Il buon cuore - Anno IX, n. 09 - 26 febbraio 1910/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno IX, n. 09 - 26 febbraio 1910 Beneficenza

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ONORATE L’ARCO DELLA PACE

Nei passati giorni, sui giornali cittadini, si è risollevata la questione del Parco.

Per quale occasione?

Pel bisogno di estirpare la teppa, che compie troppo spesso le sue gesta, nei viali lunghi e tortuosi del Parco, non sufficentemente sorvegliati, e poco frequentati dal pubblico, appunto perchè poco sorvegliati.

E il rimedio?

Il rimedio venne suggerito dall’ing. Brioschi. Egli propose la costruzione di villini sul lato sinistro del Parco, verso la stazione del Nord, e precisamente sull’area ora occupata da un lungo viale, incassato fra alte pareti, luogo ombreggiato e romantico, specialmente preferito dalle balie coi bambini, perchè meno esposto alle sorprese delle carozze, degli automobili, delle biciclette.

I villini, colle persone che verrebbero ad abitarli, creerebbero quel movimento di va e vieni, che torrebbe l’isolamento, e quindi il pericolo delle sorprese, delle facili aggressioni, o dei turpi convegni. Potrebbe essere attivato sulla fronte dei villini un viale colla corsa dei trams, che unirebbe piazza Castello coi quartieri fuori di porta Sempione, con risparmio di cinquecento metri di spazio, tra quei popolosi quartieri e il centro della città.

Questo progetto rappresenterebbe poi un ottimo affare pel Comune. La vendita dell’area sulla quale sorgerebbero i villini, col preventivo di L. 150 al metro, frutterebbe al Comune tre o quattro milioni.

Alla proposta dell’ing. Brioschi sorse aperto contradditore il sig. Luigi Bertarelli. Il suo argomento principale è questo. Si deplora tanto in Milano la mancanza di verde, si classifica Milano in tale rapporto come una delle più sgraziate fra le grandi città, e si vorrà portarle via, o almeno scemarle, anche quel poco di verde che ha? Poi, una cerchia di villini, sul lato Sud del Parco, chiuderebbe da quella parte la visuale dell’orizzonte; sarebbe una specie di muro.

Interpellato a dire il proprio parere, entrò terzo nell’arringo l’architetto Broggi. A lui non parve interamente da rifiutarsi la proposta dell’ing. Brioschi. Il vantaggio del Comune per la vendita delle aree è incontestabile. Non è detto poi che costruendosi dei villini, si debba costruire una linea continuata di fabbricati, da formare quasi un muro. I villini si costruirebbero a intervalli, con opportuni intermezzi di verde. Sarebbe rimossa quindi da quella parte la ostruzione temuta dal signor Luigi Bertarelli.

Apparve quarto il più interessato e il più competente a intervenire, l’ideatore e il costruttore del Parco, l’illustre architetto Emilio Alemagna. Egli che prima di eseguirlo ha studiato a lungo il suo progetto, e fu mosso da ragioni ben vedute e calcolate sullo scopo da raggiungere, cioè quello di creare un ambiente comodo per il pubblico, è apertamente contrario alla proposta dell’ingegnere Brioschi. Il viale sprofondato verso il lato Sud fu appunto costruito per creare un ambiente notevolmente ombreggiato nelle calde ore dopo il mezzogiorno, intento non possibile a raggiungersi in altro modo nella restante area del Parco. Poi, l’area del Parco, per quanto grande, è relativamente troppo piccola al bisogno, specialmente se si richiamino le aree immensamente più vaste dei Parchi che si ammirano nelle grandi città. Impiccolire ciò che è già piccolo, sarebbe un distruggere ciò che si è voluto creare.

Dunque niente vendita di area da parte del Municipio, niente costruzione di villini.

In mezzo al dibattito è lecito anche a noi dire il nostro parere?

Dopo il voto degli ingegneri, il voto del popolo, del quale mi considero una particella; dopo il voto della [p. 66 modifica]scienza, il voto che, se non è troppo, vorrei chiamare il voto del buon senso.

E tanto più mi sento spinto a parlare, per avere già altre volte discusso in proposito, con una serie di articoli su diversi giornali cittadini, che, se non esauditi, furono presi in qualche considerazione.

Il nostro giudizio valga o non valga, è apertamente contrario alla proposta di villini. O saranno pochi, o saranno molti: se saranno pochi, il vantaggio del Comune per la vendita delle aree, non può essere che assai limitato, e, per un vantaggio limitato, davvero non val la pena di compromettere il principio fondamentale di conservare nel Parco la maggior massa possibile di verde. Se saranno molti, creeranno quella specie di barriera, giustamente temuta dal sig. Luigi Bertarelli. Sarebbe un vero attentato alla natura del Parco, non solo materiale ma eziandio morale.

Il Parco è fatto pel pubblico, e il pubblico deve sentire che è fatto per lui. Una delle soddisfazioni del pubblico, come pubblico, in una località preparata per lui, è quella di dire: quì, sono padrone io; quì, sono in casa mia. Una serie di villini che viene ad insinuarsi nella sua proprietà, diminuisce la sua proprietà; la diminuisce non solo nel senso materiale, ma più nel senso morale; porta via non soltanto parte del corpo, porta via l’anima. Quanto più grande sarà la compiacenza dei possessori dei villini, dominando col loro sguardo il luogo pubblico, tanto più il pubblico sentirà di avere altrettanto di rubato nella compiacenza propria. In linguaggio povero: in casa propria, il pubblico si sarà creata una soggezione.

Ma intanto, se non fate i villini, la teppa non è tolta....

Pur troppo non è tolta, ed è gran male che non sia tolta.

Ma non c’è altro modo di togliere la teppa senza costruire i villini, senza togliere le piante, senza portar via al Parco la parte che è più propriamente Parco?

Cosa strana! Io ho letto tutti gli articoli che si sono scritti nei passati giorni sul Parco, sul toglierne gli inconvenienti, sul crescerne i vantaggi, abbreviando le lontananze tra i quartieri esterni del Sempione e il centro della città. Guai che una volta sola trovassi accennato l’Arco della Pace!

E sì che l’Arco della Pace non deve essere molto lontano dal Parco!...

Castigo ben meritato dei milanesi. Hanno così trascurato l’Arco della Pace che non si accorgono neppure di averlo.

E quanto è bello, quanto gentile, quanto elegante l’Arco della Pace! È uno dei monumenti architettonici più belli dell’età moderna.

Se l’avessero le altre grandi città come saprebbero bene metterlo in mostra! Napoleone, che sapeva quel che si facesse, gli pose dinnanzi, come sola adatta cornice, una vasta piazza d’Armi....

Un monumento vale per se: ma vale anche per la considerazione in cui è tenuto dagli altri.

Impariamo dai francesi come si onorino i propri monumenti. Andate a Parigi a vedere qual bella prospettiva, per farlo ben figurare, abbiano dato al loro Arco de l’Etoile, tanto meno bello dell’Arco della Pace! Gli han messo dinnanzi il grande e lungo viale dei campi Elisi, che parte della piazza della Concordia e delle Tuileries, e va sino all’Arco; un chilometro, circa.

Io non ho mai potuto capire come chi ha veduto a Parigi l’Arco de l’Etoile col suo grande viale dinnanzi, non senta l’imperioso bisogno di far lo stesso col nostro Arco della Pace. Nulla di meglio e di diverso può essere fatto.

Pochi anni sono il progetto del vialone in mezzo al Parco era stato studiato e deliberato dall’Ufficio tecnico municipale. Ma allora forse si era andati troppo innanzi. Invece di accontentarsi del solo vialone centrale, si era fatto un altro viale a crociera col primo, che andava dal Palazzo dell’Arena al ponte della via XX settembre. La spesa si era duplicata, e la spesa, L. 120.000, spaventò, e non si fece nulla.

Non potendo fare il tutto, accontentiamoci della metà, che è forse anche il meglio, non distruggendo coi due grandi viali a croce, il carattere che il Parco ha di giardino inglese. Basta il grande viale centrale per raggiungere i vantaggi principali più desiderati.

Questi vantaggi li abbiamo già esposti altre volte; torniamo ad enumerarli.

1. Il grande viale che dal Castello Sforzesco va diritto all’Arco della Pace, diventa il più bel punto di prospettiva dell’Arco stesso: lo si vede da lontano, e poi, andandogli incontro, lo si avvicina a poco, a poco; finchè vi si arriva sotto, e lo si può ammirare in tutti i suoi dettagli.

2. L’Arco della Pace è stato in modo turpe compromesso colla erezione delle case nella parte posteriore, in modo che il monumento osservato lateralmente presenta lo sconcio di vedere insieme confusi i camini delle case colla testa dei cavalli. L’Arco veduto di fronte, ha invece per sfondo il Corso Sempione, e le case laterali, o non offendono, o offendono ben poco.

3. Il vialone diritto dall’Arco della Pace alla facciata centrale del Castello, abbrevia notevolmente la distanza dei quartieri esterni col centro della città. I pedoni di giorno possono attraversare le corti del Castello, come a Parigi attraversano la corte del Louvre: le carozze girino pure eternamente sui due lati del Castello: anche lungo, per esse è sempre tragitto breve.

4. Questo vialone, largo quaranta metri, con due marciapiedi di dieci metri ciascuno, con una fila di lampade lungo la cornice dei due marciapiedi, come in via Dante, formerebbe due fila di lampade dal Castello all’Arco, che, vedute alla sera, col riflesso di luce sul verde circostante del Parco, colla mole bianca dell’Arco in fondo, produrebbero un effetto magico, incantevole.

5. Per costruire il vialone non è necessario abbattere alcuna pianta: la visuale tra il Castello e l’Arco della Pace è già pienamente libera; l’occhio corre senza impedimenti: bisognerebbe che quanto avviene dell’occhio potesse avvenir anche del piede, mutando in viale ciò che ora in parte è prato. Anzi che togliere piante, potrà forse tornare opportuno l’aumentarle, per portare un po’ d’ombra sui marciapiedi.

[p. 67 modifica] 6. Questo vialone richiamerebbe nella bella stagione carozze e automobili, come un tempo le carozze sui bastioni di porta Venezia; e coi due marciapiedi laterali, riboccanti di spettatori, formerebbe uno spettacolo imponente e attraentissimo che il pubblico darebbe a sè medesimo.

7. Il bello avrebbe indirettamente ma infallibilinente raggiunto anche l’utile, cioè l’estirpamento della teppa, punto di partenza della infelice proposta dei villini. Come potrà annidarsi ancor la teppa nel Parco, quando il Parco è nella sua parte centrale invasa dal pubblico, che può deviare ad ogni istante, da tutti i lati, rendendo vive anche le parti più riposte e segrete?

Tutti questi vantaggi si riuniscono per noi a formare un tale vantaggio, che dovrebbe creare un plebiscito di universale approvazione.

Non saremo seguiti? Pazienza.

Che fare?

Quello che i milanesi rifiutano di godere in realtà, lo godremo da soli, con quelli che la pensano con noi, in immaginazione; ripetendo col poeta il verso:

«Dolce pensando un suo pensier romito».



AL CANADÀ

Una bella adunanza, per soggetto assai interessante, ebbe luogo nella sala delle Società scientifiche del noto palazzo di via San Paolo.

Si trattava di un convegno combinato dal Consiglio Nazionale delle Donne Italiane per udire la parola della distinta signora Giulia Bernocco Fava Parvis, la quale aveva gentilmente accettato l’incarico di manifestare le impressioni da lei provate al Canadà quale delegata al Congresso delle Donne.

Un pubblico distinto — in gran parte femminile — aderì all’invito diramato dalla gentile presidente signorina Lisa Noerbel, la quale presentò con bellissime parole la signora Parvis.

Una voce armoniosa, una pronuncia chiarissima, una forma piana ed elegante contribuirono a rendere assai piacevole la narrazione della distinta signora, la quale, infatti, con una spontaneità simpatica, ha parlato circa un’ora in forma narrativa, evitando il tono cattedratico della conferenza.

Commovente riuscì la descrizione delle accoglienze avute da lei, come delegata italiana, al Canadà, e interessante l’accenno rapido alle feste, all’intreccio armonico di tutte le delegate, simboleggiato anche dalle bandiere, tra le quali spiccava una, striscia di seta bianca colla scritta in oro sintetizzante il programma del Congresso: Fate agli altri ciò che vorreste fatto a voi stessi.

L’oratrice, senza il sussidio di note, passò da un argomento all’altro in maniera deliziosa, accennando anche ai lavori compiuti dille delegate e da lei, che potè approfittare di opportune occasioni per far sentire la riconoscenza degli italiani a tutte le rappresentanze per ciò che tutto il mondo civile fece, con grande slancio di solidarietà, all’uopo di lenire le conseguenze del disastro calabro-siculo.

Sull’argomento della beneficenza nel Canadà, dell’igiene, dell’assistenza, della spedalità e del ricovero ad infelici, la signora Parvis citò ad esempio un immenso e austero fabbricato, nel quale l’angelo della carità dispiega le sue ali, incominciando dai fanciulli abbandonati o bisognosi di cure per finire ai vecchi poveri.

La gentile dicitrice, accennando alle donne congressiste, seppe difenderle con frasi spiritose dagli attacchi maschili e ricordando gli emigrati italiani da lei veduti, ebbe note commoventi ed efficacissime.

In fine si fecero bellissime proiezioni, specialmente per mostrare il Niagara in tutte le sue manifestazioni in estate e in inverno e in tutti i punti più impressionanti.

Le spiegazioni della signora Parvis completarono il trattenimento, e il pubblico non mancò di manifestare alla valente dicitrice la sua viva soddisfazione.

A. M. C.


ANDREA HOFER

Ricorreva, domenica, 20 corr., il centenario della fucilazione di Andrea Hofer, l’organizzatore dell’insurrezione del Tirolo contro i bavaresi e della lotta dei tirolesi contro l’esercito di Napoleone, giustiziato a Mantova per ordine di Eugenio Bonaparte, vice re d’Italia.

Noi ricordiamo volentieri questo fatto, perchè torna di aperta confutazione a coloro che vorrebbero porre dissidio tra il sentimento patrio e il sentimento religioso; che anzi vanno innanzi e affermano che il sentimento religioso, inclinato per natura alla pace e alla rassegnazione, mal si accorda collo slancio e col valore patriotico.

Innumerevoli esempi, anche nel martirologio del risorgimento nazionale, depongono apertamente in contrario: non è però inutile richiamare un fatto nel quale il patriotismo più puro si concilia e si afforza col sentimento religioso più profondo. Il trovarsi questo fatto presso coloro che furono per tanto tempo nostri nemici nel rapporto politico, non toglie nulla alla sua importanza e bellezza. Il bene, da chiunque si compie, è sempre bene.

Hofer non si attendeva si grave condanna, cionondimeno accolse la sentenza con una rassegnazione cosi ammirevole da commuovere i testimoni alla triste scena. Al generale Bisson che si offerse di salvarlo purchè si ponesse a disposizione del grande Còrso, Hofer rispose con un rifiuto categorico e sdegnoso dicendo che sarebbe stato fedele all’Austria fino all’ultimo istante.

La seguente frase di una lettera diretta all’amico suo Puhler de Neumarkt prova quanto calmo e sereno egli [p. 68 modifica]si mantenne di fronte alla morte: «Addio, mondo senza cuore! La morte mi pare così dolce che i miei occhi non possono neppure inumidirsi».

Persuaso che i suoi compatrioti non lo avrebbero dimenticato, fece trasmettere a sua moglie le sue ultime volontà, pregandola di far celebrare due uffici funebri nelle parrocchie di Saint Martin e di Saint Lèonard a Passayer. «Non affliggerti troppo cara moglie, per la mia sorte. Io pregherò per i miei presso a Dio, e spero di rivedervi tutti parenti e amici, in Cielo, dove noi non cesseremo di lodare il Signore».

Il sacerdote Manifesti che lo preparò alla morte e lo assistette negli ultimi momenti così scrisse: «Sono ancora commosso ed edificato; ricorderò questo uomo, salito al patibolo come un eroe cristiano, come un martire».

Hofer rifiutò la benda, rifiutò di piegare le ginocchia: «È stando in piedi — diss’egli — che io voglio rendere l’anima a chi mi ha creato». Alla prima scarica rimase solo ferito ed allora esclamò: «Francesi, tirate meglio». Anche la seconda non ebbe esito e non fu che un colpo ben diretto di un caporale che mise fine alle sue sofferenze. Così morì a 53 anni Andrea Hofer. Al cader della notte il suo corpo venne sepolto nel giardino della canonica di San Michele ove fu murata una lapide con la seguente iscrizione:

«Qui giace la spoglia del fu Andrea Hofer, detto il generale Borbone, Comandante supremo delle milizie del Tirolo, fucilato in questa fortezza nel giorno 20 febbraio 181o, sepolto in questo luogo».

La tragica ed eroica fine del ribelle, nocque a Napoleone più che igna battaglia perduta. Perfino i suoi più vecchi soldati si inchinarono innanzi alla forza irresistibile di sì profonda convinzione religiosa unita ad un grande sentimento patriotico.

L’esumazione dei resti di Andrea Hofer, per il loro trasporto in patria, fu fatta il 9 gennaio del 1823: il cranio benissimo conservato portava ancora le traccie di due proiettili. Per ordine espresso dell’Imperatore le spoglie di Hofer furono deposte il 21 febbraio 1824 nella chiesa dei Francescani di Innsbruck. Una folla immensa accorse da ogni parte per assistere alla solenne cerimonia. Un monumento in candido marmo si eleva sulla tomba dell’eroe cristiano. Hofer non fu nè un generale nè un uomo di stato. Cionondimeno una figura saliente che vivrà a lungo nella storia come esempio alle generazioni future di fede e di patriotismo.

La commemorazione a Mantova.

Telefonano da Mantova, 20, all’Unione:

Oggi Mantova ha voluto fare omaggio alla memoria di un valoroso ribelle, che pure nella storia rappresenta ed estrinseca la fedeltà più assoluta all’Impero austriaco: Ad Andrea Hofer, fucilato un secolo fa dai francesi come l’istigatore della rivolta e della sollevazione del Tirolo contro le armi repubblicane, per la indipendenza del suo paese.

Sul cippo che sorge in cittadella a ricordo del supplizio — e che fu elevato dagli austriaci — furono deposte delle corone di fiori.


L’attrattiva del Giappone

Quasi ignorato cinquant’anni fa, il Giappone attira ora l’attenzione generale, imponendosi all’ammirazione del mondo intero: le sue vittorie, la sua costituzione politica, le sue produzioni, lo straordinario suo sviluppo in materia di civilizzazione, gli hanno formato una situazione unica fra tutte le nazioni dell’Estremo Oriente. I Giapponesi sono della stirpe linguistica tartaro-finica della razza mongolica, e diversificano nella loro civiltà dai Cinesi; anzi esiste al Giappone una società per escludere la scrittura cinese e introdurre la scrittura latina. Per le sue qualità il giapponese riesce agli europei più simpatico del cinese; anzi si può dire che tutti i popoli hanno lo sguardo fisso su di lui, quasi a chiedergli il secreto del così rapido suo incremento. La gioventù coreana, siamese, cinese, indiana, ecc., accorre nel Giappone a studiarvi le scienze, le arti, il commercio, l’industria, la medicina, l’insegnamento, la politica, in una parola tutti i rami dell’attività umana, ed il Giappone non solo lascia che tutti vadano a lui, ma manda i suoi professori nelle altre nazioni, e vi stabilisce la sua influenza, mentre aiuta e spinge i progressi della loro civilizzazione.

Le cause di un fatto così straordinario, si deducono chiaramente dalla preponderanza dell’insegnamento nel Giappone. Da una recente statistica, ecco su questo punto delle cifre, che non hanno bisogno di commento:

Scuole primarie: 27.338, con 150.301 professori e 5 milioni 156.313 allievi. Scuole secondarie: 266 con 4,817 professori e 100.853 allievi. Scuole normali: 64 con 1.103 professori e 16.373 allievi. Scuole diverse di diritto, di medicina, d’agricoltura, di commercio, d’industria, di navigazione, ecc., 3.779 con 20.808 professori e 250.930 allievi. A queste bisogna aggiungere le Scuole superiori che dipendono direttamente dal Ministero dell’Istruzione pubblica, cioè: due Università, tre scuole normali superiori, sette scuole superiori di commercio e d’industria, cinque scuole speciali di medicina, due d’agricoltura, una di belle arti, un’accademia di musica, una scuola di lingue straniere, ed infine cinque scuole normali speciali per formare dei professori di liceo e di scuole commerciali, con 2,730 professori e 19.540 allievi.

Mentre una simile forza si afferma sul terreno dell’insegnamento, le più recenti statistiche ci danno una cifra da 60.000 a 65.000 cattolici al Giappone, di fronte a circa 65.000 protestanti e 30.000 scismatici su di una popolazione totale di più di 50 milioni d’abitanti.

Ora, tutti i popoli civili, i quali, ciascuno per proprio conto, pensando d’avere dei diritti come dei doveri in tema di colonie, di missioni, d’intraprese d’ordine commerciale, morale e religioso, tendono, in una forma o in un’altra, ad esercitare un’influenza legittimata dalla nobiltà dello scopo, è giusto che collo sviluppo dei commerci e delle industrie, cerchino associarvi lo sviluppo del cattolicismo, come luminoso fattore e corroboratore delle migliori iniziative.

A questo scopo, la Società delle Missioni straniere, da una ventina d’anni si è unita per l’insegnamento [p. 69 modifica]superiore alla Società di Maria i di cui collegi di Tokio, di Nagasaki, d’Osaka e di Kumamoto più non sono sufficienti a ricevere una clientela sempre crescente. Per non intralciare splendidi risultati, si è decisa, anzi si è incominciata la costruzione d’una Scuola apostolica a Urakami, comperando il terreno con le prime offerte. Ma la costruzione, il personale, il mantenimento dei fanciulli, tutto ciò reclama dei fondi considerevoli, e questo non per un anno solo, bensì per un lungo seguito d’anni. L’Italia non può, non deve essere seconda nell’offrire il suo appoggio a chi lavora in favore anche del bene spirituale di quel Giappone, dove molti italiani trovarono sempre cordiale accoglienza, e dove si formarono anche larghe sostanze e fortune, specialmente nei commerci e nelle industrie.

Su questo argomento, tra breve l’illustre P. Lebon terrà una conferenza, qui in Milano, nella basilica di S. Fedele, seguita poi da un’altra con proiezioni in un salone da destinarsi.

L’attesa è acuita dalla fama dell’oratore e dall’importanza suggestiva del tema.

Angelo Maria Cornelio.