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298 IL BUON CUORE


Fogliame senza frutto pur troppo ancor lo troviamo spesseggiare lungo la via di nostra vita, fra gli amici, le conoscenze, nella società in cui viviamo, dentro anche le schiere dei fedeli, dei credenti.

Oh! la gran pompa di fede: a tutti, tutti s’inchinano, si piegano e sono fieri, s’inalberano contro chi s’attenta non dico oscurare, ma appannare il tersissimo specchio della fede: sono gli invitti campioni e difensori e non soffrono indugi, non hanno pazienza quando si tratta di cose di fede. Ma di qual fede?! Come è facile gabellare per parola di Cristo la propria intemperanza, la propria libidine, il livore di anime dall’equanimità di Cristo ben lontane! Come facile blaterare la difesa di lui, sventolarne la bandiera immacolata al vento come la chioma fronzuta dell’albero.... maledetto! Ma quando ci si avvicina, quando di questa fede se ne cerca il delizioso frutto di vita, di bontà, d’amore, di sacrificio, di santa suggestione di paradiso, oh! come più ratto del vento ci si ritrae, si ritorce lo sguardo poichè là dove sognammo il Cristo — operatore di vita — abbiamo toccato il serpente velenoso che ci attendeva al varco, che ci ingannava col dolce canto, che ci addormentava in un riposo, non ristoratore di forze sante e capaci, ma in riposo che ci acclimatizza ed atrofizza come la morte!

Maledizione a quella fede che senza l’opere è morta, maledizione a quella fede che non a Cristo avvince e lega, ma disgiunge e disrompe!

B. R.

Prevosto CESARE ROLANDI

Lunedì, 16 corrente, si fecero nella Chiesa Collegiata di S. Babila, solenni funerali al Prevosto Cesare Rolandi. Non aveva che 48 anni; da soli due anni era Prevosto di S. Babila. Universale era il compianto pel sacerdote zelante e caritatevole, rapito così presto alla stima ed all’affetto di quanti lo conoscevano.

Il Prevosto D. Carlo Locatelli, che funzionava come nominato Vicario, dopo la Messa ne tessè gli elogi, con un breve affettuoso discorso, nel quale fece risaltare come la dote caratteristica del defunto fosse il cuore, il cuore nell’amor verso Dio, il cuore nel cercare sempre nuove occasioni per giovare al prossimo, nei diversi posti nei quali ebbe a trovarsi come coadiutore nella Parrocchia di S. Carlo prima, e poi nella Metropolitana, e da ultimo come Prevosto della Chiesa di S. Gioachimo e di S. Babila. Questo zelo del bene delle anime, rendendolo noncurante dei riguardi dovuti alla sua salute, ne affrettò la fine.

Il bene da lui fatto non muore. Resta nella riconoscenza degli uomini, si perpetua nelle benedizioni di Dio.

L. V.



La NONNA è un capolavoro di una freschezza e di una originalità assoluta.

Educazione ed Istruzione


una pagina di turgheniew


UN INCENDIO IN MARE

(Continuazione e fine, vedi n. 37).

Fu tuttavia quel capitano che ci salvò la vita; prima col cambiare sull’ultimo momento che potevasi ancora entrar nella macchina, la direzione della nave, che filando dritto su Lübeck invece di virar rudemente sulla costa, sarebbe divampata infallibilmente prima di giungere al porto; e poi ordinando ai marinai di sfoderare i coltellacci e dare addosso senza pietà a chiunque cercasse toccar una delle due scialuppe che ci restavano, essendosi capovolte le altre per l’inesperienza dei passeggieri che avevano voluto gittarle in mare.


I marinai, la più parte danesi con le faccie energiche e fredde, e col bagliore quasi sanguinante delle fiamme sulle lame dei coltelli, inspiravano involontario rispetto. C’era già una gagliarda burrasca, ma fu accresciuta dall’incendio che urlava per un buon terzo del bastimento. Debbo confessare, non dispiaccia al mio sesso, che le donne mostrarono maggior coraggio degli uomini. Pallide e bianche, la notte le aveva sorprese nel letto (ora non avevan per abiti che le coperte), e per incredulo che fossi allora, pure mi parvero angeli scesi dal cielo per farci vergogna e darci animo.

Ci furono però anche degli uomini che mostraron coraggio. Rammento un signor D., già nostro ambasciatore di Copenaghen: s’era tolto le scarpe, la cravatta, il soprabito di cui s’era legate le maniche sul petto, e seduto sur una gomena tesa, co’ piedi ciondoloni, fumava tranquillamente un bel sigaro, e ci guardava a vicenda in aria di pietà furbesca. A mia volta, m’ero rifugiato su una delle scalette esterne e m’ero seduto a un scalino estremo. Guardavo stupito la schiuma rossa che ribolliva lì, sotto i miei piedi, e talora mandava qualche falda fin sulla faccia; e dicevo fra me: Ecco dunque dove bisogna finire, e a diciott’anni! giacchè ero deciso annegare piuttosto che arrostire. Le fiamme mi volteggiavano sul capo, e io ne distinguevo gli urli dagli urli delle onde.

Lontano da me, sulla stessa scala era seduta una vecchietta, qualche cuoca probabilmente, d’una delle famiglie imbarcate per l’Europa. Con la testa ficcata fra le mani, pareva brontolar preghiere. A un tratto mi gettò un rapido sguardo, e, sia che mi leggesse sul viso un funesto proponimento, sia per altra ragione, mi afferrò il braccio e con voce quasi supplichevole, mi disse con insistenza: «No, signorino, nessuno ha diritto di disporre della propria vita, nè lei, nè alcun altro. Bisogna rassegnarsi alla sorte che la Provvidenza ci assegna: se no, sarebbe castigato nell’altro mondo».

Io non avevo avuto nessuna idea di suicidarmi: ma per una sorte di spavalderia inesplicabile in quello stato, finsi due o tre volte di eseguir quel proposito, e ogni volta la povera vecchia mi si gettava su per impedirmi