Il buon cuore - Anno XI, n. 26 - 29 giugno 1912/Religione

Religione

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Beneficenza Educazione ed Istruzione

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Vangelo della domenica quinta dopo Pentecoste


Testo del Vangelo.

Avvenne che nell’andare il Signore Gesù a Gerusalemme, passava per mezzo alla Samaria e alla Galilea. E stando per entrare in un certo villaggio, gli andarono incontro dieci uomini lebbrosi, i quali si [p. 202 modifica]fermarono in lontananza, e alzarono la voce dicendo: Maestro Gesù, abbi pietà di noi. E miratili disse: andate, mostratevi ai Sacerdoti. E mentre andavano restarono sani. E uno di essi accortosi di essere restato mondo, tornò indietro, glorificando Dio ad alta voce, e si prostrò a terra ai suoi piedi, rendendogli grazie: ed era costui un Samaritano. E Gesù disse: Non sono eglino dieci quelli che sono stati mondati? E i nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse, e gloria rendesse a Dio, se non questo straniero. E a lui disse: alzati, vattene; la tua fede li ha salvato.

S. LUCA, cap. 17.


Pensieri.

Della malattia orribile, dolorosa, spesso incurabile della lebbra già se ne è sentito parlare le molte volte. Risparmiamo di essa una descrizione che urterebbe i nostri nervi. Basti sapere che rappresenta assai bene — troppo anzi — nel corpo il disastro che produce nell’animo, nello spirito, nell’azione morale l’immoralità, il peccato, la vera e terribile lebbra dello spirito. Nel Levitico — per immunizzare i sani dal pestifero contatto del lebbroso — centro infettivo — era ordinato che questi s’allontanassero dai centri abitati, vivessero in capanne in campagna, e dopo la guarigione dovevano — innanzi rientrare nella società — ottenere dal sacerdote una revisione, un’admittitur: il sacerdote li aveva allontanati, il sacerdote li riammetteva allorchè constatava la loro sanità riacquistata. La cosa accadeva rarissimo, giacche il lebbroso, sempre inquieto e sofferente giunge alla disperazione, finchè di solito la tisi e l’idropisia non lo toglie all’orrore d’una vita simile.

Vivendo lontano, si fa meraviglia il trovarne dieci insieme alla porta della città. Forse avevano udito che Cristo doveva passare: Cristo aveva già guarito dei casi consimili: la speranza del medesimo bene li ha radunati fuor delle porte ad aspettarne il passaggio: non avevano badato alle differenze sociali e religiose: giudei e samaritani tutti han bisogno di Cristo: s’uniscono ad alzare la lor voce — sforzo terribile, doloroso per un lebbroso — per invocare Gesù come Maestro — non unicamente dator di vero — ma tale da avere nelle sue mani il potere della vita e della morte.

Gesù li ascolta: non li guarisce direttamente: ossequiente al dispositivo di legge, li invia ai sacerdoti, e mentre andavano furono mondati.

Osserviamo la cura seguita per la guarigione da tale schifoso morbo: primatnente vivono separati... lontani, lontani da quei luoghi dove trovarono l’infezione, in aria pura, sotto l’azione della luce, del calore solare dove non c’è putridume, dove s’evitano contatti, usi ed abitudini cattive.

Secondariamente s’adunano incontro a Cristo, che viene, che sanno che può guarire.... credono in lui, ubbidiscono, non polemizzano sul come manifesta il suo volere. Ubbidendo guariranno. Credono e sono mondati. Vanno dai sacerdoti.... sono esseri loro pari, hanno le loro debolezze, non han saputo guarirli, eppur ci vanno....

Peccatori noi ci lamentiamo tutto dì inquieti sempre, di nostre debolezze, infermità ma difficilmente sappiamo toglierci all’ambiente viziato, all’occasione prossima, al ritrovo geniale, al divertimento pericoloso. Non vogliamo l’infezione: ci dà fastidio, ma assieme non vogliamo la legge dura: projce, abscinde, erue: getta lontano..., taglia..., cava....

Ci lamentiamo delle nostre debolezze, piangiamo sulle vanità dei rimedii adottati.... raduniamoci intorno a Cristo, mostriamogli le piaghe cancrenose, purulenti, alziamo la voce del pentimento, della sincerità, verso il Maestro, allora avremo la vita!...

Cristo ci comanda d’andare dal sacerdote. Non opponiamoci.... poniamoci in cammino, su questa via saremo mondati. Sacerdoti ho detto: coloro che rivestono la dignità di ministri di Dio: verso di loro senza preferenze, senza preconcetti, senza pregiudizi, senza differenze umane, basse, turpi voglie che non avvicinano a Dio, ma da Dio allontanano.... Sì, vedendo la dignità dell’incaricato divino, non l’essere che più o meno risponda alle morbosità umane.

Dei dieci mondati uno solo ritorna glorificando Dio ad alta voce: lui solo si prostra per ringraziarlo: e questo era samaritano.

Parole non ci occorrono. Troppo evidente il non recondito significato.

Quante volte l’amor (non l’escludo nei nove altri che non ritornarono, come non escludo una pari fede) — quante volte l’amor della riconoscenza si ha maggiore nei samaritani — avversari, indifferenti in religione — che negli educati ad una miglior scuola cristiana. Quante volte!... ma se non questo, quando mai nei benefici ricevuti — come il pio samaritano — ci siamo sentiti in obbligo di glorificare Dio, di.... prostrarci confessando che solo da lui e per lui siamo i fortunati?!

Non è vero che — con solenne ingiustizia — siamo tanto facili ad attribuirgli la ragione dei mali nostri, mentre ad altri, ad altro, alle più lontane probabilità concediamo la ragione del nostro bene?!

Chi mai ricorda Dio nella fortuna?

B. R.

Cenni sopra l’ospedale

dei malati di sonno

a LULUABURG (Congo belga).

«A 15 minuti dalla Missione», scrive il P. Cambier, Prefetto Apostolico del Kassai sup., «fu scelto un vasto altipiano saluberrimo per erigere quest’ospedale. Esso doveva esser principiato fin da quando io ritornai a Luluaburg, ma... noi viviamo nel paese delle sorprese, e... non c’erano mattoni, esauriti precedentemente per l’erezione della chiesa. Ci fu quindi necessario aspettare la stagione secca per fabbricarne un po’, ma frattanto si è sospeso il compimento della chiesa, per apparecchiare l’occorrente al lazzaretto, o piuttosto ospedale, cui si imporrà il nome di «Lovanio alma Mater», [p. 203 modifica]e che conterrà 66 casette, a doppia serie, divise da un corridoio. In tal modo si è provveduto alla libera circolazione dell’aria, ed inoltre, formando le costruzioni un gran cerchio, si è posta nel centro la cappella, il laboratorio, la sala dell’infermeria ecc. Già esistono 26 casette ed ogni settimana se ne aggiunge qualcuna.

Una pompa aspirante spinge l’acqua del ruscello Kiboshe-Kikalai fino all’ospedale, ad un’altezza di 50 metri e ad una distanza di 1200. Disgraziatamente le lastre di acciaio del serbatoio sono rimaste per la strada, noli so dove, e nel frattempo, una piroga che ci è causa di molte noie, perchè troppo piccola, ci serve di serbatoio.

Non avendo zinco sufficiente per coprire i tetti, ci limitiamo a coprirne uno su cinque. Gli altri per ora sono coperti di paglia e saranno ultimati più tardi, quando, cioè, lavorerà la nostra segheria e piallatrice, mossa da una dinamo che attiverà una turbina, mercè una caduta d’acqua del Kikalai, di 13 m. di altezza.

Questo, per quanto riguarda il materiale. Ma, mi direte: i malati? Profitteranno dell’aiuto prestato loro? Se veniste quaggiù, ne vedreste 518 già installati nelle casette. Costoro ricevono le cure del caso e pel corpo e per l’anima.

Il dott. Monard lavora da mane a sera e deve esser lieto dei risultati ottenuti e di quelli che otterrà, a stabilimento completo. Da un mese lo coadiuva il P. Collewaert, tornato teste da Leopold ville, ove seguiva corsi pratici di cura della malattia del sonno, dopo aver passato l’anno scorso i suoi esami di medicina tropicale con risultati splendidi. Due Suore di Carità di Gand, munite anch’esse di diploma, passano la giornata curando e consolando vittime sì degne di pietà; un Missionario vi esercita il ministero, dando insegnamenti religiosi, consigli e consolazioni.

Tutta questa gente occorre nutrirla, ed è inutile dire, che passati i pochi giorni di cura con l’atoxil, il loro appetito non ha bisogno di stimolanti. Per le provvisioni, dobbiamo tenere con noi un buon personale, ma non ho risorse tali, che mi permettano provvedermi di tutto l’indispensabile.

Cari benefattori, ecco dunque a che punto trovasi la nostra Opera, la quale a tanti esseri ha procurato la guarigione, ad altri ha evitato l’orrore di morire abbandonati nella steppa. Molti ancora guariranno in seguito, ma in ogni caso, quelli che soccomberanno, voleranno al Cielo, rigenerati nel S. Battesimo. Potete adunque toccare con mano, in qual modo meraviglioso la Provvidenza faccia fruttificare le limosine da voi prodigate per uno scopo sì umanitario e sì santo».

(Corrispondenza Africana).

PENSIERI


Il donare è sempre un dono anche per il donatore!

In noi restano sempre traccie indelebili di quello che facciamo!

F. W. Förster.

La minima vittoria sopra noi stessi ci rende più forti, e la minima concessione ci fa invece più deboli!

F. W. Förster.