Il buon cuore - Anno IX, n. 31 - 30 luglio 1910/Religione

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Vangelo della domenica undecima dopo Pentecoste


Testo del Vangelo.


In quel tempo disse il Signore Gesù questa parabola per taluni i quali confidavano in se stessi, riputandosi giusti e disprezzavano gli altri: due uomini salirono al tempio a fare orazione: uno Fariseo e l’altro Pubblicano. Il Fariseo stava in piedi e dentro di sè pregava così: Ti ringrazio, o Dio, che, io non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri, ed anche come questo Pubblicano: digiuno due volte alla settimana; pago la decima di tutto quel che io posseggo. Ma il Pubblicano, stando da lungi, non voleva neppur alzar gli occhi al cielo; ma si batteva il petto dicendo: Dio abbi pietà di me peccatore. Vi dico, che questi se ne tornò giustificato a casa sua, a differenza dell’altro: imperocchè chiunque si esalta, sarà umiliato; e chi si umilia sarà esaltato.

S. LUCA, Cap. 12.


Pensieri.


Leggiamo attentamente il breve racconto del Vangelo che dobbiamo meditare e fermiamoci su alcune parole del quattordicesimo versetto: questo (il pubblicano) se ne tornò giustificato a casa sua, a differenza dell’altro (il Fariseo). Indaghiamo il perchè della diversità di questo risultato finale d’un egual atto di culto.

Le preghiere dei due esprimono già le due profondamente diverse disposizioni interiori.

Il Fariseo ricorda, e se ne compiace, le sue virtù, i suoi meriti, perchè egli fa ancora di più di quello che la legge comanda.... ed è pieno di sodisfazione, d’una sodisfazione che lo gonfia, lo inorgoglisce, gli impedisce di scendere in sè, di vedere il vero suo stato interiore, e di chiedere a Dio l’aiuto efficace, necessario.... Sull’orlo dell’abisso non vede, non intuisce il pericolo e passa vicino a chi può soccorrerlo senza invocare quella pietà divina che, sola, può condurlo alla meta.

L’altro, il pubblicano, ha guardato in sè, ha visto la sua miseria infinita, la sua fiacchezza, la sua insufficienza per l’attuazione del bene e, davanti al Signore, implora pietà.

L’uno fu riprovato; il secondo salvato!

Quanti, fra i cristiani, rinnovano l’errore del povero Fariseo, perchè si giudicano molto superficialmente, deducono il grado della loro virtù da una più o meno rigorosa e fedele osservanza di pratiche esteriori e non scendono mai nel profondo della loro coscienza, non tentano, davanti a Dio, d’intravvedere, almeno, che cosa è il substrato misterioso che giace in noi!

Ed è cosi necessario, urgente, che noi ci si accinga, di tanto in tanto, a questa indagine interiore! Urgente guardare dentro di noi, e vedere fino a che punto arriva la nostra debolezza, la nostra insufficienza, la nostra possibilità di far male.... guardar tutto ciò fino a

sgomentarci, fino a doverci ritrarre spaventati.... E’ uno spavento salutare che ci butta poi più umili, più fidenti fra le braccia di Dio, che ci suggerisce quel grido angoscioso d’invocazione, quello schietto atteggiamento implorante pietà che chiama a noi la grazia salvatrice di Dio.

Ma queste cose più che dirle, più che udirle bisogna sentirle in sè, dopo averle sentite nei santi!

E c’è un altra cosa da osservare. Il pericolo dell’esser contenti di sè! Il Fariseo è soddisfatto appieno della sua condotta e non chiede nulla.... e nulla riceve. Picchiate e vi sarà aperto, è detto nel Vangelo.

Il pubblicano non sa che sia compiacenza di sè, non sa che umiliarsi, implorare e la grazia risponde e lo salva.

Nella via del nostro perfezionamento morale non ci dobbiamo arrestar mai a guardarci indietro, a congratularci con noi stessi dal punto al quale siamo arrivati, non creder mai, soprattutto, di non aver altro da fare... Il giorno in cui pensassimo questo sarebbe quello della nostra rovina! Non c’è sosta sulla via del bene! In essa non è concesso riposo alcuno! Non dobbiamo esser contenti mai, sentire che c’è altro da fare, da raggiungere, da migliorare in noi, intorno a noi... sentir sempre il bisogno che abbiamo d’aiuto, di sostegno, di guida divina.... Sentendoci bisognosi sempre, sempre imploreremo e sempre verrà a noi il Signore a salvarci, a portarci avanti....

Ancora, il cristiano sente che quel che importa è l’intenzione più che l’atto esteriore in ogni nostra azione: Ecco la necessità che noi si vigili sui moti più reconditi dell’anima nostra, che ci si renda consapevoli del valore nullo di ogni atto esterno, cui non corrisponda l’atteggiamento del cuore.... E l’atteggiamento nostro vero, sappiamo noi stessi qual e?... Noi non lo sappiamo... e ciò ci porterebbe a disperare, se non sentissimo che Dio ci è buono, che ci soccorre, che ci muta... e noi possiamo, noi dobbiamo abbandonarci a Lui... Nella umiltà e nella fiducia è la speranza della salute per noi...

Modello nostro sia dunque non il superbo Fariseo, il giusto secondo la legge, ma il povero, disprezzato pubblicano. Sarem indecisi nel nostro giudizio, nella nostra scelta, dopo che Gesù nel Vangelo, ci ha così chiaramente dette le sue preferenze divine?!...

PAGLIUZZE D’ORO


Come l’incenso s’innalza tenue, candido, odoroso e diffondesi nell’aria omaggio visibile dell’uomo al Creatore: cosi la preghiera, dolce profumo dell’anima sale pura, soavissima al cielo invisibile omaggio del pensiero.

Ma come la polvere dell’incenso per elevarsi vaporosa e purificata ha bisogno del fuoco del turribulo, che la trasformi e l’inalzi, cosi la preghiera, per giungere gradita ed efficace a Dio, ha bisogno del fuoco d’amore e di carità che la nobiliti e l’infiammi.