Il Trecentonovelle/CCXI
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Il Gonnella buffone vende alle fiera di Salerno stronzi di cane per galle di grandissima virtú, e spezialmente da indovinare; e come, ricevuto di ciò gran prezzo, se ne va libero.
Ancora non mi pare che certi arrivassono molto bene in volere assaggiare d’una vivanda che comperorono da uno che la vendea, come che non l’avessono a cuocere co’ sagginali. Gonnella buffone, il quale di fare cose nuove non ebbe pari, come ancora in certe novelle a drieto è narrato, andando spesso per lo mondo in piú strani luoghi che potea, arrivò una volta in Puglia alla fiera di Salerno. E veggendo assai gioveni che aveano piene le borse per comprare mercanzia, s’addobbò d’una veste in forma che parea uno medico venuto d’oltramare; e trovata una scatola bassa e larga, e una tovagliuola bianchissima messa dentro, e distesala, su quella pose quasi trenta pallottole di stronzi di cane; e con questa in mano alla scoperta, e con uno de’ capi della tovagliuola in su la spalla, giunse in su la detta fiera, e postosi da parte su uno desco, avendo seco un famiglio da lato, puose la detta mercanzia; e cominciando a parlare quasi gergone col famiglio, come venisse dal Torissi, fece trarre a sé diversa gente. Alcuni lo domandavono
- Maestro, che mercanzia è questa?
E quelli dicea:
- Andatevi con Dio; ella non è da fatti vostri, ell’è cosa di troppo valore, e non si fa per chi non ha da spendere.
E a cui dicea in una forma e a chi in un’altra, solo per aguzzar piú gli appetiti di quelli che erano d’attorno: tanto che certi giovani, tirandolo da parte, li dissono:
- Maestro, noi ti vogliamo pregare che tu ci dica che pallottole sono quelle.
E quelli dice:
- Voi mi parete uomeni da dirvi il vero, e non parete caleffatori, - e parlando quasi tra tedesco e latino, disse: - Quella è mercanzia che chi la conoscesse l’arebbe piú cara che tutto quello che è su questa fiera; e se voi mi vedeste quando ci venni, la recai io proprio, e non la fidai al mio famiglio.
Costoro pur domandono. Elli disse che quelle pallottole aveano tanta virtú che chi ne mangiava pur una, subito sapea indovinare: e che con gran pena avea aúto questa ricetta dallo re di Sara, che signoreggia trentadue reami d’infedeli; e perché elli spesso usava di mangiare, era venuto cosí gran signore.
Dissono i gioveni:
- Che costerebbe l’una?
Rispose il Gonnella:
- Ella non può costare quello che non sia grandissimo mercato; però che voi sapete che dice il proverbio: «Fammi indovino e farotti ricco»; e io era povero uomo, e per averle usate sto sí bene che io son ricco, e non mi manca nulla; ma perché voi mi parete gentiluomeni, io vi torrò fiorini cinque dell’una.
Ellino dissono, per amore e per grazia ne voleano quattro, e darli fiorini dodici. Il Gonnella, udendo la profferta, s’allegrò dentro, e di fuori si mostrò delle cento miglia, dicendo:
- Io non le darei ad altrui per tre cotanti.
Alla fine caddono in patto di fiorini quindici; ed elli disse:
- Fate una cosa; direte al desco che me n’abbiate dato fiorini cinque dell’una -; e cosí dissono di fare.
Il Gonnella che pensava, come malizioso, al fine, dice a costoro, perché la fiera durava tutto il giovedí vegnente:
- E’ ve li conviene pigliare in venerdí a digiuno tra la terza e la nona, però che è quel dí e quell’ora che ’l nostro Signore ebbe la passione; altrimente non avereste fatto nulla.
Coloro dissono di farlo; e ch’ella era leggiera cosa a fare. Ed elli tolse fiorini quindici, e diede loro quattro pallottole. Gli altri d’attorno, veggendo spacciare, udendo la fama che già era, che chi mangiava una di quelle subito indovinava, concorsono a comprare per lo miglior patto che poterono, tutti avendo la ricetta dal Gonnella di pigliarle il venerdí a digiuno, e all’ora detta; tanto che tutte e trenta le vendé circa fiorini centoventi.
Fatto questo il Gonnella, il venerdí a buon’ora col suo famiglio e con la valigia sale a cavallo; sanza dire all’albergatore che via tenesse, entrò in cammino. Venuta l’ora ch’e’ comperatori desideravano, cioè di mangiare le pallottole per indovinare, due di quelli gioveni primi comperatori, volonterosi d’essere indovini, danno di morso a gran bocconi ciascuno in una, e subito l’uno sputa fuori, e dice:
- Oimè! che sono stronzi di cane, - e l’altro fa il somigliante; e subito vanno all’albergo, e domandono del medico che vendea le pallottole.
L’albergatore dice:
- E’ dee essere dilungato sei miglia, tanto è ch’egli andò.
- E dove?
Rispose non sapere, ma per questa via tenne. Li gioveni erano bene in gambe, cominciano a piè a camminare, e vanno tanto ratti che lo giunsono a... che era a cavallo per partirsi dall’albergo. Come giungono a lui, dicono:
- Maestro, tu ci hai venduto troppo cari li stronzi del cane; come noi gli avemmo in bocca, le sputammo.
Disse il Gonnella:
- Che vi dissi io?
- Dicesti che subito indovineremmo.
Rispose il Gonnella:
- E cosí avete indovinato -; ed essendo bene a cavallo, dà delli sproni elli e ’l famiglio e vannosi con Dio.
Li gioveni, quasi rimasi scornati, e veggendo non poter tenerli dietro, si tornano addietro assai dolenti, dicendo:
- Noi ce n’abbiamo una nostra una; egli è peggio ancor la beffa che ’l danno.
E giunti a Salerno, truovano degli altri che aveano comprata di quella mercanzia; chi s’era messo alla cerca da una parte e chi da un’altra, e chi si stava come smemorato, e ciascuno si doleva e stava scornato di sí brutta beffa. Alcuni altri, sappiendo la novella, cominciorono a cantare:
- A chi vuole indovinare, in bocca li possa un can cacare.
E cosí si rimasono i comperatori scornati per un buon tempo: e ’l Gonnella se n’andò al suo viaggio verso Napoli, là dove con via piú nuova malizia tirò a sé piú denari che non furono questi, come nella seguente novella si dichiarerà.
Io son certo che ’l Gonnella dicea poi avere guadagnato; e’ si potea dire piú tosto rubato, e con grandissimo inganno e tradimento; nelle quali cose nessuno altro mai fu con sí sottile e acuto ingegno. E grande maraviglia mi pare che ne’ dí suoi non trovasse chi lo pagasse del lume e de’ dadi, come meritava, come che le sue erano cose da ridere a cui non toccava.