Novella CCXIII

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CCXII CCXIV

Cecco degli Ardalaffi, volendo correre un’asta di lancia verso li nimici facendosi guidare a Giannino suo famiglio il quale trascorrendoli innanzi, il detto Cecco pone a lui, credendo porre a’ nimici.

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Non fu netto il tratto che volle fare Cecco degli Ardalaffi come furono netti li tratti del Gonnella. Passando il duca d’Angiò con gran brigata di cavalieri vicino di Forlí, quando andò in Puglia contro al re Carlo della Pace, e venendo verso la terra certa gente fiorita, il detto Cecco chiamò un suo famiglio, ch’avea nome Giannino, e disseli che apparecchiasse un suo gran cavallo con le sue arme e certa compagnia d’armati. E ciò fatto, s’armò nobilemente, e salito a cavallo con la sua compagnia, e Giannino allato alla briglia, e certi con le lance molli, s’avviò verso la porta dal lato di Cesena, e uscendo di quella, perché avea molto il vedere corto, chiamò Giannino e disse:
- Mettimi il bacinetto in testa, e dara’mi la miglior lancia in su la coscia, e guidami e appressami quanto tu puoi, dove è la brigata che tu sai.
Giannino guida il cavallo, come dice, e tutti gli altri drietoli. Come si furono appressati a un trarre di balestro, dice Giannino:
- Signor mio, prendete l’asta, ch’e’ nimici vi sono dinanzi a rincontro.
E ingozzata l’asta, pigliando Giannino il cavallo per le redine, dando delli sproni a un ronzino su che era, e Cecco seguendolo, essendo quasi a mezza via, avendo lasciato Giannino il cavallo, e Cecco con l’asta bassa correndo forte, credendo porre a uno di quelli cavalieri gli venne posto nel culo al detto Giannino. Il qual Cecco, credendo avere fatto un bel colpo in qualche valentre uomo, cominciò a gridare:
- O Giannino, va’ per quel prigione.
Giannino dall’altra parte, sentendosi inaverato, con gran voci comincia a dolersi, e dire:
- Oimè! Cecco, voi m’avete morto.
Dice Cecco:
- Io ti dico, va’ per quel prigione, che ti nasca il vermocane.
Allora Giannino con alte voci piú si duole, dicendo:
- Io vi dico che voi m’avete confitto il culo nella sella.
Cecco, come infiammato di letizia, dicea pur:
- Va’ pel prigione.
E Giannino nel fine sferra l’asta, la quale nel vero tra pelle e pelle era entrata, e viene verso Cecco, e dice:
- Ecco il vostro prigione.
Ancora dice Cecco:
- Dov’è?
Giannino si dispera, e dice:
- Favell’io greco, o ècci cosí buio? io vi dico che ’l prigion vostro in cui voi avete cosí ben posto, son io; e se non fosse per mal parere, io vel farei toccare con mano; ma, perché il colpo è nel culo, non voglio.
Cecco ancora dice che ciò non potea essere, però che gli parea aver dato a uno che avea l’arme dorate.
Dice Giannino:
- Forse avev’io il culo fregiato di lucciole; io non credea che voi lo nimicasse cosí fieramente; e che se l’asta fosse cosí giunta nel mezzo, com’ella giunse da lato, io non era mai piú Giannino.
Dice Cecco:
- In fé di Dio, e’ mi pare strano che ciò possa essere, io credea che tu caleffassi.
Dice Giannino:
- Io non ho da caleffare, ché mi pare mill’anni che io sappia da qualche medico se ’l colpo è cassale o no, sí che lo mi possa acconciare dell’anima.
Allora Cecco disse:
- Se tu mi guidasti in forma che ne sia seguito quello che tu di’, tu stesso t’hai fatto il male: dicevat’io che tu facesse che la mia lancia ti si ponesse al culo, che appena mi pare che debba potere essere?
Dice Giannino:
- Io veggio che voi non credete ancora, ma io ne farò certo ciascuno.
E innanzi a tutta la brigata alza li panni e mostra la fedita e la sella, dove l’asta si confisse, e dice:
- Deh guardate, se questo vi pare colpo di Calaves?
Chiarito per questo modo, Cecco cominciasi a contorcere dicendo:
- Vie’ za, Giannino, noi torneremo a Forlí, e io ti farò curare al medico nostro; ma a lui e a qualunche altro dirai che uno di quelli di là, correndo verso te, ti puose la lancia.
E cosí promise, ed elli lo fece curare; ché nel vero poco male avea, però che la lancia tra pelle e pelle l’avea confitto nella sella; e guarito che fu, mai non lo volle addestrare piú, però che Cecco era una buona lancia, ma la cattiva vista gli facea errare la posta, e averebbeglila possuto porre un’altra volta in luogo che gli serebbe putito tutti i dí della vita sua.
Non è molto strana cosa, quando il vedere ha alcuno impedimento, d’errare per simile forma o per altra; però che la fragilità de’ nostri sensi, essendo ancora sanza difetto, spesse volte gli fa errare. E non si vede elli manifesto che colui che avrà piú chiaro il vedere spesse volte crederrà vedere una cosa, ed elli ne vede un’altra? Un altro crederrà d’udire una voce in uno busso, o uno suono, ed e’ fia un altro. Un altro con l’odorato crederrà sentire o un odore o un puzzo, e quello fia un altro. Un altro crederà toccare una cosa, ed ella fia un’altra; e un altro crederrà conoscere per lo gusto uno sapore, credendo quello essere d’uno frutto o d’una spezie, e quello fia d’un’altra. E cosí interviene ancora de’ sensi intellettivi. Sí che quello di Cecco, avendo gli occhi difetto, fu difetto della natura; ancora essendo stati chiarissimi, il detto caso potea intervenire. E però nessuno, o signore, o qual vuole si sia, si può fidare nelle sue potenzie; ché tutto dí interviene che l’uomo crederrà trarre in uno luogo, e trarrà in un altro, sí come il bue, che spesso crede andare a pascere, e anderà ad arare.