Novella CXCVI

../CXCV ../CXCVII IncludiIntestazione 22 settembre 2009 75% novelle

CXCV CXCVII

Messer Rubaconte Podestà di Firenze dà quattro belli e nuovi judicii in favore di Begnai.

— * —

Perché mi pare esser entrato in certi giusti judicii, e ricordandomi quanto fu diritto il judicio di Salamone verso quelle due donne che domandavono il fanciullo; e ancora avendo udito già la novella di colui che avea sognato d’avere avere due buoi dal suo vicino, i quali gli avea tolti, e ’l giusto giudice, veggendo che avea ferma la sua domanda secondo il sogno, fece venire due buoi di mezzo giorno, quando il sole piú lucea, e mandatili su per uno ponte, menando l’addomandatore con lui, mostrando l’ombre de’ buoi nell’acqua, giudicò quelli essere i buoi suoi, e che quelli pigliasse; cosí racconterò in brevità quattro judicii dati per uno podestà di Firenze, chiamato messer Rubacone, venendo tutti e quattro in favore d’un semplice e nuovo uomo, chiamato Begnai.
Innanzi che questo Podestà fosse stato due mesi in officio, essendo questo Begnai su uno ponte, che allora era di legname, venendo gran fiotto di gente a cavallo dall’altra parte, fu costretto Begnai di salire su la sponda, che era di legno, non molto larga. Di che, passando la gente allato a lui, e’ fu sospinto e cadde in Arno addosso a uno che si lavava le gambe, il quale se ne morí. I parenti del morto fanno pigliare Begnai a furore, e dinanzi a questo Podestà domandono che sia morto, conciossiacosa ch’egli ha morto il tale. Il Podestà, considerando il caso, come che la legge dica: «Chi uccide dee essere morto»; contastava agli accusatori. E fra l’altre cose, dicendo eglino: «Noi vogliamo il nostro onore», el Podestà disse:
- E io ve lo voglio dare, e voglio che voi vi vendichiate; e ’l modo è questo, e questa sentenzia do: che questo Begnai si vada a lavare i piedi in Arno, là dove il morto se gli lavava, e uno di voi, de’ piú distretti al morto, vada su la sponda del ponte, donde cadde costui, e caggia addosso a lui.
A costoro parve avere mal piato e non sapere che rispondere, e abbandonarono la questione, e Begnai fu lasciato.
La seconda cosa fu che, essendo caduto uno asino a uno lavoratore, e non potendosi levare, il lavoratore l’aiutava dinanzi, pregò Begnai l’aiutasse di drieto; e Begnai, pigliandolo per la coda e tirandolo in su quanto potea, la coda gli rimase in mano. A quel dell’asino parendo essere diserto, ricorse al detto Podestà, e fece richiedere Begnai; e ’l Podestà di questo caso, udendo Begnai allegare che credea che la coda dell’asino fosse meglio appiccata, scoppiava delle risa. E quel di cui era l’asino, dicea:
- Io non ti dissi che tu gli divellessi la coda.
Il Podestà dice:
- Buon uomo, menatene l’asino a casa, ché, perché non abbia coda, e’ porterà bene la salma.
Colui rispondea:
- O con che s’arrosterà dalle mosche?
Onde il Podestà giudicò che ’l buon uomo se ne menasse l’asino suo, e se non volesse, Begnai se lo tenesse tanto elli che rimettesse la coda, e poi glielo rendesse. Begnai rimase libero, e ’l villano se nel menò a casa sua cosí codimozzo per lo migliore.
La terza cosa fu che a Begnai venne trovato una borsa con quattrocento fiorini; e colui che l’avea perduta, andandone cercando, Begnai gli la rendeo: poi fa questione, quelli di cui era la borsa, con Begnai, e dice che vi sono meno fiorini cento. Colui risponde:
- Io te la do com’io la trovai.
Va la questione dinanzi a questo Podestà, il quale udendo, dice a chi domanda:
- Come è da credere, se costui avesse voluto far male, che te gli avesse renduti di sua volontà?
- No, - dicea colui, - e’ mia erano fiorini cinquecento.
Dice il Podestà:
- Or via, io giudico che Begnai tenga questa borsa di fiorini quattrocento, tanto che tu truovi la tua di fiorini cinquecento; salvo che se tu se’ contento pigliarla come te l’ha data, tu l’abbi, sí veramente che tu sodi che, se questa di fiorini quattrocento fosse d’altrui, di restituirla.
Costui se la prese e arrose il sodamento, e Begnai fu liberato.
La quarta e ultima avvenne quasi nell’ultimo del suo officio; e fu che, andando Begnai a cavallo alla fiera a Prato, quando fu verso Peretola, s’accompagnò, come incontra, con certi che erano a cavallo con donne; di che, avendo Begnai il cavallo un poco spiacevole, cominciò a gittarsi addosso a un altro in su che era una donna gravida, la quale ne cadde in terra per forma che si scipòe. Il marito e’ fratelli vanno con l’accusa dinanzi al Podestà; e richiesto Begnai, comparisce dicendo che elli per sé non fu elli, anzi fu il cavallo, il quale mai non avea conosciuto, né aveali favellato. E ’l Podestà dice:
- In fé di Dio, Begnai, che tu se’ un gran malfattore, tante cose ho aúte a finire de’ fatti tuoi!
E voltosi a quelli della donna, dice:
- Che domandate voi?
E quelli dicono:
- Messer lo Podestà, parvi convenevole che costui abbia fatto sconciare questa donna?
E ’l Podestà dice:
- Voi udite che non ha colpa elli: e’ cavalli son pur bestie; che se ne dee fare?
E quelli rispondono:
- E noi come riabbiamo la donna nostra gravida com’ell’era?
E ’l Podestà dice:
- E io voglio giudicare questa questione cosí; che voi mandiate la donna a casa di questo Begnai, e tanto la tenga che la renda gravida com’ell’era.
Udendo ciò costoro, se n’andorono, e non la mandorono a Begnai; di che elli rimase libero.
Venuto il tempo del sindacato, ebbe il Podestà assai petizione sopra le faccende di Begnai, allegando che non avea seguíto né la legge, né gli statuti del Comune. Il Podestà dicea:
- La migliore legge che si possa usare è quella della verità e della discrezione; però che la legge dice: «Chi uccide dee essere morto»; ma egli è grandissima differenza da una morte a un’altra; ché sono morti che potrebbono meritare premio, non che avere pena di morte, e sono morti che meriterebbono mille morti. E pertanto conviene che qui sia uno mezzo che pigli un’altra via che seguire le leggi; e questa via conviene che sia il discreto rettore, come che io non sia di quelli, ma per discrezione e per bene ho giudicato.
Li sindachi, udendo li judicii dati per lui, e spezialmente quelli di Begnai, dissono tutti che non meritava pur d’essere prosciolto, ma d’avere uno grandissimo onore dal Comune.
E tanto feciono co’ Signori, che con li loro consigli ordinorono che ’l detto Podestà avesse uno pennone e una targa dal popolo di Firenze. E questo fu lo primo che si desse a’ nostri rettori.
Volesse Dio che oggi si dessono discretamente, come per li tempi passati si davono. Allora si davano per rimunerare la virtú, oggi per compiacenza o per amistà.