Il buon cuore - Anno XI, n. 17 - 27 aprile 1912/Religione

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Vangelo della domenica terza dopo Pasqua


Testo del Vangelo.

Disse Gesù ai suoi discepoli: Un pochettino e non mi vedrete: e di nuovo un pochettino e mi vedrete, perché io vo al Padre. Dissero però tra loro alcuni de' suoi discepoli: Che è quello che egli ci dice: — Non andrà molto e non mi vedrete, e di poi, non andrò molto e mi vedrete, e me e vo al Padre? Dicevano adunque: Che è questo ch'egli dice: Un pochettino? non intendiamo quel ch'egli dica. Conobbe pertanto Gesù che bramavano di interrogarlo, e disse loro: Voi andate investigando tra di voi il perché io abbia detto: non andrà molto e non mi vedrete, e di poi: non andrà molto e mi vedrete. In verità, in verità vi dico, che piangerete e gemerete voi, il mondo poi godrà; voi sarete in tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gaudio. La donna, allorché diventa madre, è in tristezza, perché è giunto il suo tempo: quando poi ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'affanno a motivo dell'allegrezza, perché è nato al mondo un uomo. E voi adunque siete pur adesso in tristezza; ma vi vedrò di bel nuovo, e gioirà il vostro cuore e nessuno vi torrà il vostro gaudio.

S. GIOVANNI, cap. i6


Pensieri.

In queste parole di Gesù — dette a modo oscuro — due sono le interpretazioni da tenersi: la prima l'interpretazione secondo il senso letterale, profetica l'altra maniera.

Ad ottenere il senso letterale — osservato a chi, in quali di circostanze furono detti tali parole — facile si scopre come Gesù volesse, parlando ai suoi apostoli, prepararli al grande episodio finale di sua vita: la passione. Ove Egli l'avesse loro manifestato in tutta l'enormità delle sofferenze e delle torture ch'avrebbe sopportato, essi — deboli e troppo umani ancora — avrebbero avuto scandalo e sconforto: avrebbero creduto bene la prima profezia riguardante i dolori e le umiliazioni del Cristo: avrebbero dubitato e fors'anco negata la posteriore risurrezione e gloria: avrebbero capito il proprio dolore ed avvilimento, la gioia de'nemici, non avrebbero creduto mai alla gloria che sarebbe sopravvenuta al disinganno ed alla sconfitta del mondo. Usa però Gesù le parole di colore oscuro, che — a fatto compiuto — brillano invece d'una vivissima e candida luce. Annunciava loro la vicina sua morte, a cui avrebbe fatto — dopo tre giorni — seguito glorioso la sua resurrezione.

Nel senso ed interpretazione profetica Gesù non parlava solo agli apostoli, ma a tutta l'immensa turba dei suoi futuri seguaci, in quel momento dagli apostoli rappresentata: questi non debbono più credere che Gesù morto es asceso al cielo ci lasci soli e indifesi ,perpetuamente privi di lui. No, ci si mostra in quelle parole tutto il suo spirito buono e preoccupato di noi come allorché disse: Vado al Padre mio: non vi lascerà orfani: vado e ritorno da voi, con voi fino al termine dei secoli.

Partito di qui nelle sue vesti mortali, Gesù sarenbbe tornato a noi in una vita più pura eppur realissima, in una vita arcana e verissima, nella vita sacramentale, eucaristica, in una vita migliore poiché noi di Lui vivendo, lui desiderando e seguendo, l'avremmo in un vivo, vero reale contatto colla nostra mente, col nostro cuore, col nostro spirito, colla nostra vita in una sola parola. Liberi da minori considerazioni, il nostro spirito avrebbe vissuto e palpitato solo di Gesù e per Gesù così da strappare a S. paolo le grandi parole: per me vivere è Cristo! Più di questo non può sognarsi unione di vita maggiore, quando sopprimo la mia vita per vivere la vita in Cristo.

E tale è la grazie della vita cristiana, il bisogno di lui, che l'assenza di Gesù — del suo spirito, delle sue verità, della sua virtù — è tristezza indicibile a noi, è gaudio pei tristi, pei cattivi.

La storia delle nazioni ce lo prova. Regioni e popoli d'ieri, civili finché brillò su loro la luce di Cristo, sono ripiombati nell'abbruttimento, nella ferocia, nella più profonda barbarie allorché s'impallidì e s'oscurò l'astro radioso della fede. La terra d'Origene, di Tertulliano, di S. Cipriano, di S. Agostino, la terra che [p. 135 modifica]vide i genii più poderosi della civiltà religiosa ieri compiva sui nostri prodi le infamie e gli orrori indicibili di Sciara Sciat e di Henni, orrori che fecero fremere la vecchia ed egoistica Europa...

Ma inutile sperare nei popoli, se Cristo non diviene la vita dei singoli credenti. Inutile la fede e la speranza nel destino delle grandi nazioni civili, se questa fede non vive e non giganteggia nei singoli organismi vitali che la nazione compongono: poiché Cristo viene cacciato dalle nostre società, dalle nostre istituzioni semplicemente perché dalle anime individuali già è stato ostracizzato e bandito! Inutile che una legge, una volontà lo richiami ufficialmente in mezzo a noi, in mezzo a degli individui che non conoscono il Cristo e che poi si tengono estranei ed indifferenti.

E' adunque scomparso Gesù?

Si è scomparso quando nel nostro cuore discese una vita leziosa, la superbia, le infedeltà, quando rifiutaste il cielo non per le margarite della terra, ma per le ghiande del mondo.

Da quel giorno più non avete avuto pace.

Voi potete dire, dopo che Dio se ne è andato, d'aver avuto un giorno solo di pace e di felicità? Non è forse vero che la scomparsa di Gesù, fu per il nostro cuore la scomparsa della luce, del gaudio, della soavità, della forza, della stessa onestà!

Non è vero che dopo il peccato — con cui cacciaste Gesù — la vostra anima è dispersa nel buio, nella putredine e peggio? Scomparso il nobile, l'elevato, il divino non vi regna forse solo il terreno, l'egoistico, la passione, l'animalesco? Il Cielo è muto: vi ritorna e vi ripiomba nel cuore la voce del rimorso insieme al rumor falso e terrificante della passione. Questa, sì che gioisce della scomparsa di Cristo!...

Scavate sotto quest'esteriore felicità, osservate dietro l'alcova del vizio, nell'angolo della sala che ancora ritrona dell'ultime voci della danza e vi troverete il tarlo dell'infelicità che rode le viscere del miserabile e lo conduce a lenza ta indeprecabile demolizione.

Voi che vivete di Gesù sarete consolati!

B.R.

Il Dott. ERMENEGILDO ROCCHINI

Era un ideale di bontà, uno studioso profondo, un benefattore dell'umanità sofferente, un figlio, un marito, un padre esemplare. Nell'esercizio della sua delicata professione, portava tutto il sentimento della sua anima gentile, tutto il suo altruismo, ed era perciò stimato, amato da ricchi e poveri, da colleghi e da amici, che lo ammiravano come individualità particolare.

Il rev. nostro amico Pietro Gorla così ha parlato di Lui nell'Unione:

«Ieri mattina, all'una e un quarto, moriva il dott. Ermenegildo Rocchini, erede della scienza e della fede cristiana del grande suo maestro ed amico, il sen. Porro. Da qualche anno si temeva che la sua preziosa esistenza si spegnesse innanzi tempo. La noncuranza della propria salute nell'adempimento della sua delicatissima professione, che egli tenne sempre quale un'alta missione ai fianchi del dolore, e la carità che gli faceva cercare e nascondere le fatiche e le veglie presso umili madri e poveri bimbi, gli avevano logorato la vita. Cercò ritorni di energia al mare; e il mare glie ne diede. ma col rinascere delle energie fisiche egli diventò più prodigo di sé. Ricadde e non si alzò più. Lo hanno circondato le cure angeliche di una sposa, di parenti, di medici e amici che ne avevano un culto amoroso. Gli ridevano intorno tre bambini, che ora lo guardano incantati, con le tre rose e la palma che la mamma gli ha messo vicino al cuore con un crocefisso, sul quale ella ha lasciato l'anima sua e con lei i dolenti piangono e pregano.

«Come in tutta la malattia, il dott. Rocchini si tenne compagna la fede, così ne volle i conforti negli ultimi giorni di vita. Chiese l'Eucarestia; e quando la vide entrare nella sua camera, uscì in una professione di fede, che commosse i presenti. Porse le mani alla estrema unzione nella calma che gli veniva dal sapersi col pensiero e con le opere nella religione cattolica, che, sola, ha balsami per tutte le piaghe e ala di protezione per tutte le case provate dalla sciagura. Volle che gli si recitassero le preghiere imparate da bambino: il Pater, l'Avemaria e il Gloria, e le lasciò suo ricordo religioso ai bambini.

«Mi diceva in un tramonto, lungo il nostro naviglio, presso l'ospedale: «Ho provato anch'io non credere e non pregare — ero giovane — e i misteri della vita non erano approfonditi. Oggi.... (lo chiamò dal balcone il suo primo bambino: — Papà). — Ecco, mi disse, segnando la sua casa, oggi non si può essere spensierati e on si può non credere». Eravamo là entrambi, col capo levato: languiva sulle muraglie dell'ospedale e sulle glicine della sua casetta, l'ultimo sole. Nessuno di noi, dei nostri amici, pensava allora ad un diverso, ma non lontano tramonto. Oggi il raggio dell'ospedale e il sole della casetta è tramontano: ma ha lasciato dietro a sé, tale una luce diffusa e danno un tale profumo, quelle glicine vive, scaldate da lui, che il sole pare appena velato.

«Ieri la vedova, mi veniva incontro in uno scoppio di pianto e, dopo lo sfogo, con tutta la sua forte anima pia, ginghiozzando mi disse: «Oh! è morto il mio Gildo, il mio Gildo!». Ebbi appena il fiato per rispondere: «Ma Cristo ha detto: «Chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno».

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