Il Trecentonovelle/LXII
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Messer Mastino, avendo tenuto uno provisionato a far sua fatti, e parendogli che fusse arricchito, domanda veder ragione da lui, il quale con nuova malizia fa ch’egli è contento non rivederla.
Ne’ tempi che messer Mastino signoreggiava Verona, gli capitò alle mani uno ch’era come uno per fante a piede, a fare suoi servigi; il quale come pratico ed esperto stato ben venti anni, facendo ancora molto bene i fatti del signore, diventò ricco. A messer Mastino venne l’appetito che venne a messer Guglielmo nella precedente novella; e pensossi di domandare di veder ragione da costui, e cosí fece; ché lo chiamò una mattina e disse:
- Vien cià, va’, apparecchia tutte tue scritture de’ fatti miei che ti sono pervenuti per le mani, poi che tu fusti nella corte mia.
Al buon uomo parve essere impacciato, pensando non poter mai mostrare al signore quello che dimandava; ma pure rispose:
- Datemi respitto, e io penserò di soddisfare al vostro comandamento.
Ed egli disse:
- Va’, e quando hai le cose preste, vieni; e io darò ordine chi debba per me esser con teco a vedere le dette ragioni.
Rispose costui:
- E’ sarà fatto, signor mio.
Tornasi a casa e partesi dal signore, e pensando e ripensando, quanto piú pensava piú gli pareva essere impacciato; e guardando per casa, ebbe veduta la rotella, la cervelliera, uno lanciotto, uno farsettaccio con un coltello, con le quali cose era venuto di prima, quando s’era acconcio al servigio di detto signore. E vestitosi nel modo ch’era venuto, e prese quelle medesime arme appunto, in quella forma l’altra mattina senza piú aspettare s’appresentò innanzi a messer Mastino.
Il quale veggendolo, si maravigliò, dicendo:
- Che vuol dir questo, che tu se’ cosí armato?
- Signor mio, - disse quello, - voi m’avete comandato che io vi mostri ragione di ciò c’ho aúto a far de’ vostri fatti, poi che io fui servitore di vostra signoria; io vi dico cosí, signor mio, che io non veggio modo nessuno ch’io ve la potessi mai mostrare, se non questo che voi vedete. Voi sapete, signor mio, che quando io venni al vostro servigio, io era povero mascalzone, con quello in dosso, e con quelle povere armicelle, con le quali mi vedete al presente. E per tanto la ragione è fatta; nessuna altra cosa, che quello che io ci recai, me ne porterò; e cosí me n’andrò povero, com’io ci venni: tutto l’altro mio rimanente, e la casa, con ciò che v’è dentro, lascio alla vostra signoria.
Messer Mastino, come savio signore, considerando l’avvedimento e modo di costui, disse:
- Non voglia Dio, che io ti tolga quello che hai con me guadagnato; va’, e fa’ lealmente e’ fatti miei, e da mo innanzi non aver pensiero che io ti vegna mai meno.
Costui ringraziò el signore; e parvegli aver avuto buon modo a mostrar la detta ragione; e stette nella corte di messer Mastino tutto il tempo della vita sua, e fugli piú caro che altro uomo ch’egli avesse.
Or considera, lettore, quant’è ignorante chi fa lunga dimora nella corte d’uno signore, e come in uno punto e’ si volgono e disfanno altrui.
E guarda s’egli è pericoloso, ché, sognando che un servo l’uccida, sel reca a vero e disfallo. E però chi si può levar dal giuoco, quando ha piena la tasca, non vi stia a guerra finita; però che la maggior parte ne rimangon disfatti, come apertamente per molti si poría vedere.