Novella CLXXX

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CLXXIX CLXXXI

Messer Giovanni de’ Medici balestra con una artificiosa parola Attaviano degli Ubaldini, il quale con quello strale la rende a lui.

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Non fu meno velenosa risposta quella che fece su la piazza de’ nostri Signori Attaviano di messer Aghinardo degli Ubaldini a messer Giovanni di Conte de’ Medici. Il quale Attaviano, essendo stato in Firenze dappoi che ’l padre era stato preso, e dato ha Monte Colereto e tutto il suo al Comune di Firenze, avea preso quasi forma, come gli altri cittadini, d’andare e a’ priori la mattina ch’egli entravono, ed eziandio a’ gonfaloni. E fra l’altre volte una mattina a dí otto di gennaio, dandosi i gonfaloni, se n’andò a casa del Gonfaloniere con brigata, come faceano gli altri cittadini, e poi con tutta la brigata seguí il Gonfaloniere insino in su la piazza; e lasciatolo alla ringhiera, ne venne in Vacchereccia con quelli cavalieri che v’erano, e spezialmente con messer Giovanni di Conte là si puose a sedere. Ed è vero che poco tempo innanzi del MCCCLX era stato uno trattato in Firenze di molti cittadini, e furonne due dicapitati; il qual trattato nell’effetto era di cacciare alcune famiglie; e in questo fu Bartolommeo di messer Alamanno de’ Medici; e ancora tra’ Medici e gli Ubaldini non fu mai né pace né buona volontà. Ora venendo al fatto, standosi cosí a sedere messer Giovanni col detto Ottaviano, incominciò a dire:
- Deh, Ottaviano, chi averebbe mai creduto che gli Ubaldini fosseno venuti in tal mattina accompagnare i gonfaloni in questa nostra città?
E Ottaviano subito rispose:
- Allora si serebbe creduto questo, che si serebbe creduto che i Medici avesseno voluto sovvertere il popolo di Firenze.
Messer Giovanni ammutolò per forma che non disse piú verbo.
E però non si potrebbe essere troppo cauto in pensare quello che l’uomo comincia a dire; però che le parole conducono spesse volte gli uomeni nel lecceto in forma che chi ha mosso riceve parole che sono peggio che spontonate. A molti è già nociuto il favellare; il tacere mai non nocque ad alcuno.