Il Trecentonovelle/CVI
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Una moglie d’uno orafo riprendendo il marito d’avere aúto a far con altra, ed elli riprende lei per simigliante cosa; ed ella risponde che l’ha fatto in utile della casa, e vince la quistione.
Nel borgo alla Noce nella città di Firenze fu già uno orafo d’ottone, e avea una sua moglie molto cortese della sua persona, ed elli se n’avvedea in gran parte; ma per lo migliore, e per aver pace, sel tacea. Avvenne caso che questa donna infermò, ed ebbe lunga malattia, per tale che il marito alcuna volta s’era infardato con un’altra trista, e alla donna, o moglie che vogliamo dire, era la detta cosa venuta agli orecchi; di che cominciò ad avere parole col marito, e tra molte parole cominciò a dire:
- Tu hai uno grande pensiero de’ fatti miei, che mentre che io sono stata per morire, e tu se’ stato or con una trista, or con un’altra.
Dice il marito:
- Oggimai dich’io che tu se’ guarita, poiché tu cominci a squittire.
- Che squittire con la mala pasqua! Sí, che io sono coccoveggia. Parevati mill’anni che io morisse; non t’è venuto fatto. So che tu stavi a barba spimacciata, per torti poi una di queste tue triste.
Dice il marito:
- Io son certo che qualche buona panichina t’ha messo nel capo questi imbratti.
- Ben che tu se’ imbratto e vituperio con tuo’ struffinacci: va’ struffinati con essi quanto tu vuogli che a me non t’accosterai tu piú, sozzo can vituperato.
Quando costui ha assai udito, dice a costei:
- Io mi sono assai stato cheto, e per li tempi passati e ora; ma io non mi posso piú tenere. Deh dimmi, buona femina, che ti par esser Santa Verdiana che dava mangiare alle serpi: non credi tu che io sappia chi tu se’? e non ti misuri, e biasimi pur me, e taglimi legne addosso. Se fusse pur quel che tu di’, tu hai aúto male cotanto tempo, e teco non ho potuto usare, e per questo se io fosse ito ad altra femina, non sarebbe stato cosí grande avolterio, ma io che sono stato sano già cotanto tempo, e tu hai potuto usare con me come l’altre usano co’ loro mariti, e ha’ mi fatto fallo, e non credi forse che io lo sappia? ben lo so bene.
Dice la moglie:
- E tu tel sappi, che se io l’ho fatto, l’ho fatto in utile della casa col nostro lavoratore, che ci fa buona misura e dacci le staia colme. Ma tu l’hai fatto in danno della casa, e tu ’l sai che hai messo in culo a queste tue troiacce, e metti ciò che tu puoi.
Dice il marito:
- A me pare che tu sia fatta una trecca baldella; io non sono per perdermi piú il fiato con teco.
Dice quella:
- Io ne son certa che tu lo vuoi ben perdere con l’altre.
Dice il marito:
- Sa’ com’è del fatto? fa’ come ti piace, che poco impaccio m’ho dato da quinci addietro, e vie meno me ne darò da quinci innanzi. Una cosa ti ricordarò: abbi a mente l’onore tuo e pensa che tu déi morire.
Disse la moglie:
- Pènsavi pur tu, che morrai prima di me.
Disse il marito:
- E cosí sia; tu m’hai ben fracido; io te la do per vinta.
Dice la moglie:
- E tuttavia mi di’ villania, sí che io sono quella che t’ho fracido; va’ domandane i cessami tuoi, se t’hanno fracido o eglino, o io, ché tu non fosti mai degno d’avermi, che maladetta sia la fortuna, ché mio padre mi potea maritare a Baldo Baldovini che serei stata con lui come gemma in anello; e poi mi diede a una bella gioia.
Dice il marito:
- Io ti dico che io te la do per vinta; lasciami vivere -; e volte le spalle, se n’andò alla bottega e tornossi nel modo suo di prima: che se avesse trovato con lei quello dello staio colmo, facea vista di non vedere.
Ed ella, come buona massaia, sempre s’ingegnò di fare la faccenda in utile della casa, infin ch’ella poteo.