Il buon cuore - Anno X, n. 45 - 4 novembre 1911/Beneficenza

Beneficenza

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Il buon cuore - Anno X, n. 45 - 4 novembre 1911 Educazione ed Istruzione

[p. 353 modifica]Beneficenza



LA FIERA

per l’Asilo Infantile dei Ciechi e le famiglie dei Caduti in Africa

Si avvicina il tempo della Fiera biennale a favore dell’Asilo Infantile dei Ciechi di Milano. Essa verrà tenuta nei giorni 2, 3, 4, 5, del futuro mese di dicembre, nel Salone dell’Istituto dei Ciechi, dalle ore 10 alle 18.

Le Signore Capi-gruppo colle aderenti, già da tempo, o direttamente col lavoro proprio, o per commissioni date, stanno allestendo il copioso corredo di indumenti per bambini e per poveri, così necessari ed utili, nell’ingresso della stagione invernale. Il lavoro dei mesi precedenti si è intensificato nell’ultimo periodo della stagione autunnale, così propizia, col riposo delle vacanze, a preparare i piccoli corredi per la beneficenza.

Non è a dubitarsi che anche quest’anno i banchi della Fiera non abbiano, come negli altri anni, a mostrarsi ricolmi di ogni ben di Dio: calze, cuffie, camicie, cuffiette, giubboncini, grembiuli, corpetti, ciarpe, fodere, lenzuoli. Alcune delle Signore Capi-gruppo, o per condizioni di salute, o per mutato alloggio, non hanno potuto conservare il loro posto. Altre subentrarono; e nel mentre noi volgiamo alle prime un vivo ringraziamento per l’opera preziosa da loro prestata in bene dell’Asilo nel passato, opera più preziosa perchè prestata nei momenti più difficili della sua fondazione, rivolgiamo ben di cuore un saluto alle nuove venute, certi che la novità dell’impegno assunto si convertirà presso di loro in un contributo di fresche e fervide energie, in modo che la fiera di quest’anno, ne’ suoi risultati, abbia ad essere degna delle splendide tradizioni degli anni precedenti.

L’importante, per ogni Capi-gruppo, è di formare un grande numero di aderenti. Più il numero delle aderenti cresce, il lavoro, più largamente distribuito, diventa meno pesante e più proficuo.

A questo punto forse può tornare opportuno il prevenire e rispondere a una domanda che potrebbe essere fatta: l’Asilo Infantile dei Ciechi non è ora abbastanza provveduto? Ha la sua casa di abitazione, non più di affitto, ma di sua proprietà; ha potuto radunare un patrimonio; è stato unito all’Istituto, che potrà fornire direttamente mezzi a coprire le deficenze....

Tutte cose verissime e confortanti, ma quante altre restano a osservarsi, che sfrondano molte di queste rose! L’Istituto è ben provveduto, ma grosse spese lo gravano: il bilancio dell’anno scorso a stento raggiunse il pareggio: non che dare all’Asilo, l’Istituto basta appena agli impegni propri.

Il patrimonio dell’Asilo supera di poco le lire cento mila: gli interessi di questo capitale, che non si vuol intaccare, sono il solo reddito diretto e sicuro dell’esercizio dell’Asilo; cinque o sei mila lire al più. I bambini raccolti sono ora ventiquattro. Il costo di ogni bambino, considerate le spese di vitto, vestito, alloggio, personale di assistenza e di limitata istruzione, è di circa L. 500. Sono quindi L. 12,000. Cosa sono L. 6000 e anche meno, date dal patrimonio proprio dell’Asilo contro L. 12.000 di passivo? Meno della meta del bisogno.

Quanto è necessario quindi, se si vuole che l’opera si conservi e progredisca, usare ogni sforzo perchè il patrimonio si consolidi con nuovi introiti.

Far salpare una nave dal lido, e non rifornirla a tempo debito di carbone, è un condannarla alla fame e al naufragio.

Ma intanto quanti altri bisogni urgenti ne premono di ogni parte! L’Italia, per la guerra di Tripoli, si trova nella necessità di provvedimenti straordinari: pur augurando e ritenendo sicuro il trionfo finale, quanti sacrifici lungo la via! Già a quest’ora quante [p. 354 modifica]famiglie povere sono in gravi strettezze pei figli richiamati o pei figli perduti o feriti! Un Comitato in cui vibra tutta l’anima nazionale si è costituito per i bisogni più urgenti e tutte le classi e le istituzioni si affrettano a portare il contributo del loro obolo, che sarà sempre piccolo anche quando fosse grande.

L’Asilo Infantile, cogli introiti della Fiera, non potrebbe partecipare a questo movimento di soccorso nazionale? Appena l’idea balenò, fu accolta col trasporto dell’entusiasmo: la Presidenza dell’Istituto, la Presidenza del Comitato delle Signore, le Capi-gruppo del Comitato, interpellate in proposito, risposero applaudendo.

Invece di devolvere tutto l’introito a beneficio dell’Asilo, un terzo verrà versato al Comitato Nazionale.

Più l’introito sarà grande, più grande sarà la porzione di contributo pel Comitato. Questa nota di patriotismo che alleggerà sulla Fiera, darà ad essa un carattere di speciale attualità, di interesse e quasi di eroismo: il pensiero che l’introito della Fiera andrà in parte a favore delle famiglie dei feriti e dei morti, renderà più copiose le offerte, più numerose le vendite. I bambini ciechi, il cui animo gentile non è punto estraneo alle vibrazioni dell’amor patrio, saranno ben lieti di cedere parte dell’introito della Fiera a favore delle famiglie dei fratelli feriti o caduti in Africa.

Una loro rappresentanza potrà, accompagnata, recarsi a versare l’obolo raccolto al Comitato. Sarà spettacolo commovente vedere i beneficati diventare alla loro volta benefattori; una sventura soccorrere un’altra sventura.

La solidarietà nazionale avrà un’altra volta uno dei suoi trionfi più belli.

L. V.

Per la salvezza dei nostri emigranti


Dell'ITALICA GENS


(Continuazione, vedi n. 44).

Ma io dico che se questo è avvenuto fra popoli di tempra più forte, più agguerriti nelle lotte per la fede, più educati ancora nella scienza cristiana, che ne avverrebbe in tali circostanze del nostro, il quale generalmente parlando è meno istruito, non esperto nelle lotte per conservar la sua fede, non avvezzo ai sacrifici personali che dimandano il mantenimento del culto e l’istruzione del popolo? Certo in ben poco tempo gli verrebbe cancellato dall’anima ogni senso di cristianità, d’amor patrio e di religione.

E tale e tanto si è l’abbrutimento di certe classi operaie, che passa ogni dire; e bene spesso mi è avvenuto di leggere sulle pubbliche stampe ciò che sto per dirvi, cioè «potersi impunemente discendere in quelle gallerie, o pozzi di carbone dove trovansi al lavoro protestanti, ebrei, o cattolici di altre nazioni, ma essere assai difficile il penetrare in quei recessi dove operai italiani stanno al lavoro, senza incorrere nel pericolo e nell’inconvenienza di sentire parole villane, lazzi osceni, bestemmie orrende; come se fosse gente spoE glia di ogni decoro, nonchè di ogni fede in Dio». E ciò è naturale che avvenga a tutti ma specialmente agli Italiani, ai quali se voi togliete la Chiesa, insieme colla Chiesa loro strappate dal petto ogni fede al loro Dio ed ogni amore alla loro patria di origine.

Nè, qualora si parli di questa classe di gente, è difficile provare l’assunto. Perocchè qual legame di affetto può mai vincolare il cuore e la niente di questi esuli dalla patria loro? Con quale argomento mantener vivo nel loro petto il sacro fuoco dell’amor patrio? Non certamente le rumorose parate, che in certi luoghi si fanno non le soldatesche divise che si indossano da coloro che le avranno fuggite o avrebbero dovute fuggirle, sono per noi certa caparra o sicura dimostrazione dell’amore patrio, il quale trova la sua sede soltanto in un cuore nobile e in una mente educata; e certa gente, a giudicare dalle loro azioni, sono prive dell’uno e dell’altra.

Persone di una certa tal quale erudizione, che concscono la storia delle glorie nostre, i fasti dei nostri eroi, dei nostri genii, potranno contenere in se stessi quella scintilla che è necessaria a mantenere vivo nel cuore il fuoco del patrio amore e lucida nella mente l’ammirazione per la patria grandezza. Ma queste cose non vi aspettate che s’abbiano a trovare nella scarsa istruzione della maggioranza dei nostri emigrati: ed allora com’è che riscalderete il loro cuore o cercherete di tenere viva quella fiamma, che pur un giorno ardeva, dell’amore pel patrio suolo? Cercherete voi di richiamare alla memoria loro la grandezza delle patrie istituzioni, il decoro del patrio Governo? Parliamoci chiaro; non ci illudiamo: andate adagio con gente siffatta a rinnovar loro la memoria del patrio suolo con simili argomenti. Essi hanno e conservano viva la memoria delle ristrettezze in cui hanno vissuto, delle miserie che soffrirono e delle tasse, che dovevano pagare al patrio Governo. In questo ambiente riscaldate voi, se potete, quei cuori cogli argomenti addotti sopra.

Pur tuttavia vi sono altri argomenti più alla portata della mente loro; vi è una via, che non è ancora interamente sbarrata e per cui si giunge fino al loro cuore; v’è una corda che non è ancor strappata e colla quale si può sollevare un inno amoroso verso quella terra che li vide nascere. Parlate loro di quella tal chiesetta su in cima alla montagna, testimone delle loro gioie d’un tempo: richiamate alla mente le festicciuole allegre alle quali prendevano parte nel prato della Chiesa: dite di quel cimitero dalle mura dirupate, dove all’ombra della croce riposano gli avanzi delle persone a loro care: nè dimenticate anche il vecchio pievano, che tante cure prese di essi nei loro anni giovanili, che li ricolmò di carezze che diede loro savi consigli misti con lagrime, allorquando buoni e semplici lasciarono il natio villaggio per portarsi in terre straniere in cerca di un pane, addivenuto troppo scarso nel loro paese. Allora voi vedrete come il volto di parecchi cominci ad arrossire e forse le pupille di altri sono già [p. 355 modifica]inumidite. La memoria dolce della loro chiesuola, delle gioie godute in un tempo, sono le sole che richiamino, che risveglino gli affetti del loro cuore verso una terra, che pur occupa tanta parte dell’animo loro.

Cosicchè chiunque abbia seriamente studiato lo stato dei nostri Italiani all’estero si formerà di leggeri l’opinione che per assicurare il benessere materiale e morale dei nostri emigranti è necessario essi sieno assistiti e godano delle loro antiche e buone istituzioni civili e religiose, le sole che sono atte a formare la mente ed il cuore e che solo possono avvantaggiare il loro progresso.

Questa verità apparve così lampante nel Congresso Internazionale dell’Emigrazione, che si tenne in S. Luigi, nello Stato del Missuri, durante la famosa Esposizione fatta in commemorazione dell’acquisto della Luisiana ottenuto da Napoleone I, che molti oratori e rappresentanti di stati europei e nelle loro qualità ufficiali non ebbero timore di asserire pubblicamente che per assicurare l’esito ed il felice successo di una colonia era necessaria la presenza del sacerdote. «Finalmente una delle condizioni che possono guarentire il buon successo colla colonia si è l’avere un buon sacerdote per guida della medesima, disse il Commendatore Branchi, allora Console generale per l’Italia e Commissario alla medesima Esposizione. Può sembrar strano a qualcuno che io da questo luogo e nella mia qualità ufficiale inculchi questa condizione come necessaria al buon esito dell’impresa: ma io parlo non spinto da altro motivo che dalla brama di vedere che le colonie siano un successo, e l’esperienza m’ha dimostrato che non lo sarà senza che i nostri coloni abbiano l’assistenza di un buon sacerdote». Ed il nostro ambasciatore italiano, che tanto interesse si prese per il benessere dei coloni italiani e per vedere se si fossero potute stabilire colonie dei medesimi, intraprese espressamente un viaggio d’ispezione in specie negli Stati meridionali della Confederazione americana, Egli, il barone Mayor des Planches, dopo aver bene ispezionato e studiata la questione sul terreno, uscì in queste parole: «Io non credo di potere coscienziosamente raccomandare al patrio Governo quelle colonie, dove non vedo la Scuola e la Chiesa».

Ammesso dunque che il bene materiale e morale dei nostri emigranti in generale richieda che essi siano avviati alla campagna, dirò che è di qua, cioè, dall’Italia che bisogna avviarveli. Non aspettare o pretendere che essi, giunti nel nuovo continente, vogliano o possano indirizzarsi al campo di per se stessi. Se veramente s’intende di cooperare alla loro salute, bisogna incominciare il lavoro prima che essi lascino il loro tetto; di qua istruirli esattamente del luogo dove dovranno recarsi e delle occupazioni alle quali convien loro dedicarsi.

Il loro destino deve essere determinato qui, in patria. Se avviene che essi partano prima di avere esattamente stabilita l’occupazione a cui devono dedicarsi il luogo dove debbono andare, è folle il pensare che poi si decidano e lo facciano da sè una volta arrivati sul nuovo continente. Giacché appena colà sbarcati cadranno nelle unghie di arpie, che sotto il mellifluo nome di paesani, conoscenti, o agenti di lavoro, con false promesse li sedurranno; ed una volta che quei meschini abbiano incominciato ad assuefarsi agli artificiosi e seducenti piaceri della città, sarà ben difficile il poterli persuadere che facciano ritorno all’aratro. Essi, generalmente parlando, sono completamente rovinati, e se anche verranno portati a qualche lavoro campestre, vengono vincolati puramente per personale vantaggio del paesano, il quale per molto tempo li sfrutterà.

Perocchè bisogna ben ricordarsi che l’essere invitati a portarsi in quelle contrade da amici o da congiunti non è sicura garanzia per l’emigrante. Purtroppo sono frequenti i casi nei quali i nuovi arrivati rimangono sacrificati dalla sordida sete di guadagno dei cosidetti paesani amici o congiunti, i quali anche le tante volte mandano materiale soccorso agli invitati per le necessarie spese del viaggio per farli cadere più facilmente nell’agguato loro teso. Quante volte ho dovuto essere spettatore allo sbarco di questa povera gente, anelante di migliorare la loro fortuna al primo mettere il piede in terra se possibile: eppure quanto era facile il prevedere che una gran parte di essi era di già caduta nelle mani dei cosidetti amici che li avevano invitati che ora sorridevano perchè vedevano riuscita la trama da loro ordita contro i loro cari. Se adunque gli emigranti siano ben istruiti del dove devono portarsi sopratutto se ben fortificati a riguardarsi dalle arpie che piomberanno loro addosso al primo sbarcare che faranno nel nuovo contenente, si può sperare di aver dato principio alla futura prosperità materiale e morale dell’emigrato.

E l’opera riuscirà tanto più facile inquantochè di là dall’Oceano si è già stabilita da qualche tempo una Società detta Catholic Colonization Society U. S. A. (1), che verrà in nostro soccorso. Questa Società è composta di uomini di ben conosciuta probità ed integrità, che hanno una consumata esperienza nella scienza e nel lavoro di colonizzazione, e si prefigge di concentrare gli emigranti, che arrivano agli Stati Uniti, in certi territori adatti sotto ogni rispetto alla colonizzazione; dove, divisi in nazionalità, potranno essere meglio provvisti di Scuola e Chiesa e conservare insieme colla religione le patrie tradizioni, realizzando così il gran concetto del compianto Monsignor Scalabrini. Questo in parte era già stato fatto dalle Società belghe, olandesi e tedesche con ottimo risultato, come lo si può vedere nelle loro fiorenti colonie. Noi Italiani, con tutto l’aiuto, l’impeto e lo sforzo che ci aveva dato [p. 356 modifica]l’Apostolo degli Emigranti, non eravamo stati ancora capaci di realizzare il piano del grande prelato e, a parte e ad eccezione fatta di alcuni casi isolati, la colonizzazione italiana negli Stati Uniti si può dire appena conosciuta.

Egli è vero che per il passato è stata ostacolata da serie difficoltà, che sembravano insormontabili; ma quelle ora grazie anche a questa nuova istituzione scompariranno. L’Associazione composta di persone appartenenti al laicato ed al clero ed infiammate del più vivo interesse pel benessere degli immigrati in tutti gli Stati dell’Unione, ha piena cognizione delle terre che possono adattarsi allo scopo suddetto ed è sempre pronta a somministrare a chiunque si rivolga a lei, le informazioni più precise ch’essa possiede, e a dare il benefizio dell’esperienza dei suoi membri ed il loro coscienzioso parere.

Ad attirare la confidenza dei nuovi arrivati è bene che si sappia, che questa Società non ha e non può avere alcun interesse o derivare alcun guadagno dalle vendite o compere delle terre che vengono destinate agli emigranti; nè si assume in modo alcuno la vendita o la compera delle medesime. Perchè scopo della medesima Società è solamente di aiutare gli emigrati nella scelta di terre idonee per lo scopo per cui le vuole, di proteggerli nell’adempimento delle condizioni del contratto e di vedere che quanto prima sieno provvisti di Scuola e Chiesa. Quando, come giornalmente avviene, le terre sono messe in vendita a scopo di colonizzazione, la Società manda esperte persone ad esaminare il terreno, il clima, i termini del contratto e se il tutto insieme è soddisfacente e dà garanzia che possa formarvisi con successo una colonia di almeno un centinaio di famiglie, allora la società rende ciò di pubblica ragione, adducendone i motivi, e quando la colonia abbia cominciato ad esistere, è cura della Società di ottenere dalle rispettive autorità locali ciò che è necessario perchè venga somministrato ai coloni la debita istruzione civile e religiosa.

Se le Società di Patronato in Italia, se le rispettive Autorità troveranno conveniente di darsi una mano, di lavorare d’intesa con questa Società di cui io parlo, sembra che un miglior avvenire per gli emigrati è assicurato e che il tempo della loro redenzione è venuto; dacchè ben presto sarà conseguito il fine, di formare cioè di questi emigrati buoni e contenti possessori della terra, conservando tutte ed intatte le virtù patrie e religiose che seco avranno portato.

(Continua).

PENSIERI


La stima che uno gode, gli è fonte di molti piaceri e di vantaggi reali: quando tu calunni un altro, sei un ladro, che gli rubi quiete e guadagno.

Avanti e in alto! ci grida la natura; avanti e in alto! ci grida la scienza; avanti e in alto! ci gridano i nostri padri, che hanno sudato prima di noi per portarci dove siamo; avanti e in alto! gridiamo anche noi ai nostri figliuoli, che ripeteranno il santo grido ai loro lontani nipoti, finché uomo calpesti zolla del nostro pianeta.


  1. L’esistenza della Società Cattolica di Colonizzazione negli Stati Uniti d’America si deve tutta allo zelo infaticabile del Rev.mo P. Devos, che insieme ad alcuni sacerdoti suoi amici la stabilì un anno fa in Chicago. Quest’anno la medesima Società fu solennemente approvata dagli Arcivescovi riuniti in Washington e nei primi di maggio fu convocato espressamente un Congresso, dove moltissimi furono i prelati che intervennero, la Società fu riorganizzata sotto la presidenza dell’Arcivescovo Glennon, che ne rimane il Direttore Generale, e dalla sua nota attività è facile presagire il rapido progresso della medesima.