Novella CLXV

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CLXIV CLXVI

Carmignano da Fortune con una nuova immaginazione sfinisce una questione di tavole passando per la via, la quale non si potea sfinire per chi non avesse veduto.

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Carmignano da Fortune del contado di Firenze fu uno uomo di stratta condizione, però che quasi visse, non come uomo moderato, non come uomo di corte, ma vestito in gonnella bisgia, sanza mantello, col cappuccio a gote, cinto larghissimo, brutto piú che altro uomo, che sempre el naso e gli occhi gli colava; tanto era goloso che sempre le cose altrui andava cercando; fuggito era da’ schifi, dagli altri era accettato piú per udire dir male e’ malefici d’altrui (che meglio che altro uomo gli seppe dire) che per altra virtú che fosse in lui; e cosí fatto come era, per scusare il suo mal dire, dicea una buona parola: che non era male il dir male, ma che il male era a rapportarlo. Chi considera a ciò, elle son parole di filosofo, però che la nostra fragile natura, inclinata a’ vizii, spesse volte e a desinari e a cene ragiona piú de’ fatti altrui che de’ suoi; e non rapportandosi, rade volte ne doverrebbe uscire male; donde, rapportando, spesse volte ne escono e brighe e uccisioni.
Questo Carmignano considerava troppo bene la qualità e degli uomeni e delle donne, e quando trovava da potere dire male di loro, adornava e incastrava il suo dire per sí fatta forma che, udendolo, colui a cui toccava se ne ridea. Quando giucava a scacchi e quando a tavole; e allora, se alcuno gli avesse detto alcuna cosa o dato noia, subito parea che avesse la risposta a vituperare quel tale. Sempre andava sanza brache, per tal segnale che giucando un dí a scacchi, vedendosi per alcuno giovene di gran famiglia le sue masserizie, disse:
- Carmignano, vatti quella pedona?
Carmignano che sapea la madre di colui esser cattiva di sua persona stata, subito rispose:
- Meglio la conobbe mammata.
Uno mercatante, chiamato Leonardo Bartolini, dicendogli alcuna cosa che non gli piacque, quando giucava a tavole, e quelli pensò essere costui con molti fratelli, tra’ quali era un maestro Marco, valentre in teologia, e uno che avea nome Tobia, di poco valore e quasi scimonito, disse:
- Io me lo soffero da te, come da bestia, e ’l piú savio che sia tra voi è il Tobia, mettendovi ancora il maestro Marco.
E cosí avea le sue risposte pronte piú che altro uomo.
Dico adunque che, passando costui al Frascato, trovò a un giuoco di tavole esser grandissima contesa. L’uno che giucava era possente uomo di famiglia, l’altro era uno omicciuolo di piccolo affare. D’intorno era assai gente, e niuno volea dire chi avesse la ragione o il torto. Carmignano, avendo compreso il fatto, si fa innanzi e dice:
- Io dirò, a rappellare di mio, chi ha il torto.
Dice il possente che non avea voglia che si dicesse
- Come il dirai che non c’eri?
E Carmignano rispose:
- Io ti dico che io so la questione, e dirolla che non ci avrà alcuno ma.
Dice l’omiciatto che giucava:
- Io per me son contento, e priegotene per l’amore di Dio che lo dica.
Veggendo il maggiore tanto innanzi la cosa, mosso da arroganzia si volse verso Carmignano, dicendo:
- E io son contento, pur per vedere quello che tu dirai.
Allora Carmignano dice:
- E io il dirò, e dico che tu hai il torto, però che se tu avessi la ragione, questi che son qui te l’arebbon data, come la questione mosse, e arebbonlo detto; ma perché non l’hai, nessuno di costoro per la tua maggioranza non l’hanno osata dire; e però costui che giuoca teco, ha la ragione.
Ciascuno che era intorno, dicea sotto voce:
- E tu di’ il vero.
Colui minacciava Carmignano e dicea:
- Tu mi fai perdere questo giuoco; al corpo e al sangue che io te ne pagherò.
Carmignano allora disse:
- Io ti dissi nel principio che io volea difinire la questione a rappellare di mio, e cosí ancora voglio, se male ho giudicato. Costoro che sono qui presenti il dicano, e se la lingua loro di ciò è impedita, fa’ venire delle fave bianche e nere, e dicanlo le fave.
Quello possente di questo partito sbigottí forte, e disse:
- E’ non si mettono alle fave i giuochi delle tavole -; e crollando il capo disse: - I’ me ’l terrò a mente.
Carmignano disse:
- E tu te ’l tieni; - e dato la volta col cappuccio a gote alla larga, e col naso e con gli occhi rampollanti, s’andò con Dio.
Questa novella mi fa ricordare quanto il mondo corre oggi in questo errore, e ben lo sa il men possente, quando ha questione col possente; ché, non che gli sia fatta ragione, ma non si truova chi per lui apra la bocca, o chi giudicare voglia contro al piú possente. E nelle terre che dicono reggersi a comune, questo vizio piú incontra, e la prova il manifesti, ché anni otto o dieci durerà un piato e quando in gran tempo non è spacciato, ciascuno può pensare, come pensò Carmignano, che la maggioranza per non pagare dilunga la questione. E non si vede egli nella justizia che tutti i poveri uomeni e tapini sono gli esecutori di quella, ma i possenti non la vogliono per loro?