Il buon cuore - Anno IX, n. 42 - 15 ottobre 1910/Religione

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Vangelo della domenica terza d'Ottobre


Testo del Vangelo.


Si faceva in Gerusalemme la festa della Sagra; ed era d’inverno e Gesù passeggiava pel Tempio nel portico di Salomone. Se gli affollarono perciò d’intorno i Giudei e gli dicevano: «Fino a quando terrai tu sospesi gli animi nostri? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Rispose loro Gesù: Ve l’ho detto e voi non credete: le opere che io faccio nel nome del Padre mio, queste rendono testimonianza di me. Ma voi non credete, perchè non siete del numero delle mie pecorelle. Le mie pecorelle ascoltano la mia voce, e io le conosco, ed elleno mi tengon dietro. Ed io dò loro la vita eterna, e non periranno in eterno, e nessuno le strapperà a me di mano. Quello che il Padre ha detto a me, sorpassa ogni cosa, e niuno può rapirlo di mano al Padre mio. Io e il Padre, siamo una cosa sola.

S. GIOVANNI, Cap. 10.


Pensieri.


— Se tu sei il Cristo, diccilo chiaro.

Che effetto fa a noi questa domanda dei Giudei? Dice essa davvero uno stato d’animo di sospensione e d’angoscia, quale è quello che ognuno risente, quando un problema dello spirito si pone e s’impone alla coscienza? Son questi interrogatori schiettamente desiosi di sapere qualcosa di preciso intorno al profeta che trascina le moltitudini e le converte?

E non l’hanno mai ascoltata la parola di Cristo? Non ha egli parlato pubblicamente alto e chiaro? E non l’hanno capito? O l’hanno capito, invece, troppo bene, e cercano, con impaziente domanda di ottenere una di quelle risposte fiere e ardenti di Gesù, da riportare in alto come un oltraggio, come un’irriverenza, onde avere di che accusarlo e torselo d’intorno?....

Oh, se noi leggessimo sempre meditandolo il Vangelo, come da esso avremo sempre più grande e più vivida la divina figura di Cristo!

Come vivremmo con lui in tutte le contingenze della nostra vita mortale!

Come ci consoleremmo nelle ore amare, pensando che, prima di noi, egli le soffrì e le visse!

Gesù ha tante volte parlato e sa che riparlare sarebbe vano: non ha nessuna fiducia di ricondurre alla verità quelle menti accecate, quei cuori induriti: sa che non sarebbe compreso e non tenta nemmeno....

Però risponde, risponde ancora Gesù, ed io sento, nella parola sua, un senso quasi di stanchezza accorata.

— Ve l’ho detto e non credete.

Che pena pensare che Gesù ha parlato, che ha parlato per infinito amore del bene e non è stato creduto! Che bisogno di dirgli che noi gli crediamo, che la sua parola è la nostra vita, la nostra porzione, che bisogno di dirglielo, perchè è la verità e poi, anche, per quell’ardore che vorrebbe essere una riparazione.... Che bisogno di dire a Gesù che se tanti non gli hanno creduto e non gli credono, noi gli crediamo tanto e [p. 335 modifica] conserviamo la parola sua — come sacro germe di immortalità, nel cuor nostro.

E continua il Maestro:

— Le opere ch’io fo nel nome del Padre mio, queste attestano per me.

Pare tenti ancora un ultimo sforzo verso quegli indurati, pare dica: se non capiscono nulla s’arrenderanno alle opere, ed espone, per ciò, l’opera sua. — Venite, cercate, frugate la mia esistenza, guardate le opere mie, esse testimoniano per me!

Qual cuore sarebbe rimasto duro davanti all’apostolato fecondo e mirabile di Gesù? Ma i suoi nemici non s’arrendono nemmeno davanti alla sua ineffabile santità! È qualcosa che fa fremere, che fa tremare!

Pensiamo a Gesù ogni volta che il veder disconosciuti i suoi santi ci muove a sdegno e ci fa dolorare! Gli uomini han trattato così anche Gesù! E la grandezza del Maestro s’allargherà, scenderà su’ suoi discepoli, su suoi apostoli.... Vediamoli così nella loro luce sovrana, divinamente grandi e allora anche la pena nostra, il nostro sdegno si trasformeranno quasi in un atteggiamento sacro, compreso, come davanti a ciò che è fatale.

Ma io mi riconforto, leggendo ancora la parola del Vangelo:

— Voi non credete, perchè non siete delle mie pecore, ma le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco e mi seguono ed io do ad esse la vita eterna.

Io esulto! Quanto ha sofferto Gesù per l’incomprensione dei molti! Ma ci sono stati i pochi che l’hanno capito, che l’hanno seguito, che l’hanno amato, che si son dati a Lui! E a questi pochi Gesù ha saputo di far tanto, ineffabile bene, ha sentito di dar loro la vita eterna! Che gaudio dev’essere stato questo per l’animo del Maestro!

Anche sulla croce il conforto più dolce gli deve essere venuto dal pensare a queste pecore sue, vive per lui! È il divino conforto, la esultanza grande degli apostoli questa, di poter posare misticamente lo sguardo sulle anime salvate, rifatte da loro!

E le poche pecore di Gesù hanno operato prodigi nel mondo e su tutta la terra gli han suscitato discepoli...

Gesù ha preso la sua croce i suoi apostoli la prendono a loro volta e lo seguono e dolorando e morendo rigenerano il mondo.... Davanti a questi destini di santità e di martirio non si può stare che tacendo e pregando.



Don EMILIO ALEMAGNA


moriva dopo lunga estenuante malattia la mattina del 9 ottobre 1910.

Il nome di Don Emilio era caro a molti in Milano e tante e tante persone avevano appreso con viva compassione quale morbo crudele stesse minando una così bella esistenza. L’alta e signorile figura del vecchio architetto s’era vista impallidire e distruggersi in questi ultimi mesi; ed invano il conforto dell’aria dei campi, invano i soccorsi dell’arte medica valsero a ripristinare sullo scarno volto l’antica espressione. Quasi lume che, per deficienza di olio si spegne lentamente, così chiuse

la lunga vita il povero Don Emilio nel suo caro Barasso. Ora più non lo vedranno passare i verdi viali del giardino che egli aveva ideato e ornato di piante e fiori, in questi anni ultimi, quando alla mente affaticata cercò il riposo nella casa antica; ed invano oramai l’attenderanno gli amici.

A lunga stagione di meritate glorie aveva contrapposto ora un’esistenza quasi Tornita, ma dal labbro di Don Emilio uscivano ancora profondi giudizi, e nemmeno l’insidia del morbo valse a ottenebrare mai la lucidità della sua mente.

Chi lo conobbe e l’amò non solo per il nobile e gioviale carattere suo, ma anche per la genialissima attività del suo ingegno, saprà ricordare degnamente i suoi meriti e quanti importanti lavori sostenne. Perchè il suo ingegno estrinsecò in mille opere diversissime, ed in chiese e palazzi, in ville e giardini lasciò vasta impronta di sottile sapienza architettonica, la quale non isfuggirà certo a chi ha l’animo educato al bello ed ama il lustro e il decoro della patria. Così è che il ricordo dell’architetto Alemagna rimarrà indissolubilmente congiunto a molte opere onde s’abbella Milano. E largo sarà il compianto a quest’uomo, come grande è stata la stima che, ai suoi giorni, raccolse.

Ma è troppo doloroso, a chi rimane, salutare per l’ultima volta quelle figure di forti e di saggi, che ai fasti più belli del nostro Risorgimento avevano commessi i più gloriosi momenti della vita loro. Quanti sono oggidì quelli che nacquero col nascere delle patrie speranze? Troppi ne sono morti; e sono morti quando forse dai sogni giovanili era ben diverso il presente. Rimarrà è vero nella memoria dei buoni viva l’immagine di questi cari; ma quanto è mai triste e straziante il rintocco di un’agonia!

E questa risonò per Don Emilio una mattina di domenica, quasi a compimento di un suo pio desiderio. A traverso le chiuse persiane brillò per Don Emilio l’ultimo sole, un sole d’autunno che apparve quasi improvviso dopo imperversare di piogge. Rese bella e allegra ancora una volta per il povero infermo la villa antica, dove aveva trascorso gli anni primi della giovinezza allo spirare del vento di libertà; e che, nel lungo corso della sua vita, eragli pur sempre stato caro e gradito soggiorno.

Non volle discorsi e nemmeno fiori, facili ad appassire; ma i fiori più belli che sono l’affetto e la memoria, questi rinverdiranno sempre sopra la nuova tomba nell’agreste cimitero; e le preghiere dei buoni saranno la lode migliore ed il più caro tributo.

E queste, o caro Don Emilio, spontanee sempre saranno sul labbro dei tuoi amici, e sopra la verde zolla fiorita, all’ombra dei cipressi, pregheremo, con l’affetto di chi ti ha amato, all’anima tua tranquillo riposo.






Ricordatevi di comperare il 20.mo fascicolo dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI che uscì in questa settimana.