Il Trecentonovelle/CLXXXIX
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Lorenzo Mancini di Firenze, volendo fare uno matrimonio e non potendo accostare il pregio della dota, con nuovo modo conchiude.
E’ mi convien venire a una novella d’un nostro cittadino, il quale, disponendosi di volere fare un matrimonio tra due suoi amici, e l’uno volendo gran dota e l’altro non potendo darla, alla fine con una sua piacevole astuzia fece sí che, essendo le parti molto da lunge, le fece sí prossimane che ’l parentado venne a conclusione. Fu costui uno piacevole e pratico uomo, chiamato Lorenzo Mancini, il quale, essendo grandissimo e amico e compagno di Biagio di Fecino Ridolfi, e avendo compreso di dar moglie al detto Biagio, considerò che Arrigo da Ricasoli, molto suo cordiale amico, avendo una bella figliuola da marito, in quella dovesse mettere e la fatica e l’ingegno acciò ch’ella fosse sua moglie. E andato un dí a Biagio, gli disse tutto il convenente che si dee dire sopra sí fatta materia, lodandoli la mercanzia quanto si dee per fare sí che la cosa venisse ad effetto. Biagio acconsentí al piacere del parentado; ma alla dota si puose di volere fiorini mille, e non meno. Quando Lorenzo udí il suono di fiorini mille, un poco gli mancò il pensiero; ma pur per primo colpo non lasciò né lo scudo né la lancia, ma partitosi, disse:
- Or bene -; e andò a quello da Ricasoli, e simile gli disse come s’avea pensato, che desse la sua figliuola a Biagio di Fecino, e se li piacea d’avere a fare con lui.
Rispose di sí. Seguí Lorenzo:
- Che gli vuoi tu dare?
L’amico disse:
- Ragiona, Lorenzo mio, che io vivo di rendita, come tu vedi; e’ mi sarà molto malagevole a potere aggiugnere a cinquecento fiorini.
Allora rispose Lorenzo:
- Quando l’uomo truova cosa che gli piace, e’ conviene che si sforzi.
Colui rispose:
- Quello che non si puote è piú duro che pietra.
Disse Lorenzo:
- Tu farai quello che vorranno gli amici -; e partissi.
E stando un pezzo, si trovò con Biagio, e disseli che credea accapezzare le cose in quanto elli condiscendesse alla dota, la quale a lui parea troppo alta. Biagio stette pur fermo a mille, e mai non iscese. Andò Lorenzo a quello da Ricasoli a provare con quante ragioni potesse di farlo salire; giammai non vi fu modo; ché in conclusione Lorenzo durò grandissima fatica circa d’un mese, e mai non poteo fare scendere li mille, né salire li cinquecento. Alla per fine si pensò un modo nuovo, quasi disperandosi, dicendo: «Che diavol è questo? io credo che l’uno di costoro sia di porfido e l’altro di diamante; ben piglierò un poco di sicurtà, che io m’ingegnerò di trarre innanzi questo parentado. El peggio che ci possa incontrare, se lo rompono poi: ed elli se lo rompano».
Andossene a Biagio e disse:
- Il fatto è fatto -; e poi n’andò a quello da Ricasoli e disseli il simile: - Dove volete voi essere oggi?
Composono d’essere in Santa Maria sopraporta e pochi per parte, e Lorenzo fosse dicitore delle parole. E cosí feciono; che Lorenzo molto lietamente disse e in principio e mezzo e fine, andando pur d’attorno, non narrando mai né dota né alcuna quantità, dicendo:
- Dio vi dia buona ventura.
La gente cominciandosi a partire, e Biagio dice a Lorenzo:
- O tu non hai detto della dota.
Dice Lorenzo:
- Tu credi che io sia notaio: vo’ sete oggimai parenti, ben v’accorderete.
A Biagio non piacquono molto le parole, e a male in corpo si partí, perché Lorenzo studiò che avea un poco a fare in quel dí; né la sera cenò, né la notte dormí Biagio che buono gli paresse, parendogli mill’anni che l’altra mattina fosse con Lorenzo. E cosí venuta, e Biagio si trovò con Lorenzo e disse che ’l dí dinanzi e’ non avea ben chiarito la dota. Lorenzo rispose:
- Biagio mio, io non durai mai maggiore fatica che fare questo parentado; però che tu ti ponesti su’ mille fiorini e mai non ne scendesti, e l’altro si pose su’ fiorini cinquecento e mai non salí; io avea pur voglia di fare il parentado e cosí ho fatto: se su la dota c’è a fare niente, voi sete parenti, voi il farete meglio che altri.
Dice Biagio:
- Motteggi tu?
Lorenzo dice:
- Io dico il vero.
Dice Biagio:
- Se tu di’ il vero, e tu l’attieni per te, ché, quanto io, non sono per attenerlo io.
Risponde Lorenzo:
- Se tu non lo atterrai, e’ non si disfarà il mondo, e la vergogna fie tua e non mia; fa’ che ti pare: io ho fatto il parentado.
La novella venne agli orecchi dell’altra parte, che di questo non facea contesa; accostossi con Lorenzo e disse:
- A che siàn noi?
Disse Lorenzo:
- E’ mi pare piatire alle civili; fate che vi piace.
Nella fine e’ s’accordorono per men vergogna di loro, e per non si recare a nimico Lorenzo; e costò a quello da Ricasoli questa dota in tutto fiorini cinquecento, per recarla a fiorini come fece Lorenzo.
Giammai alcun sensale non arebbe concluso questo matrimonio: solo una nuova astuzia di Lorenzo fece fare quello, che essendo ito la cosa con grand’ordine, giammai non si serebbe fatta. E però è buono alcuna volta pigliar confidanza nelli amici e uscire de’ termini; però che spesse volte uno trasandare acconcia una cosa, che tutto il seguire dell’ordine che fu mai non l’acconcerebbe.