Il buon cuore - Anno IX, n. 49 - 3 dicembre 1910/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Religione Società Amici del bene

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DUE CAPPUCCINI

diversamente accolti in Inghilterra


Il primo dei due monaci di cui prendiamo a discorrere, è il cosidetto Cappuccino Scozzese, la cui storia sarebbe la seguente:

Nelle vicinanze di Aberdeen in Scozia abitavano Giacomo Leslie e Giovanna Selvia sua moglie, persone di alta posizione sociale e facoltose quanto buone. In capo al primo anno di matrimonio ebbero un figlio, Giorgio, che allevarono nel calvinismo; il padre moriva indi a poco, tuttavia dopo espressa la volontà che il figlio venisse educato a Parigi. La madre passò a seconde nozze, e il fanciulletto all’età di otto anni veniva mandato a Parigi con un seguito di servi conveniente alla sua condizione.

A dispetto delle istruzioni severissime fatte al tutore che Giorgio fosse tenuto lontano da qualunque influenza cattolica, quello, non si sa come, venne a fare conoscenza di due giovinetti francesi i quali parlarono di materie religiose e, aiutati e incoraggiati dal padre, alla fine lo indussero a farsi cattolico egli pure. Il tutore ne ragguagliò la madre, che montò su tutte le furie; la donna ricorse a minacce e lusinghe ma invano; e allora abbandonando il figlio alle sue fisime, gli ritirava nell’istesso tempo ogni sussidio di danaro e dichiarava di non riconoscerlo più per figlio. Allora il padre dei due giovinetti francesi lo prese in famiglia e così i tre ragazzi rimasero a far vita insieme, finchè Giorgio raggiunto i sedici anni, partirono tutti alla volta di Roma.

Colà Giorgio Leslie venne a contatto col celebre P. de Joyeuse, cappuccino, il quale prima di farsi frate aveva avuto una bella parte nelle guerre della Lega quale Duca di Joyeuse. L’incontro suo col giovane scozzese neo-convertito, accese in quest’ultimo una brama ardente di divenire cappuccino lui pure; e come il padre generale di Cappuccini esitava a riceverlo, dietro impulso di P. Angelo, andò coraggiosamente dal Papa, ottenendo di poter entrare nell’Ordine senz’altro. Il generale dei Cappuccini, dopo autorizzato il postulante ad entrare nel noviziato di Camerino, e avergli assegnato il nome di Fratello Arcangelo, si gettò ai suoi piedi per chiedergli perdono d’aver ostacolato la sua accettazione.

Debitamente compiuto il noviziato e gli studii, Fratello Arcangelo divenne sacerdote ed acquistò gran fama per la sua eloquenza. Intanto, dopo vent’anni dacchè aveva fanciulletto lasciata la casa paterna per recarsi a Parigi, sua madre là in Scozia interrogava questi e quei viaggiatori nella speranza di raccogliere qualche notizia del suo primogenito; e un giorno un forestiero fu in grado di informarla che suo figlio erasi fatto frate nella Marca di Ancona. Quando, in risposta alle sue domande, potè rendersi conto che sorta di

cambiamento di stato indicasse — farsi frate — la misera madre ebbe un momento di inenarrabile angoscia. Dopo un soliloquio fatto di parole di delirio, la signora si indirizzò al maggiore dei figli del secondo matrimonio e lo supplicò di mettersi d’attorno per ritrovare il fratello, consegnandogli una lettera in cui scongiurava Giorgio ad ascoltare tutto quanto il latore gli avrebbe detto.

Il giovane può giungere felicemente ad Ancona, scoprire che il cappuccino P. Arcangelo trovasi ad Urbino, recarsi anche là e finalmente ritrovare il fratello, col quale ha un incontro dei più patetici. All’aprire la lettera il frate non tradisce nessuna emozione per quanto respiri più liberamente nel rilevare che sua madre viva sempre, per la rinata speranza che siasi ancora in tempo a mettersi nella via sicura di salvezza. I nobili di Urbino e in capo a loro il Duca Francesco della Rovere fanno a gara ad usar cortesie al nobile signore scozzese ospite della loro città. Dopo molte dimostrazioni, il giovane protestante non torna già in patria, ma si converte egli pure ed entra nella Chiesa cattolica. Si fa una gran festa, e prima che il giovane fratello si disponga al ritorno il Duca gli fa presente di un magnifico crocifisso scintillante di pietre preziose con catenella a smalti.

Di comune intesa il giovane convertito non doveva lasciar trapelare nulla della sua abiura al momento di riferire che P. Arcangelo restava ostinato nel suo proposito. La madre ne fu costernata. E quando fa per cercare sulla persona del reduce qualche segno o cosa appartenente all’altro figlio ormai perduto per sempre, non scopre che un crocifisso ed una catenella che tradiscono ogni cosa.

Dopo alcun tempo e inaspettatamente P. Arcangelo è chiamato a Parigi ad occupare il posto di predicatore alla corte di Maria de’ Medici, allora Reggente durante la minorità di Luigi XIII. Lo zelante cappuccino obbedisce e nel nuovo ufficio si conquista il favore generale col suo tatto e colla sua eloquenza. Tuttavia, non molto dopo, quando Gregorio XV salì al Pontificato, fu chiamato a prendersi la sopraintendenza delle Missioni estere dei paesi in cui ancora dominava l’eresia e il paganesimo. E una nuova Missione veniva progettata per la Scozia appunto, dove P. Arcangelo, come dei più indicati operai avrebbe dovuto recarsi.

La Corte di Francia a malincuore lascia partire il frate e si compensa della privazione incaricandolo dei negoziati per un matrimonio tra le due Corti di Spagna e d’Inghilterra. Negoziati che al frate imposero cambiamento di abiti e il guadagno di bei regali, tra cui un magnifico cavallo normanno. A Londra fa chiamare il fratello e lo mette a parte della sua andata in Scozia in qualità di Missionario, allo scopo di facilitargli il lavoro e perchè lo dividesse con lui. E come ebbe ultimate le suddette trattative con soddisfazione della corte francese, varcò il confine scozzese portandosi fino a poche miglia da Aberdeen. Ivi induce il fratello a scrivere una lettera firmata da lui stesso, e datata da Fermo, in cui domanda a sua madre di dare ospitalità e fede al latore che dovrebbe essere il più intimo amico [p. 390 modifica] del suo figlio maggiore. E con questa lettera in mano il frate si avvia alle porte di Monymusk, castello o palazzo in cui ogni oggetto molto bene ricordato gli richiama le care memorie della sua puerizia.

Introdotto come amico e messaggero di P. Arcangelo e sempre bellamente vestito da brillante cavaliere, presentò alla castellana la lettera di cui era latore; e dopo poche parole di rimpianto e di biasimo per l’ingratitudine di Giorgio, si ebbe dalla padrona il benvenuto. Un sontuoso banchetto fu subito approntato in onore del creduto amico del figlio primogenito, e a tavola sedeva pure, benchè agli ultimi posti, un ministro protestante salariato dalla casa in trecento scudi l’anno.

Nel soggiorno di qualche settimana il finto cavaliere amico di Giorgio riuscì a rendersi caro a tutti, guadagnandosi in particolare l’affetto del fratello minore, al quale regalava il dono avuto a Londra, il suo stesso cavallo. La madre sentivasi stranamente attirata a lui quando essa, non veduta, ode per caso una domanda che Padre Arcangelo indirizzò ad un servo circa la colombaia che era stata tolta dal suo antico posto, intuisce in parte l’identità del forestiero. E pressato da domande più esplicite, il frate rivela finalmente il suo essere, e il figlio si getta tra le braccia della madre che cade svenuta. Intanto la nuova degli avvenimenti del castello giunge all’orecchio dei signori che abitano nei dintorni, ed essi si affrettano a far visita e congratulazioni. La sera lumi e fuochi d’artificio vengono accesi lungo le merlature del castello e gli abitanti scaricano le loro colubrine sul piazzale e lanciano in aria dei razzi invitando le stelle del cielo a prendere parte alla loro gioia. Il fratello convertito ebbe il perdono materno e fu riammesso al castello e tutti erano raggianti di letizia, eccetto il livido ceffo del ministro protestante che assalito come da una furia d’abisso, si struggeva di dolore e di rabbia. L’attitudine della madre verso i Cattolici si trovò alquanto modificata; ma inasprito invece l’animo del calvinista che, da questo momento, impegna il più fiero duello di controversie col Padre Arcangelo in materie religiose. Era appunto quello che il Missionario desiderava. Il ministro protestante toccò la peggio; e la madre presente alle discussioni, finalmente potè vedere la verità della fede cattolica, e fatta la sua abiura, trasformò il castello in Casa di Missione. E il Missionario se ne prevaleva, facendo del castello il suo quartier generale, il centro dei suoi lavori apostolici che gli fruttarono la conversione di più che tremila persone dei dintorni.

Dopo che P. Arcangelo si trovò impegnato per un paio d’anni nelle sue fatiche apostoliche con gran frutto delle anime, ecco uscire un editto reale con cui si dava il bando a tutto il clero cattolico. Il cappuccino si ritirò per alcun tempo in Inghilterra dove era meno conosciuto. Un giorno ebbe la ventura di incontrarsi con un vescovo anglicano che cavalcava in mezzo ad un gran seguito, tra cui eravi per caso il ministro protestante veduto in casa di sua madre. Il riconoscimento fu mutuo, e un distaccamento di venticinque uomini di cavalleria fu subito spedito ad arrestare il frate; ma questo fu in tempo a fuggire, benchè colla perdita di tutto il suo bagaglio contenente tra altro dei manoscritti preziosi ed un calice.

Alquanto dopo viene richiamato a Roma a purgarsi avanti la Propaganda di talune accuse mossegli contro, come, una eccessiva libertà di maniere, e d’aver approfittato indebitamente della residenza sua in famiglia. Mettendo piede sul suolo francese, abbandona le vesti e la spada del cavaliere e riprende il saio cappuccinesco. In Italia, trova che infierisce la peste, e mentre è dedito al servizio degli ammalati, riceve dal suo superiore la notificazione che è al tutto scaricato delle accuse. È nominato Guardiano di S. Giorgio nella diocesi di Fermo ove trova l’arcivescovo che divenne poi il suo biografo, cioè Monsignor Gio. Battista Rinuccini. Questi preso al racconto di tanti casi, si accinse a consegnarli alla stampa con un libro voluminoso dal titolo: Il Cappuccino Scozzese. Tal libro venne ripetutamente ripubblicato con aggiunte e varianti anche durante la vita del Rinuccini; poi dal libro si cavò un lavoro teatrale anche «Il Cappuccino Scozzese in scena» con la seconda parte e sua morte non mai più stampata da dopo il 1673. Naturalmente, venne tradotta in diverse lingue. L’autore della traduzione francese del 1650 assicurava i suoi lettori: «Le sujet en est d’autant plus merveilleux, qu’ il se soutient toujours de lui-même sur un fondament inébranlable. C’est la verité toute pure.» La più recente apparizione di questa Vita, è in un riassunto dell’American Cattolic Quarterly Review, vol. XXXIII del 1908, col titolo: L’apostolo della Scozia.

(Continua).

Comitato delle Scrittrici in braille


Lunedì, 28 u. s., questo Comitato, passato il periodo delle vacanze, tenne la sua prima seduta, coll’intervento della Presidente Contessa Albertoni, della vice Presidente Contessa Giulini Airoldi, della Segretaria Matelda Cairati, che riferì sui lavori compiuti o ancora in corso di trascrizione, avvertendo che nuove domande di inscriversi nel numero delle trascrittrici erano sopravvenute.

Annunciamo anche che alcune signorine si sono offerte di venire all’Istituto, nelle ore libere, a fare alle allieve la lettura di libri istruttivi e dilettevoli.

INAUGURAZIONE.

Domenica, 4 corrente mese, alle ore 14, nel salone dell’Asilo Infantile, alla presenza del Consiglio dell’Istituto dei ciechi, e del Comitato fondatore, ed ora protettore, dell’Asilo stesso, verrà inaugurata una lapide che ricorda insieme la fondazione dell’Asilo e la sua aggregazione all’Istituto.

Il Consiglio propose e la Giunta Amministrativa approvò che l’Asilo venisse chiamato Asilo infantile Luigi Vitali, dal nome del fondatore. [p. 391 modifica]

ECHI E LETTURE


Cronache dei fiori: Ci sono, sì, anche quest’anno le rose consolatrici! Malgrado i temporali di novembre, le rose autunnali non sono quest’anno mancate al convegno. Dovunque s’apre una vetrina di fioraio elegante, dovunque è una botteguccia di fiori, sono apparse le tenui e profumate rose che imprimono all’autunno uno dei suoi maggiori fascini. Difatti, la primavera con tutte le sue ricchezze, non ha queste meravigliose rose bianche, di un biancore mai visto in nessun’altra cosa bianca; non ha la primavera queste rose bianche dal seno roseo, che contengono un profumo inebriante; non ha la primavera queste rose di un roseo smorto, di pochi petali, quasi sfogliate, la cui tinta non trova paragoni in nessuna rosa rosea. Vi sono persino delle rose rosse che rianimano i biancori e i pallori rosei delle altre rose, tanto è dolce agli amatori dei fiori, questo novembre già triste. È tempo di rose! Contengono queste rose tanta morente dolcezza, tanto languor niveo! Una grazia di persone non più giovani, ma in cui tutte le qualità di beltà e di sentimento si sono fatte più fini, più profonde e più acute.

Queste rose hanno un intimo senso di tristezza, giacchè sono le penultime, ma contengono anche colori più intensi e più toccanti, ma sono tinte di colori più seducenti e più suggestivi. Una rosa di maggio è bella, ma nulla dice, salvo la conferma della ricchezza primaverile. Una rosa di novembre — scrive languidamente il Giorno — ha una espressione che le anime sensibili raccolgono; ha un carattere che i cuori consunti nell’amore e nel dolore, solo possono intendere. Sono rose di consolazione e non di entusiasmo, son fatte per gli occhi stanchi e affranti dal piangere, e non per i trionfali occhi della giovinezza, son fatte per i volti toccati già dalla vita e che si chinano sui fiori, con la malinconia di chi ha troppo presto vissuto e di chi sente che è troppo tardi, per vivere più. Rose di consolazione: mandate da Dio, che ha creato un conforto per i dolori più sottili e più segreti, mandate da Dio alle creature stanche, che domani morranno, coperto il letto di rose, come quelle che odorammo ieri.

Uno dei più assidui frequentatori del Royal Institute of Public Health è lord Rothschild, il grande finanziere israelita di cui si celebra in questi giorni il settantesimo anno. Pochi uomini godono di sì universale stima e pochi possono vantare una carriera sì ricca di trionfali vittorie. I giornali di tutta l’Inghilterra hanno dedicato a lord Rothschild lunghi articoli apologetici ed al sontuoso palazzo che fronteggia la magnifica avenue di Buckingham Palace è un continuo pellegrinaggio di popolo bene augurante. Ricorre quest’anno anche il centenario della fondazione dell’ufficio dei Rothschild a Londra.

Nathaniel Rothschild, che fondò l’ufficio londinese, era il primogenito di quel Meyer Amschel che a Francoforte seppe custodire i tesori del Langravio di Hesse-Cassel, resistendo alle terribili minacce del vittorioso Bonaparte. Meyer ebbe cinque figli che si stabilirono rispettivamente a Londra, a Parigi, a Francoforte, a Vienna e a Napoli, tendendo attraverso l’Europa una colossale rete d’interessi che non ha precedenti nella storia del mondo. Si calcola che lord Rothschild — che Gladstone nel 1885 nominò pari d’Inghilterra, rompendo la tradizione che escludeva gli israeliti dalla Camera ereditaria — abbia emessi — in cinquant’anni di carriera — tanti prestiti per una somma complessiva di oltre 11 miliardi e 250 milioni di franchi, contribuendo, forse più che ogni altro, ad assicurare alla Gran Brettagna il posto che essa occupa fra le Potenze mondiali. Fu lord Rothschild che salvò l’Egitto dalla rovina finanziaria, e la romantica storia di quella sera fatale in cui egli acconsentì ad aiutare lord Beaconsfield nell’acquisto delle azioni del Canale di Suez, è tuttora una delle prove più manifeste della stretta relazione che corre tra la finanza e la ragion di Stato. Cecil Rhodes non avrebbe donato alla patria una nuova vastissima colonia senza il valido appoggio di lord Rothschild e la rovinosa guerra del Transvaal non sarebbe finita col trionfo delle armi inglesi se il finanziere non avesse messe a disposizione del Governo le sue casse forti. Lord Rothschild, a 70 anni, si reca puntualmente ogni mattina nel suo ufficio della City, come l’ultimo dei suoi commessi e lavora senza tregua otto ore al giorno.

Lusso e procacia delle mode femminili


Ella è una cosa che mi fa pietate
Il veder che in vestirsi in modi vari
Non sol le donne comode e ben nate
Spendono malamente i lor denari,
Ma quelle ancor di bassa qualitate
Vogliono andar delle più ricche al pari,
E Dio sa come poi vanno vestiti
I poveri figliuoli ed i mariti.


Dio sa se in casa molte femmine hanno
Con che dare a’ lor figli da mangiare:
Dio sa molte di lor che mestier fanno,
Io nol so, nè lo voglio indovinare,
Ma so che molte donne in tutto l’anno
Non arrivano forse a guadagnare
Col filar, far merletti, o col cucire
Quanto in un mese spendon nel vestire.


Ma quel che in pace poi soffrir non posso...
Si è che talor, con tanta roba indosso,
Molte vanno vestite in certo modo
Che si può quasi annoverar ogni osso,
si vede ogni vena ed ogni nodo,
E potria far, chi fosse del mestiero,
La notomia quasi del corpo intero.

(Dal «Cicerone», c. VII).