Il buon cuore - Anno XI, n. 50 - 14 dicembre 1912/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Religione Per la pace fra i popoli

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Il Valore del Martirio

(Dal Corriere d’Italia).

(Continuazione vedi N. 49).


In questa vicenda singolare intanto il tormento è purificato e moltiplicato insieme: esso sembra raccogliere le implorazioni dilaceranti dei superstiti, delle mamme, delle spose, dei figli: ai quali è negato pur anche il conforto estremo di chiedere ad un giudice la carità di una grazia: essi nulla possono invocare [p. 373 modifica]dall’uomo della legge come da arbitro; nulla dalla pietà del carnefice: arbitro è l’accusato, carnefice la vittima.

L’olocausto che il cristiano offre di sè medesimo è un rito di libertà: lo stesso carattere eccezionale della logica giuridica alla quale si ispira la persecuzione, contribuisce a rendere altissima la purezza di questa offerta: essa è un atto di libertà: una parola, un «no» basterebbe a scongiurare la prigionia, il tormento, la morte, tutto.

Il martire, adunque, vuole, pienamente, il martirio: l’accettazione del sacrificio è opera sua. Tuttavia questa volontà di martirio che s’afferma nella complessità dei motivi e delle condizioni, profondamente entusiastica, trova pur sempre, in una superiore legge della «misura» — che domina tutto l’organismo dell’etica cristiana — il suo correttivo e, quindi, la sua sublimazione.

Anche la «volontà di martirio» — che pure è volontà di amore — va soggetta al travaglio del distacco, alla durezza dell’abnegazione, affinchè non la contamini ombra di desiderio impuro: neanche volontà di martirio deve degenerare in voluttà di morte! e «volere» si può, il martirio, «cercare» non si deve; desiderare, si possono, gli splendori della via eroica non eleggere a se stessi, siccome disposizione di arbitrio.

La Chiesa condanna con uguale severità e proclama ugualmente eretici tanto i tiepidi che rifuggono dalla prova quanto i folli di sangue che la prova ricercano con pertinacia di desiderio.

La Chiesa condanna ugualmente l’apostasia e l’imprudenza: proibisce ai fedeli di eccitare — sotto qualsiasi forma — l’odio dei pagani, proibisce loro di denunciarsi, di «costituirsi» al persecutore; approva e consiglia la fuga durante la persecuzione: la Chiesa è custode delle cose divine: tra la paura dei vili e la voluttà cieca dei fanatici, sta il prodigio del martirio cristiano, sta la forza, la consapevolezza, conciliazione di tormento e di letizia, nell’amore.

Questo squisito equilibrio di energie spirituali che l’uomo, non che raggiunto, non avrebbe neanche concepito, senza il dono di Dio, e che è fatto unico nella storia ha una sua originalità che non si sorpassa e non s’adegua è il suggello della maestà ideale del martirio cristiano. La cui anima nuova è l’annuncio evangelico dell’amore: il martire non è un violento: nè contro sè stesso, nè contro gli altri; non è un seminatore d’odio, un organizzatore di rivoluzioni, un mandante di omicidi.

Quando la morbida retorica del cretinismo demagogico tenta di mascherare colla porpora dei martiri le tristi avventure di qualche «ideologo» della plancastite caduto nel laccio, o di qualche pratico dell’umanitarismo, ucciso colla rivoltella in pugno, in un qualunque conflitto colla forza pubblica, allora si sarebbe tentati di sorridere, se l’orrore di una profanazione non inducesse, invece, a meditare.

Profanazione non solo, ma avvilimento, negazione dei più alti valori morali, «materializzazione» del martirio: perchè a «creare» il martire non basta la morte: l’atto bruto di chi uccide e di chi muore va avvivato e fecondato da un dramma di coscienza per poter essere l’atto di un carnefice e l’atto di un martire: una grande e docile volontà di amore deve cozzare contro la spada e contro il rogo, per spezzare il flagello. Se chi semina violenza, violenza, nella morte, raccoglie, non ascende, per questo, nel cielo dei martiri: il dramma non c’è, se non c’è ardore di contrasto, dissidio d’odio e di predilezione infinita: c’è, invece, nell’ordine della pura moralità, una banale equivalenza meccanica: a violenza, violenza; il cerchio della morte resta, inesorabilmente, chiuso.

La morte non basta: il sangue di tutti gli uomini non basterebbe a dare un santo: a vivere non basta morire: la testimonianza del sangue è il simbolo vivo della testimonianza di tutta una vita: ed eretici chiama la chiesa coloro che altra via eroica non accettano se non la via della morte: martyres sine sanguine chiama coloro che confessano la fede nelle tenebre delle miniere, negli orrori delle carceri; e confessori, non meno dei martiri, coloro che l’ardente e sempre inappagata brama del martirio accettarono in umiltà, come il tormento acuto e velato di tutta la loro esistenza: essi vissero pronti a morire, testimoniando, intanto, nell’attesa sublime, colla vita, il fatto di Cristo.

E’ il martirio che disvela il suo valore universale: nella legge cristiana esso non è solcala vocazione tragica d’un esercito di eletti; è la formula di tutta la vita morale.

Il cristiano non è uno scettico, non è un agnostico: non solo crede che la verità sia, ma crede pur anche che essa sia raggiungibile: e con Dio, che alla libertà presta i doni della grazia, egli la libertà raggiunge, la verità contempla, la verità «vede»: la sua fede è, insieme, inno, parola, visione, percezione: è certezza di Dio.

Per una fede siffatta si può bene morire: Dio stesso s’afferma, operando, nella storia e agli uomini si disvela in visibile e mai dimenticabile splendore: dubitare? rinnegare? tacere?

Impossibile: la compiacente tolleranza che Roma imperiale offre agli dèi di tutti gli olimpi, è una menzogna contro Dio e contro la storia: e per Iddio e per la storia, chi ha udito chi ha visto, può bene preferire la morte.

E’ la filiazione ideale e storica del martirio: gli uomini non sarebbero morti, per il vangelo, se il vangelo non avesse dato loro la verità: è la verità che li fa morire. Perchè? Perchè è la verità che li fa vivere: è la verità, della civale essi rendono testimonianza che illumina, divinamente, ogni ora, ogni attimo della loro vita: è il fatto di Cristo che dà una significazione, un valore, una continuità ideale a tutta là loro esistenza giovani e vecchi, soldati e fanciulle, schiavi e familiari di Augusto, tutti -- nella famiglia, nella corte, sul campo del lavoro come sulla via trionfale — tutti incontrano Cristo; tatti incontriamo Cristo; ed è Egli stesso che pone a noi la domanda dolce e terribile «Chi dite che io sia?»

E’ la perennità della testimonianza cristiana: è la legge del martirio che s’afferma in tinta la sua [p. 374 modifica]maestà ideale e coloro che si assoggettano pienamente all’imperio di lei, i Santi, sono, realmente, i contemporanei di Cristo, sono come Stefano e come Pietro, i testimoni di Lui: in ogni ora, in ogni attimo della loro vita, essi possono, senza dubbiezza di viltà, rispondere alla domanda divina: «Tu sei il figlio di Dio».

E contro un’ora sola, contro un attimo solo di oblio, che altro se non la morte? Perchè tutta la vita morale del cristiano è poggiata sulla realtà adamantina di un fatto divino e sulla testimonianza che di esso rendiamo: noi che vedemmo, noi che udimmo: e che non possiamo, no, perdutamente, «non dire».