Il buon cuore - Anno XI, n. 38 - 21 settembre 1912/Religione

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Il buon cuore - Anno XI, n. 38 - 21 settembre 1912 Necrologio

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Vangelo della domenica quarta dopo la Decollazione



Testo del Vangelo.

In quel tempo vedendo il Signore Gesù lungo la strada una pianta di fico, si accostò ad essa, e non vi trovò altro che foglie, e le disse: non nasca mai più da te frutto in eterno. E subito il fico si disseccò. Avendo ciò veduto i discepoli, ne restarono ammirati, e dicevano: Come si è disseccato in un attimo? Ma Gesù rispose, e disse loro: In verità vi dico, che se avrete fede, e non vacillerete, farete non solo quel che è stato di questo fico: ma quand’anche diciate a questo monte: levati e gettati in mare, sarà fatto. E ogni qualunque cosa che domanderete nell’orazione credendo, lo otterrete.

S. MATTEO, Cap. 2.


Pensieri.

Gesù — evidentemente — prende occasione di quest’albero sgraziato per parlare una volta di più della fede. È la sua preoccupazione questa del bisogno della fede per la salute, per il bene di tutti: nè a Gesù sfugge occasione per parlare di ciò: dice cosa sia, in che si trovi, quale ne sarà il frutto, quale forza d’azione essa crei, come si moltiplichi, come e dove tenda, ecc. Ad ogni pagina — dirò così — del Vangelo noi ci imbattiamo in questa magica parola, che Gesù primo portò in mezzo agli uomini superbi ed orgogliosi dell’acutezza della loro mente, della forza irresistibile della logica e del pensiero. A fianco della ragione, luce che la guida e sorregge, brilla più alta, più tranquilla, più fulgida una seconda luce, un raggio più vivido, la fiaccola della fede. Tanto è ciò vero che i nemici della Chiesa crearono la strana teoria, essere solo sufficiente a salute la fede, quest’essere l’unico e solo mezzo di giustificazione, indipendentemente dall’azione morale.

Tale teoria è perniciosissima. Persuasi da una parte che il mondo segni la propria rovina il giorno nel quale o la vera fede impallidirà ed altre fedi d’origine e finalità umane prenderanno il suo posto, pure dal discorso di Cristo, troviamo il controllo sano, il reagente per conoscere quale sia la vera fede, la fede buona, la fede alla quale sono solo ed unicamente legate le grandi promesse di Cristo, del Redentore.

Ed a ragione Gesù ci dà modo d’un suo controllo. Ogni giorno versa nella società — vestita di scienza, di progresso, d’ardire, di nuovo — teorie che s’allargano e chiedono il tributo delle umane menti.... come avere il controllo quale delle molte sia la vera, dato che se l’una dice il vero, l’altre che l’avversano sono false? Dove il reagente che m’assicuri delle purità dell’oro dalle mistificazioni dell’orpello?

Gesù lo dice.

Osservate il frutto, come egli aveva detto quando aveva invitato già i discepoli a distinguere i buoni dai cattivi, dai frutti che avrebbero dato: Ex fructibus eorum cognoscetis eos.

Gesù non maledice la pianta perchè non ha fatto frutto, ma solo perchè la frondosità di quell’albero — segno esteriore di grande vitalità e vigoria — l’aveva tratto in inganno, e dal fatto sfuggito era stata dolorosamente sorpresa la sua buona e ragionevole speranza. La maledizione di lui era meritata.... Avesse avuto innanzi una grama, stecchita pianta sbattuta dal vento, aridita dalla siccità ostinata; disseccata dalla mancanza d’umore, bruciata dal solleone, oh! l’avrebbe tollerata, ma non poteva darsi tolleranza qui dove l’abbondanza di tutti gli elementi vitali mal lavorati avevano dato foglie e foglie senza l’utile d’un solo frutto.

Al contatto della parola di Cristo — parola che opera, che agisce, parola di verità — luce che si tramuta in azione, ecco la fede! — la ficaia inaridisce e muore.

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Fogliame senza frutto pur troppo ancor lo troviamo spesseggiare lungo la via di nostra vita, fra gli amici, le conoscenze, nella società in cui viviamo, dentro anche le schiere dei fedeli, dei credenti.

Oh! la gran pompa di fede: a tutti, tutti s’inchinano, si piegano e sono fieri, s’inalberano contro chi s’attenta non dico oscurare, ma appannare il tersissimo specchio della fede: sono gli invitti campioni e difensori e non soffrono indugi, non hanno pazienza quando si tratta di cose di fede. Ma di qual fede?! Come è facile gabellare per parola di Cristo la propria intemperanza, la propria libidine, il livore di anime dall’equanimità di Cristo ben lontane! Come facile blaterare la difesa di lui, sventolarne la bandiera immacolata al vento come la chioma fronzuta dell’albero.... maledetto! Ma quando ci si avvicina, quando di questa fede se ne cerca il delizioso frutto di vita, di bontà, d’amore, di sacrificio, di santa suggestione di paradiso, oh! come più ratto del vento ci si ritrae, si ritorce lo sguardo poichè là dove sognammo il Cristo — operatore di vita — abbiamo toccato il serpente velenoso che ci attendeva al varco, che ci ingannava col dolce canto, che ci addormentava in un riposo, non ristoratore di forze sante e capaci, ma in riposo che ci acclimatizza ed atrofizza come la morte!

Maledizione a quella fede che senza l’opere è morta, maledizione a quella fede che non a Cristo avvince e lega, ma disgiunge e disrompe!

B. R.