Il buon cuore - Anno XII, n. 04 - 25 gennaio 1913/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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QUELLO CHE HA FATTO L’ITALICA GENS nel primo biennio ed i suoi progetti per l’avvenire (Continuazione del numero 2)

Due furono le colonie create con capitale e mano d’opera italiane al Cile: l’una chiamata Nuova Italia nella provincia di Malleco, e l’altra Nuova Etruria nella provincia di Cautin. Ambedue si collegano a una solida e vasta impresa di colonizzazione, sorta circa nove anni fa nel Cile e di cui è bene qualche 0211110. Nel 1903 il Governo cileno, volendo procedere alla colonizzazione delle vaste terre dell’antica Araucamia, faceva una concessione di oltre 27.000 ettari di terreni al sig. Salvatore Nicosia, italiano residente [p. 29 modifica]in Santiago, a condizione che questi vi introducesse, nello spazio di tre anni, cento famiglie di agricoltori dell’alta Italia. Ottenuta questa concessione, il Ni.-cosia si unì coi fratelli Ricci, industriali italiani residenti essi pure in Santiago e questi fornirono i capitali occorrenti per l’impresa di colonizzazione chiamata Nuova Italia, dal nome della colonia che prima si doveva impiantare. Costituita la Società, uno dei fratelli Ricci arruolava in Italia, nei primi mesi del 19o4, coll’autorizzazione del R. Commissariato dell’emigrazione, un primo nucleo di 23 famiglie, quasi tutte della provincia di Modena. Il decreto d’autorizzazione del R. Commissariato dell’emigrazione vincolava l’impresa colonizzatrice all’osservanza di parecchie coindizioni, tutte intese a garantire la buona riuscita del tentativo che veniva intrapreso. Rammenteremo quella che ingiungeva di presentare al Commissariato un elenco nominativo delle persone arruolate e di stipulare in Italia, ed in Itingua italiana, i contratti tra la Società e le famiglie arruolate. Il Commissariato dell’emigrazione, istituito dalla benefica legge del 1901, interveniva così per la prima volta per esigere serie garanzie per la’ soste dei coloni che lasciavano l’Italia, mentre si proponeva di seguirli anche di là dall’Oceano, più da vicino, vigilando — per quanto era possibile — che i patti contrattuali fossero adempiuti. Per questo secondo fune il Commissariato disponeva che i nuovi emigranti, destinati alla colonia Nuova Italia, fossero accompagnati da un abile funzionario del Commissariato stesso che fu il dottor Alfonso Lomonaco, il quale, nella sua qualità di medico, avrebbe potuto anche prestare l’assistenza sanitaria agli emigranti durante la traversata e nei primi mesi del loro installamento. L’opera d’assistenza del R. Commissariato ai coloni di Nuova Italia si manifestò specialmente nella formulazione dei contratti. Per mezzo di questi, alle 23 famiglie venivano concessi 70 ettari di terreno per ciascun capo, oltre un certo numero di ettari ai figli maschi in relazione alla loro età; fu fissato l’obbligo da parte dell’impresa di fornire alle famiglie gli animali, gli attrezzi agricoli ed il mantenimento per la durata di due anni e quello, da parte dei coloni, di pagare in quattro annualità, a datare dalla fine del terzo anno, il debito contratto verso l’impresa. Soddisfatto il loro debito a capo del sesto anno, i coloni sarebbero rimasti proprietari assoluti dei terreni. Il primo saggio di colonizzazione si iniziava sotto i migliori auspici. Senonchè sul principio del 1905, prima di attendere i risultati del primo tentativo, si volle subito procedere all’invio di altre famiglie nelle terre di Nuova Italia, secondo i patti dell’impresa di colonizzazione col Governo cileno, che per altro non esigevano una così urgente attuazione. Questa seconda volta, purtroppo, la scelta dei coloni fu fatta un po’ affrettatamente. Quando le nuove famiglie arrivarono a Nuova’ Italia, le case destinate ad accoglierle non erano ancora pronte; i lotti di

terreno non ancora delimitati. Questi ed altri segni della deficiente preparazione da parte dell’impresa crearono tosto malumori tra i coloni per modo che una parte di essi abbandonava Nuova Italia dopo poco tempo. Nonostante questa dolorosa secessione, l’azienda si mise ben presto in assetto, ed ora la colonia Nuova Italia, sulla quale ci siamo qui brevemente trattenuti, come l’altra di Nuova Etruria nella provincia finitima, si trovano in condizioni soddisfacenti, e le condizioni dei coloni tendono sempre più a migliorare, in grazia anche all’allargamento degli scopi dell’impresa che ha assunto, oltre all’agricola, anche una forma industriale. Il Cavi Silvio Godetti, ispettore viaggiante di emigrazione, che visitò la colonia Nuova Italia nei primi mesi del 191o, ha potuto accertare le buone condizioni attuali dei nostri coloni. Egli nel suo rapporto, pubblicato or non è molto, dice di aver trovato in Nuova Italia 62 famiglie italiane, ciascuna delle quali è legittima proprietaria in media di 75 ettari di terreno, i quali sono passati in loro proprietà esclusiva con decreto del’Governo cileno in data 3o -maggio 1908. Ancora. Esaminando i conti correnti dei coloni, riscontrò che quattro famiglie avevano già estinto interamente il loro debito con la Compagnia e il debito di ciascuna delle rimanenti 58 famiglie in media sommava, il 28 febbraio del 1910, a 1643 pesos (1). Ma fatti i conti delle aree coltivate, dei prodotti e dei prezzi correnti, a risultò all’evidenza che, pur non tenendo conto dei prodotti dell’allevamento, il debito individuale era facilmente compensato dalla rendita, dalla quale si era previamente esclusa la parte necessaria al sostentamento della famiglia a. La Società colonizzatrice ha poi allargato i suoi intenti coll’aumentato afflusso di nuovi capitali, sot:toscritti tutti da italiani, fra i più ricchi e influenti di Santiago e di Valparaiso, e si chiama a Società colonizzatrice agricola ed industriale Nuova Italia a. I boschi fitti e abbondanti che circondano la concessione vengono sfruttati, e per mezzo della fabbricazione del tannino e’per mezzo del commercio del legname. Parecchie segherie sono sorte all’uopo nel villaggio Capitan Pastene. I terreni che la Società si è riservata, e quelli dei coloni che non possono per il numero limitato di braccia, essere coltivati, si prestano all’allevamento razionale degli animali e, pare, si sia pure proceduto allo sfruttamento dei giacimenti di carbone che esistono nelle montagne vicine. La messa. in valore di tutta la colonia è stata ora poi agevolata dalla ferrovia che si stacca da Los Sauces e va a Lomaco, il centro più importante vicino a Capitan Pastene. sai Ora qualche considerazione. Noi prendiamo atto delle attliali, buone condizioni dei coloni; però osserviamo che delusioni, soosaggiamenti di una parte (i) Il peso cileno per le molte oscillazioni subtte in questi ultimi anni varia da lire ’,n) a 1,20. [p. 30 modifica]di essi si sarebbero potuti evitare, e che un andamento normale si sarebbe subito potuto avviare con una graduale introduzione di coloni, evitando il farraginoso invio di un grande numero di famiglie. E’ il primo insegnamento che dobbiamo trarre: per qualunque impresa di colonizzazione non devesi permettere l’arruolamento di un numero grande di famiglie: queste dovrebbero essere limitate a venti o venticinque al più. Occorre poi insistere sull’uniformità di condizioni professionali e sulla comunanza d’origine dei coloni. Infatti, prescindendo dagli elementi torbidi, che anche in piccolo numero riuscirebbero a insinuarsi tra i coloni, occorre limitare l’arruolamento ai soli agricoltori. Come giustamente osserva il dott. Lomonaco, è un’avvertenza questa che può parer superflua, ma che assai spesso è dimenticata, poichè sovente ci si fida delle asserzioni degli operai e dartigiani stessi che, oltre al loro mestiere, dicono di sapere coltivare anche la terra. Solamente i contadini, avendo in pratica la lavorazione delle terre, sanno aspettare i risultati delle loro fatiche: saggia pazienza che, se è necessaria dappertutto, lo è in special modo nelle terre coloniali da dissodare e coltivare per la prima volta. La comunanza d’origine poi, supponendo identità di abitudini e di linguaggio, è di sprone e di conforto nelle inevitabili difficoltà dei primi anni. Questa vicendevole simpatia che nasce dalla comunanza suddetta, facilitò anzi assai P.assegnazione dei lotti ai coloni della prima spedizione di Nuova Italia: quantunque la sorte e non il favore abbia presieduto alla divisione dei terreni tra essi, non fu tuttavia un sorteggio fatto in ragione del numero.delle f amiglie, ma in ragione di diversi gruppi di esse, perchè parecchie famiglie già avevano dimostrato il desiderio di rimaner vicine. I coloni appartenenti al gruppo e che desideravano continuare anche nella nuova terra i buoni rapporti stretti in Italia, avrebbero poi a loro volta sorteggiato per ciascuno il proprio lotto. L’incertezza dei primi tempi da parte dell’impresa va però anche riferita al fatto che, nelle concessioni delle terre fatte ad essa dal Governo, non si era previamente tenuto esatto conto dei diritti delle persone che avevano precedentemente occupato il terreno, le quali costituirono un focolare di malcontento e furono non ultima causa della secessione di una parte dei coloni. Ora, per ovviare a questi inconvenienti, oltre al far tesoro degli ammaestramenti suaccennati, occorrerebbe che coloro cui stanno a cuore le condizioni dei nostri coloni,, si rendessero conto delle reali condizioni dei luoghi da colonizzare prima che le famiglie per essi arruolate partano dall’Italia. Il. R. Commissariato dell’emigrazione attuò la sua efficace opera di assistenza degli, emigranti col far accompagnare due volte, nei primi mesi del 1904 e del 1905, i nostri coloni al Cile, e l’opera intelligente del dottor Lomonaco fu da tutti apprezzata; ma gli inconvenienti detti sopra non avrebbero avuto luogo

se il commissario governativo fosse stato inviato in precedenza ad accertare de visu le condizioni dei terreni ed avesse così procurato la risoluzione delle controversie che resero poi agitata nei primi tempi la vita della. colonia. Comunque, è ben noto a noi che conosciamo la vita di altre nostre colonie in paesi transoceani come il primo periodo d’installazione coloniale è un periodo di privazioni e di disagi e che solo in seguito può venire, col lavoro e coll’abile direzione, il benessere e la ricchezza.

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Ricercando ora quali vantaggi presenterebbe la colonizzazione del Cile, fatta da elementi italiani su più vasta scala, a noi parrebbe di poter rintracciare, dai vari saggi finora avutisi e dalle fonti private di notizie, parecchie favorevoli condizioni. Il solo grande impedimento sarebbe il numero limitato delle terre da colonizzare. E’ infatti nota la configurazione fisica del Cile che si sviluppa solamente in senso longitudinale con uno sviluppo di 490o chilometri di costa lungo il Pacifico, mentre la larghezza, dalla Cordigliera delle Ande all’Oceano, varia in media dai 17o ai 200 chilometri. Su una striscia così lunga di terreno è ben naturale che si avvicendino, a mano a mano che si percorre il territorio dall’alto al basso, i climi più varii e la più differente varietà di terre. Dalla parte settentrionale, che abbraccia le provnicie di Tacna, Tarapacà, Antofagasta, in cui il clima è caldo e secco per modo che in taluni punti la pioggia costituisce un avvenimento eccezionale (la più recente pioggia risale’ per alcuni paesi a un secolo fa), passando attraverso al clima delizioso delle provincie centrali, si giunge fino ai territori vicini agli arcipelaghi rnagellanici, in cui l’umido ’permanente caratterizza l’intera regione: regione di pioggie abbondanti e continue. Diversità di climi e quindi di prodotti. Mentre infatti la zona settentrionale è quasi del tutto sterile sotto l’aspetto agricolo, possiede però grandi giacimenti di minerali, sorgenti di ricchezze per l’erario del Cile. E’ risaputo che l’industria dei nitrati, per esempio, rappresenta per il Cile circa il 75 % dell’esportazione totale, e serve a pagare circa il 6o % delle imposte totali di questo Stato. Quanto il suolo sia fecondo di questo prodotto, lo dimostra la previsione dei tecnici che affermano che nel 1912 si avrà una produzione minima di 55.500.000 quintali (i). Lo sfruttamento delle ricchezze minerarie continua ancora nella zona successiva, che il Lomonaco chiama zona minerario agricola, perchè riunisce i caratteri della zona settentrionale e di quella successiva a mezzogiorno, la quale è una zona prettamente agricola: qui gli estesi terreni coltivati sono assai ricchi e fertili e la vegetazione è, a mano a mano che si procede verso il sud, sempre più folta (I) Cfr. il Bollettino dell’Ufficio d’informazioni agrario e di patologra vegetale (pag. 39, numeri 11-12) edito dall’Istiiuto Internazionale d’Agricoltura. [p. 31 modifica]e rigogliosa. Questa zona mediana è anche la sede del maggior traffico commerciale e industriale del paese. Per ultimo abbiamo la zona australe, notevole per le dense e impenetrabili foreste e anche per l’incremento che vi ha preso l’industria della pesca. La zona, a stretto rigore colonizzatile, è quindi quella mediana, e più propriamente quella che comprende le provincie di Arauco, Malleco, Cautin, Valdivia, dove i terreni sono fertili e il clima è buonissimo; le altre provincie più a mezzogiorno si prestano a preferenza alla pastorizia, all’industria forestale ed a quella della pesca. quale sia l’incremento della produzione agricola del Cile, data principalmente da quella zona mediana già messa a coltura, possiamo arguirlo da dati recenti e sicuri che ci fornisce l’Istituto Internazionale d’Agricoltura. Apprendiamo da essi (t) che le produzioni previste per l’anno 191 1-12 sono di 10.500.000 quintali per il frumento e di 3.450.000 quintali per l’orzo, con un aumento rispettivamente del 6,9 % e del 668, 4% rispetto alle produzioni ottenute nell’anno 1910-11. L’incremento agricolo del Cile, se questi calcoli dei pratici non falliranno all’ultima ora, non è dunque poca gasa. (Continua). (r) Cfr. il Bollettino di Statistica agraria del dicembre 1911 e del gennaio 1912, pubblicafiione mensile dell’Istituto Internazionale d’Agricoltura.

ON PASSARIN

Sul beli lenzom de nev che g’hoo in giardin, Con quella irrequietudin d’on bagni, Saltella e torr e vola on passarin; Ma in quant alla pastura el g’ha di guai I I piani? Eh sii Bell pari lu a guardai; G’han pu de ficcai e lu el g’ha pu el lettin. Hin secch; ghe casca nanca on granellin lu, coi fa: cip, cip, sto pcer ronzai, El par ch’el disc: mi g’hoo famm o gent i Quand tutt a on tratt se derv na finestrino on pugn de mei ghe riva in quell moment; Oh Provvidenza i Come l’è content i Sta Provvidenza.... l’era ona bambina, Che la sentii in del cccur el so lament.