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IL BUON CUORE 389


Educazione ed Istruzione


DUE CAPPUCCINI

diversamente accolti in Inghilterra


Il primo dei due monaci di cui prendiamo a discorrere, è il cosidetto Cappuccino Scozzese, la cui storia sarebbe la seguente:

Nelle vicinanze di Aberdeen in Scozia abitavano Giacomo Leslie e Giovanna Selvia sua moglie, persone di alta posizione sociale e facoltose quanto buone. In capo al primo anno di matrimonio ebbero un figlio, Giorgio, che allevarono nel calvinismo; il padre moriva indi a poco, tuttavia dopo espressa la volontà che il figlio venisse educato a Parigi. La madre passò a seconde nozze, e il fanciulletto all’età di otto anni veniva mandato a Parigi con un seguito di servi conveniente alla sua condizione.

A dispetto delle istruzioni severissime fatte al tutore che Giorgio fosse tenuto lontano da qualunque influenza cattolica, quello, non si sa come, venne a fare conoscenza di due giovinetti francesi i quali parlarono di materie religiose e, aiutati e incoraggiati dal padre, alla fine lo indussero a farsi cattolico egli pure. Il tutore ne ragguagliò la madre, che montò su tutte le furie; la donna ricorse a minaccie e lusinghe ma invano; e allora abbandonando il figlio alle sue fisime, gli ritirava nell’istesso tempo ogni sussidio di danaro e dichiarava di non riconoscerlo più per figlio. Allora il padre dei due giovinetti francesi lo prese in famiglia e così i tre ragazzi rimasero a far vita insieme, finchè Giorgio raggiunto i sedici anni, partirono tutti alla volta di Roma.

Colà Giorgio Leslie venne a contatto col celebre P. de Joyeuse, cappuccino, il quale prima di farsi frate aveva avuto una bella parte nelle guerre della Lega quale Duca di Joyeuse. L’incontro suo col giovane scozzese neo-convertito, accese in quest’ultimo una brama ardente di divenire cappuccino lui pure; e come il padre generale di Cappuccini esitava a riceverlo, dietro impulso di P. Angelo, andò coraggiosamente dal Papa, ottenendo di poter entrare nell’Ordine senz’altro. Il generale dei Cappuccini, dopo autorizzato il postulante ad entrare nel noviziato di Camerino, e avergli assegnato il nome di Fratello Arcangelo, si gettò ai suoi piedi per chiedergli perdono d’aver ostacolato la sua accettazione.

Debitamente compiuto il noviziato e gli studii, Fratello Arcangelo divenne sacerdote ed acquistò gran fama per la sua eloquenza. Intanto, dopo vent’anni dacchè aveva fanciulletto lasciata la casa paterna per recarsi a Parigi, sua madre là in Scozia interrogava questi e quei viaggiatori nella speranza di raccogliere qualche notizia del suo primogenito; e un giorno un forestiero fu in grado di informarla che suo figlio erasi fatto frate nella Marca di Ancona. Quando, in risposta alle sue domande, potè rendersi conto che sorta di

cambiamento di stato indicasse — farsi frate — la misera madre ebbe un momento di inenarrabile angoscia. Dopo un soliloquio fatto di parole di delirio, la signora si indirizzò al maggiore dei figli del secondo matrimonio e lo supplicò di mettersi d’attorno per ritrovare il fratello, consegnandogli una lettera in cui scongiurava Giorgio ad ascoltare tutto quanto il latore gli avrebbe detto.

Il giovane può giungere felicemente ad Ancona, scoprire che il cappuccino P. Arcangelo trovasi ad Urbino, recarsi anche là e finalmente ritrovare il fratello, col quale ha un incontro dei più patetici. All’aprire la lettera il frate non tradisce nessuna emozione per quanto respiri più liberamente nel rilevare che sua madre viva sempre, per la rinata speranza che siasi ancora in tempo a mettersi nella via sicura di salvezza. I nobili di Urbino e in capo a loro il Duca Francesco della Rovere fanno a gara ad usar cortesie al nobile signore scozzese ospite della loro città. Dopo molte dimostrazioni, il giovane protestante non torna già in patria, ma si converte egli pure ed entra nella Chiesa cattolica. Si fa una gran festa, e prima che il giovane fratello si disponga al ritorno il Duca gli fa presente di un magnifico crocifisso scintillante di pietre preziose con catenella a smalti.

Di comune intesa il giovane convertito non doveva lasciar trapelare nulla della sua abiura al momento di riferire che P. Arcangelo restava ostinato nel suo proposito. La madre ne fu costernata. E quando fa per cercare sulla persona del reduce qualche segno o cosa appartenente all’altro figlio ormai perduto per sempre, non scopre che un crocifisso ed una catenella che tradiscono ogni cosa.

Dopo alcun tempo e inaspettatamente P. Arcangelo è chiamato a Parigi ad occupare il posto di predicatore alla corte di Maria de’ Medici, allora Reggente durante la minorità di Luigi XIII. Lo zelante cappuccino obbedisce e nel nuovo ufficio si conquista il favore generale col suo tatto e colla sua eloquenza. Tuttavia, non molto dopo, quando Gregorio XV salì al Pontificato, fu chiamato a prendersi la sopraintendenza delle Missioni estere dei paesi in cui ancora dominava l’eresia e il paganesimo. E una nuova Missione veniva progettata per la Scozia appunto, dove P. Arcangelo, come dei più indicati operai avrebbe dovuto recarsi.

La Corte di Francia a malincuore lascia partire il frate e si compensa della privazione incaricandolo dei negoziati per un matrimonio tra le due Corti di Spagna e d’Inghilterra. Negoziati che al frate imposero cambiamento di abiti e il guadagno di bei regali, tra cui un magnifico cavallo normanno. A Londra fa chiamare il fratello e lo mette a parte della sua andata in Scozia in qualità di Missionario, allo scopo di facilitargli il lavoro e perchè lo dividesse con lui. E come ebbe ultimate le suddette trattative con soddisfazione della corte francese, varcò il confine scozzese portandosi fino a poche miglia da Aberdeen. Ivi induce il fratello a scrivere una lettera firmata da lui stesso, e datata da Fermo, in cui domanda a sua madre di dare ospitalità e fede al latore che dovrebbe essere il più intimo amico