Il Trecentonovelle/CXLVI
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Uno standosi in contado, facendo volentieri dell’altrui suo, imbola un porco, e con sottil malizia nel mena, e morto che l’ha con sottil frodo il mette in Firenze, il quale, essendo scoperto, paga lire ventotto, e ancora lo restituisce a cui l’avea imbolato, e in tutto gli costa fiorini dieci, e rende il porco.
Un povero gentiluomo, secondo il volgare falso del mondo, ma vizioso e spezialmente nel fare dell’altrui suo, stava sempre in contado a un suo podere in una sua casetta, presso a Firenze meno d’un miglio; e sempre si dava attorno, recando e di dí e di notte a sé delle cose del paese. E fra l’altre volte, ebbe una volta tanta sicurtà d’andare a imbolare un porco di notte, che chetamente elli e uno compagno lo trassono del porcile avendo uno catinetto di non so che biada e una cordella con che legarlo, e lo ne menò cheto cheto; e venendo per uno campo ad una fossa assai larga, non veggendo come il porco si potesse far passare quella, e ancora, pigliandolo, farebbe romore, dice al compagno suo, ch’era uno contadino bene atante e grande, ben fatto e sempre con lui uso d’andare a fare di dette faccende:
- Facciamo com’io ti dirò; scenda uno di noi in questa fossa, e chinisi a traverso, tanto che faccia ponte delle reni, e l’altro su per quel ponte mandi il detto porco -; e cosí s’accordarono.
Il contadino scese nella fossa e subito chinatosi, ebbe fatto un ponte che vi serebbe passato su un bue; e ’l capomaestro gli dà il canestruzzo della biada che lo metta dall’altra parte, ed egli pianamente con ingegni tanto fece che il detto porco passò Rubicone. Passato il porco, poco stettono che giunsono alla magione, donde s’erano partiti; ed essendo tre dí presso a San Tommè, che piglia il porco per lo pè, avendo costui un altro porco in casa allevato, deliberò quella notte col suo compagno uccidere l’uno e l’altro, e per debito che avea, mandarli a Firenze a un suo amico tavernaio, e farne danari, e cosí feciono. E abbruciati e sparati, e cavate e rigovernate le cose dentro, gli appiccorono in una cella terrena, e serrorono l’uscio. La mattina vegnente dice il lavoratore e alcuno vicino a costui:
- O che avea istanotte il tuo porco?
E que’ risponde:
- Avea male per lui, però che io l’ho morto; io ho a dare danari a certe persone, e m’hanno posto l’assedio, io lo voglio vendere e pagare ognuno.
Dicono coloro:
- Oh non vendere almeno e’ migliacci, fa’ che noi n’abbiamo.
- Ben aremo de’ migliacci! che mai di piccolo porco come quello non credo che tanta dolcia uscisse.
Era forse libbre centocinquanta: l’imbolato era trecento. Stato un pezzo e mangiato, ed egli e lo suo compagno andorono a Firenze, e a uno tavernaio dal Ponte alla Carraia; e con lui parlato di vendere dua porci morti e acconci, che gli stimavono libbre quattrocentocinquanta, ed essendo in concordia del pregio, disse gli mandasse la sequente mattina; e cosí si partirono, e diede ordine al fatto, come udirete. Tornato che fu la sera in contado, dice il gentiluomo da beffe al suo compagno:
- Tu sai che del porco intero si paga alla porta quaranta soldi, e pagando lire quattro, mi gitterebbe mala ragione; prestami domattina l’asino tuo, e cogli di molto alloro, e fa’ d’esserci per tempo, ché io ho pensato che io non pagherò se non quaranta soldi d’amendue; il Comune ruba tanto altrui che io posso ben rubar lui.
Dice quelli:
- Io verrò la mattina, e con l’alloro e con l’asino, e porterolli dove tu mi dirai.
Dice il nobile gentiluomo:
- Portera’ li in Terma a casa la tale mia parente, e mettili nella camera terrena, e io vi sarò tosto dopo te, e poi li manderemo al tavernaio.
E cosí andò il contadino, e la mattina di buon’ora giunse con l’asino e con l’alloro; e trovato colui che aspettava, mise l’asino e l’alloro dentro, e andorono nella cella dove erano li porci. Dice il principale:
- Sa’ tu quello ch’io ho pensato? che io voglio che noi spariamo bene quel porco grande, e mettervi dentro quel piccolo, e poi l’affascineremo con questo alloro, e non fia niuno che possa immaginare che sia altro che uno.
E brievemente cosí di questi due porci feciono uno; e messo su l’asino, e legato, e acconcio, e aúto soldi quaranta per la gabella, si mise in via. Giunto alla porta, li gabellieri dicono:
- Paga di quel porco tu -; e quelli comincia annoverare sul tavolello li quaranta soldi; e mentre ch’elli annoverava, certi garzonotti, giucatori e sviati, come spesso si riparano alle porti, guatavano questo porco, e quando toccavano le sanne, e quando i piedi, e dicevano tra loro: «Questo è un bel porco».
Annoverati i denari, e detto arri , e dato della mazza all’asino, fu tutt’uno; ed essendo dilungato forse trecento passi, uno di quelli garzoni che avevono ben procurato il porco, s’accostò a’ gabellieri e dice:
- Di che vi dié la gabella quello di quel porco?
Dicono i gabellieri:
- Pagocci d’un porco.
Disse il garzone:
- Io per me vidi dirieto tre piedi di porco e sono stato gran pezzo per ismemorato; che io so ben ch’e’ porci hanno due piedi dirieto, e non tre.
Il maggior gabelliere comandò a uno che corresse e giugnesse colui, e menasselo a drieto; e cosí fu fatto. Giunto costui e detto: «Torna addietro»; subito divenne di mille colori; e quando fu alla porta, i gabellieri cercano quel porco, e guatando trovorono il minore in corpo a quello. Come l’hanno trovato, dicono:
- Eja! questo è pure il piú bel frodo che si vedesse mai.
Dice il contadino:
- Gnaffe! io porto quello che m’è dato.
- Va’, che sia tagliato a pezzi, - dicono i gabellieri, e mandano alla gabella con l’asino e con la soma.
Giunto dinanzi a’ maestri, ciascuno si maraviglia di sí falsa sottigliezza, domandando di cui erano; ed egli il disse e fu per averne la mala ventura; ma tanto valsono le preghiere ch’egli pagò di soldi quaranta, e per ogni denaio tredici, che furono ben ventotto lire. In questo mezzo a colui a cui era stato imbolato il porco, ragionandosi di questo frodo, gli venne agli orecchi; e pensando chi e come, e che non era uomo da tenere due porci, si diede e a cercare e a investigare, e trovò che ’l porco suo era il maggiore di quelli due. Di che mandò uno a colui che gliene avea furato, dicendoli quale e’ volesse, o subito restituire il suo porco, o che egli andasse al rettore. Costui per uno di mezzo il fece contento, allegando non era stato elli, ma che gli era stato recato a casa.
E cosí questo cattivo uomo non capitò alle forche, come era degno; ma pure ebbe parte di quello che meritava, ché rimase sanza il porco, e con danno e con vergogna gli costò piú di dieci fiorini. E però non si puote errare a lasciare stare le cose altrui; ché, se non che costui morí da ivi a poco tempo, e’ venía a fine che averebbe vituperato sé e tutta la sua progenie.