Novella CXXXVI

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CXXXV CXXXVII

Prova maestro Alberto, che le donne fiorentine con loro sottigliezza sono i migliori dipintori del mondo, e ancora quelle che ogni figura diabolica fanno diventare angelica, e visi contraffatti e torti maravigliosamente dirizzare.

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Nella città di Firenze, che sempre di nuovi uomeni è stata doviziosa, furono già certi dipintori e altri maestri, li quali essendo a un luogo fuori della città, che si chiama San Miniato a Monte, per alcuna dipintura e lavorío che alla chiesa si dovea fare; quando ebbono desinato con l’Abate e ben pasciuti e bene avvinazzati, cominciorono a questionare; e fra l’altre questione mosse uno, che avea nome l’Orcagna, il quale fu capo maestro dell’oratorio nobile di Nostra Donna d’Orto San Michele: - Qual fu il maggior maestro di dipignere, che altro, che sia stato da Giotto in fuori? - Chi dicea che fu Cimabue, chi Stefano, chi Bernardo, e chi Buffalmacco, e chi uno e chi un altro. Taddeo Gaddi, che era nella brigata, disse:
- Per certo assai valentri dipintori sono stati, e che hanno dipinto per forma ch’è impossibile a natura umana poterlo fare -; ma questa arte è venuta e viene mancando tutto dí.
Disse uno, che avea nome maestro Alberto, che era gran maestro d’intagli di marmo:
- E’ mi pare che voi siate forte errati, però che certo vi mosterrò che mai la natura non fu tanto sottile quant’ella è oggi, e spezialmente nel dipignere, e ancora del fabbricare intagli incarnati.
Li maestri tutti, udendo costui, rideano, come se fossi fuora della memoria. Dice Alberto:
- O voi ridete! io ve ne farò chiari, se voi volete.
Uno, che avea nome Niccolao, dice:
- Deh, faccene chiari per lo mio amore.
Alberto risponde:
- Ciò farò, poiché tu vuogli; ma ascoltate un poco - (perché tutti erano a modo delle galline, quando schiamazzono); e Alberto comincia, e dice: - Io credo che il maggior maestro che fosse mai di dipignere, e di comporre le sue figure, è stato il nostro Signore Dio; ma e’ pare che, per molti che sono, sia stato veduto nelle figure per lui create grande difetto, e nel tempo presente le correggono. Chi sono questi moderni dipintori e correttori? Sono le donne fiorentine. E fu mai dipintore, che sul nero, o del nero facesse bianco, se non costoro? E’ nascerà molte volte una fanciulla, e forse le piú, che paiono scarafaggi; strofina di qua, ingessa di là, mettila al sole, e’ fannole diventar piú bianche che ’l cecero. E qual artista, o di panni, o di lana, o dipintore è, che del nero possa far bianco? certo niuno; però che è contro natura. Serà una figura pallida e gialla, con artificiati colori la fanno in forma di rosa. Quella che per difetto, o per tempo, pare secca, fanno divenire fiorita e verde. Io non ne cavo Giotto, né altro dipintore, che mai colorasse meglio di costoro: ma quello che è vie maggior cosa, che un viso che sarà mal proporzionato, e avrà gli occhi grossi, tosto parranno di falcone; avrà il naso torto, tosto il faranno diritto, avrà mascelle d’asino, tosto l’assetteranno; avrà le spalle grosse, tosto le pialleranno; avrà l’una in fuori piú che l’altra, tanto la rizzafferanno con bambagia che proporzionate si mostreranno con giusta forma.
E cosí il petto, e cosí l’anche, facendo quello sanza scarpello che Policreto con esso non averebbe saputo fare. E abbreviando il mio dire, io vi dico e raffermo che le donne fiorentine sono maggiori maestre di dipignere e d’intagliare, che mai altri maestri fossono; però che assai chiaro si vede ch’elle restituiscono dove la natura ha mancato. E se non mi credete, guardate in tutta la nostra terra, e non troverrete quasi donna che nera sia. Questo non è che la natura l’abbi fatte tutte bianche; ma per istudio le piú, di nere son diventate bianche. E cosí è, e del loro viso e dello ’mbusto, che tutti, come che naturalmente siano e diritti e torti e scontorti, da loro con molti ingegni e arti sono stati ridotti a bella proporzione. Or se io dico il vero, l’opera lodi il maestro.
E voltosi alla brigata, disse:
- E voi che dite?
Allora tutti a romore di populo dicono, gridando:
- Viva il messere, che troppo bene ha giudicato -; e su quella prateria, ch’è di fuori, dopo l’assoluta questione, dierono a maestro Alberto la bacchetta, e feciono venire del vino della botte, con lo quale si rifiorirono molto bene, dicendo all’Abate che la domenica seguente tornerebbono tutti a dire il loro parere sopra quello di che avevono aúto consiglio. E cosí, la seguente domenica, tutti insieme, tornorono a fare con lo Abate quello medesimo che aveano fatto quel dí, salvo che portarono...