Novella CCXIV

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CCXIII CCXV

Uno gentiluomo nel contado di Firenze va a furare un porco, e mettelo su una cavalla; guastasi la cavalla, e ’l porco per poco sale pute; e un altro che era insalato in casa fa il simigliante; e cosí rimane tristo e doloroso.

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Molto fu di maggiore scorno e di piú danno la novella che seguita, però che non è gran tempo che verso Montelupo contado di Firenze fu uno gentiluomo, il cui nome tacerò per onestà, riguardando a’ suoi consorti. Avea costui molto per costume, quando avesse possuto, di fare dell’altrui, suo. Avvenne per caso ch’egli ebbe aocchiato un porco di smisurata grassezza, il quale era d’uno notaio del detto paese; e fatto ragionamento con due contadini, che spesso lo accompagnavono a fare delle sue mercatanzie, si puosono di volere furare il detto porco; e una notte, salito il gentiluomo su una sua ronzina, s’avviò con detti contadini per fare la faccenda; e giunti con l’esca e con argomenti perché la cosa andasse cheta, il trassono del porcile, e avvioronsi col detto porco, il quale per la grassezza andava a grande stento. E dilungati alquanto, giugnendo in uno burrato, e ’l porco non possendo fare l’erta, non sapeano che si fare; e strascinare non lo voleano, però che arebbe fatto romore; di che deliberorono d’ucciderlo, e di porlo su la ronzina, e avviluppatoli al grogno quanti panni aveano, perché il suo stridere non si sentisse, l’uccisono; e poi con gran pena e con grande affanno, consumando grand’ora della notte, il puosono su la ronzina; e a grande stento, camminando con la cavalla, che molto male potea quella soma, giunsono alla magione del gentiluomo; là dove la ronzina giunse stracca, e in fine guasta, che mai piú non fu da farne conto. E ’l gentiluomo ancora era presso che stracco; ma perché la materia avea bisogno di spedizione, elli feciono ragionamento in che modo il porco s’insalasse; e non essendo sale in nessuna delle loro case, disse il gentiluomo:
- Io salai un porco forse otto dí fa, e misevisi su tanto sale che io credo che quello abbia preso il sale che dee: l’avanzo spazziamo e mettiamo su questo, e credo che basterà.
Presono il detto partito; e’ due contadini abbruciorono e governorono il porco, e intanto il gentiluomo andò a dormire. E levatosi innanzi dí alquanto, spezzorono la carne, e insaloronla con l’avanzo dell’altro porco.
E cosí stando la cosa per alcuni giorni, essendo la cavalla guasta, venendosi a cavare li due porci di sale, non che elli ne venisse di dolce, ma in quella casa di puzzo non si potea stare, sí che per forza convenne la carne o sotterrassino o gittassesi via. In questo mezzo venne sentore al notaio come il suo porco gli era stato imbolato e da cui; di che egli pensò, come il piú delle volte interviene, di combattere co’ dua contadini, e del cittadino lasciare andare la mazza. E facendo li detti convenire e facendo vista di farli impiccare, ebbe da loro fiorini dodici, e stettonsene cheti per lo migliore; e al gentiluomo parve avere cacato nel vaglio, veggendosi aver perduta la ronzina e ’l porco suo che avea insalato, e quello che avea imbolato, e ancora fiorini dodici, li quali credo che la maggior parte furono suoi, perché li contadini non lo dicessono.
E cosí il volere imbolare un porco ad altri gli fece perdere il porco suo e ’l sale, e ’l porco imbolato, e la ronzina, e fiorini dodici.
E giusto e degno fu, però che spesso avviene che chi vuole con rapina, con furto e con altro modo l’altrui, Dio, che tutto vede, gli fa perdere il suo. E non si può errare che l’uomo in questa vita faccia col suo e lasci stare l’altrui; e se altro non fosse o non avvenisse, l’uomo, che non ha lealtà e vuole quello che dee essere d’altrui, da ciascheduno è schifato; e colui che vive leale, stando contento del suo, da ciascuno è ricevuto e amato. Ma li gentili d’oggi tengono essere gentilezza vivere di ratto su l’altrui ricchezza.