivelava sopratutto e più che tutto lo sforzo personale e passi.onato di incavare nella -variegata ed eterogenea compagine, dell’arte moderna un forellino diritto e. profondo per yiversarvi,giù il rivolo della sua dialettica, per incidervi uno spiraglio sottile che lasciasse sfuggire qualche luce di vero. Persino il suo modo di esprimersi tradisce questo atteggiamento di Canopo dell’anima moderna. Egli procede con l’ausilio costante d’immagini quanto più è possibile plastiche, spesso strette in periodi brevi, quasi aggressivi. Sono Col’pi di piccone che fa cadere nei punti segnati dalla

PENSIERI E’ piò facile scrivere la storia della propria testa che quella del proprio cuore. • *

Gli onori, come le impronte d’una moneta, possono dare corso al rame e aggiungere un valore ideale e locale a un pezzo di vile metallo; ma l’oro e l’argento passeranno d’appertutto, senz’altra raccomandazione del proprio peso.

sua indagine come se il suono stesso della diritta mazzata cooperasse a rivelar la natura della zolla ferita. Spesso par che l’assalga l’impazienza, la furia di demolire, far rotolare i detriti, liberare:l terreno per,mettere a nudo il lieve bagliore di una qualche vena d’oro. Quelli che non comprendono l’ardore fattivo di quella sua opera incalzante gridano alla sua follia distruggitrice; e se qualche volta egli appar troppo lieto di aver trovato nuove gemme, e ne, dà esultando l’annunzio, sorridono dell’eccessività del suo giudizio. Ma v’è anche, e sono anzi moltissimi, che s’interessano particolarmente alla critica del Borgese, a quella soprattutto che si aggira su opere recentissime, che si distinguono dalle altre che hanno già preso il loro posto definitivo nella storia, appunto per il modo con cui tale critica si svolge. Il suo temperamento caldo, ricco, esuberante non può dissolversi entro l’opaco lavoro del commentatore e dell’interprete. E quando sembra avanzare con maggior freddezza, quando sembra aver trasportato sul- marmo rigido del tavolo anatomico quell’organismo artistico che vuol dividere parte a parte, ecco d’un tratto scaturire dalla sua parola un fremito, un guizzo, che come,un’iniezione eccitante ridà la vita (forse una vita nuova o migliore o più comprensiva) alle membra già composte per l’ultimo esame. Per questo, io credo, autori ed artisti avrebbero dovuto ritenerlo anzichè un giudice infalltbile un alleato prezioso; un alleato che cercava la via alla luce di quel suo colorato ragionamento, là dove gli altri, romanzieri e poeti arrancavano al mutevole barbaglio di un indefinito sogno di arte; un alleato che poteva errare appunto perchè quella via di verità era ancora a tutti irrivelata. Nel Borgese però il desiderio di trovarla era talora più vivo che negli artisti stessi,-per lo meno più vivo che in certi artisti. Così, mentre il critico siliano si mostra sereno dispensatore della sua cultura nella interpretazione di quelle opere letterario che han già compiuto il loro ciclo, nell’esame delle ristampe, nei giudizi su autori sepolti, ci appare battagliero, fervido, qualche volta perfino intemperante quando parla di cose e persone che vivono ancora con noi, e di che noi ancora viviamo. Quando, dopo venticinque anni dalla prima edizione, il pubblico italiano rivide il libro di Don Chisciotte dello Scarfoglio, il Borgese scrisse un articolo per dmiostrare che venticinque anni nulla avevano tolto alla fr’eschezza di quel libro. Noi certo ci auguriamo che fra venticinque anni non si debba dire,

[p. 63 modifica]anzi è certo che non si potrà dire la stessa cosa dei volumi di critica di Borghese: e ciò Per la buona ragione che l’Italia in questi cinque lustri non- ha fatto che spendere fino all’esaurimento quei capitali d’arte che strapparono allo ’Scarfoglio i primi ana temi comunisti agli osanna giocondi: Ma senza dubbio il coltissimo abruzzeSe cui il giornalismo degenerò così miseramente, tornato come critico alla ribalta dopo la lunga lontananza apparve pl vicino al Borghese di quel che non gli siano, i più prossimi predecessori, e molti dei suoi coetanei. V’era nell’atteggiamento, nell’arte sapiente di attaccare e difendere attinta ad un’ampia cultura, nell’interessamento alla lotta qualche cosa di comune. Ed in quel qualchecosa è forse il segreto della vivacità della critica del Borghese, che ha sospinto indubbiamente le nuci ve generazioni verso quel rinnovamento spirituale. cui forse una più chiara luce attende. ’ Il Borghese dopo aver compilato il suo terzo volume di saggi critici, ove ha ancora esaminato ’,e idee e le forme d’i Giovanni Pascoli, di Carducci, di d’Annunzio, ove hanno ancora trovato posto i suoi colpi di frusta su autrici e autori italiani e stranieri, vicinissimi a noi, e già scomparenti all’orizzonte, ha suggellato la sua opera rivelandoci quel che fu il suo stimolo, quello che oggi è la sua grande speranza. La critica — come egli la. definisce — è desiderio di conoscenza suggerita da amore. Tale desiderio lo ha finora sospinto al’faticoso lavoro s di distillare fra pagine e pagine il grave succo_ dei fatti finchè raggiunga la limpidità d’ella coscienza )) ora lo induce all’aspettazione silenziosa di una nuova rive’azione. E nel chiudere le pagine egli, pur non tentando la profezia che potrebbe riuscire fallace, ci fa pensare a una rinascita dell’arte nostra che si.a de gna dei nostri progressi politici. -- Abbiamo visto i nuovi fatti — egli scrive — la pazienza, il coraggio, la d sciplina della nazione messa a dura prova. Vediamo ora di molto:Aiutate, il mondo e cresciuti a dismisura il compito e la responsabilità dell’Italia; così che dinanzi a tant) ingrandimento morale dovrebbero aver vergogna anche i dilettanti letterari dei loro balocchi. Per ora — ci prosegue più oltre — l’Ufficio della critica ’Minante è finito. La nuova letteratura o non è nata, o non ancora si manifesta alla critica che di sua natura é lenta; la.vecchia è morta, nè soltanto per metafora. Chè in pochi anni sparirono fuori d’Italia Ibsen, Bijorson, Tolstoi e Swinbutne e Meredith; e in Italia sparirono Rovetta e Butti, Oriani e Dosi, Giacosa c Fogazzaro, Carducci e Pascoli.

63

— Una critica Militante che distilla il cervello, per ideare intorno a libri senza idee e insuperbisce sui medioCri confessi, finisce per consumare se stessa come un mulino senza grano, e per divenire Più piccola delle pr:ccole letterature contro cui vanamente si accanisce... Ora è tempo di lavorare a opere efimere. Con queste parole l’autore ci promette un suo qualche notevole lavoro di studioso. Solamente noi non possiamo convenire con lui che chiama efimere l’opere che ha svolto sin• tiui.con il suo lavoro giornalistico. Attraverso l’ineluttabile labilità della prosa affidata alle gazzette, egli è riuscito a smuovere e commuovere, che è quanto dire a fare opera più viva e più duratura di quella spesso affidata a ponderosi laVori. E d’altra parte è difficile dimenticare la coppa ove si è assaporato il liquore magari un po’ venefico della discusSione vivace e vibrante. Si tornerà dunque a quel lavoro che oggi chiama efimero. E ci auguriamo che vi torni presto, perchè ciò vorrà dire che le giovani messi cominciano ad accestire nel giovani solchi. TERESITA GuAZZARONI.