Novella CCIX

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CCVIII CCX

Il Minestra de’ Cerchi, avendo debito e guardandosi, stando a Candeghi è preso da’ messi, li quali l’aescarono con una anguilla messa in una fonte.

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Ma che dirén noi della novella che segue, la quale dimostrerrà come con una anguilla fu preso alla lenza uno gentiluomo fiorentino? Il Minestra de’ Cerchi fu uno uomo grasso e con corto vedere, ed era molto goloso, e sempre parea che stesse in debito. Avea uno suo luogo a Candegghi, là dove il piú si dimorava, e là stava in casa, e quasi mai non usciva fuori per paura di non esser preso. Di che avvenne che, dovendo uno avere buona quantità di denari da lui, e avendone gran bisogno, e non possendo vedere né via né modo in che maniera potesse essere pagato, trovando un dí due messi della nostra città, che l’uno avea nome Mazzone e l’altro Messuccio, disse loro se alcuno modo vedessono di pigliare questo suo debitore, e pigliassono il prezzo come a loro piacesse. Di che si tirorono da parte e pensorono in che modo il potessono fare; e dissono al creditore che dava loro il cuore di sí, ma che voleano fiorini dieci.
A colui parve mill’anni, e disse che era contento. Fatto il patto e considerato ciò che aveano a fare, eglino andorono tanto cercando a’ pescatori ch’egli ebbono una anguilla viva di circa due libbre, e con questa in uno orciuolo d’acqua se n’andorono verso la Badía a Candegghi; però che sapeano che ’l detto Minestra beeva dell’acqua d’una fonte, non molto di lungi dal luogo suo, e che la sua fante a quella andava per l’acqua per lui. Onde andorono alla detta fonte, ed entro vi misono quella anguilla. Messa che ve l’ebbono, nascosamente si misono in aguato, per essere presti a quello che poi venne lor fatto. Venendo l’ora dopo desinare, andando la fante per l’acqua forse per lavare le scodelle, guardando nella fonte, ebbe veduta questa anguilla, e sforzandosi quanto poté di pigliarla, vi consumò una mezz’ora; e in fine, abbandonatala, si torna con la mezzina dell’acqua a casa; là dove, parendo al Minestra che troppo fosse stata, dice:
- Il diavol ti ci reca; che hai tu tanto fatto?
Ella risponde:
- Non gridate, ché io v’ho creduto recare una bella anguilla che è nella fonte, che è grossa come quell’asta di lancia; e credendola piú volte avere presa, ella m’è schizzata di mano, che sapete com’elle sdrucciolano.
Disse il Minestra:
- Sciocca che tu se’, ella fia una serpe; onde verrebbe l’anguilla costí?
Dice la fante:
- Sia col buon anno, s’io non conosco il baccello da’ paternostri! io vi dico ch’ella è un’anguilla.
Il Minestra, udendo questo, ché già se la cominciava a manicare, disse:
- Per certo, s’io dovesse essere preso, io non me ne terrei che io non v’andasse.
E tolto un bucinetto che avea in casa da pigliare passere alle buche, andò alla detta fonte e menò seco la fante, però che elli non averebbe veduto la bufola nella neve, non che l’anguilla nella fonte. E dicendo alla fante:
- Vedila tu?
Ella dice che sí; ed elli li dice come ella debbe adoperare quel bucine.
La fante, ubbidendo, in poco d’ora la tirò su nel bucine; e ’l Minestra cosí nella rete se la recò in mano dicendo: - Padella!
E avviandosi con essa verso casa, ed ecco Mazzone e ’l compagno uscire dell’aguato, e giugne e piglia il Minestra, dicendo:
- Tu non la mangerai sanza me.
Il Minestra, conoscendolo alla voce, ché poco lo scorgea con la vista, dice:
- Eja, Mazzone, che vuol dir questo?
Dice Mazzone:
- Convientene venir con noi -; ché v’erano ancora quattro berrovieri.
Il Minestra cominciò a gridare:
- Accurr’uomo, che io sono stato tradito.
Dicono i messi alla famiglia:
- Menatelo oltre a Firenze.
E tolsonsi l’anguilla loro; pregandoli il Minestra quanto poteo che ’l lasciassino e non lo volessono disfare. Elle furono parole, ché lo menorono a Firenze preso, e rassegnoronlo in Bolognana, e andorono al creditore a significarli la presa essere fatta; il quale per letizia abbraccioe e bascioe Mazzone, dicendo e domandando in che maniera l’aveano preso. Eglino gli ’l dissono. Di che, del modo ancora piú si maravigliò; e subito gli menò dove accattò fiorini dieci, e pagolli, e andollo a raccomandare per lo suo debito. E ’l Minestra, per paura di non v’essere staggito per altrui, subito trovò modo di pagare; e cosí gli costò cara l’anguilla.
Né piú né meno feciono questi messi come fa il demonio, il quale sempre sta avvisato di pescare e d’uccellare con nuove esche, e con nuovi zimbelli, e con nuove trappole per pigliare l’anime: e quanti n’ha già preso nel vizio della gola, e con l’anguille e con le lamprede, e con gli altri cibi! Ben fu preso in questo Nozzino Raúgi nostro fiorentino, che fu lasciato ricchissimo dal padre, e nella gola consumò ciò ch’egli avea, e avvolse la lampreda intorno al cappone, e arrostigli insieme, ponendogli nome il baccalare cinghiato : ma nella fine fu ben cinghiato di tanta miseria che morí miseramente. E molti altri potrei contare, che per questo vizio sono venuti in miseria e in ruine.
E notino li padri e le madri, che allevano i loro figliuoli, acciò che non li crescano in questo vizio; ché questo è quel vizio che per lo primo peccato ci ha condotto a morte, e fa altrui incorrere in molti terribili peccati e disfazione di famiglie; però che dalla gola viene lussuria, prodigalità, giuoco e molti mali; e in fine quando manca l’avere, che non abbia di che supplire all’appetito, a tutti e’ mali si reca per avere danari. Se io volessi descrivere quanti e quali, non so se capessono in questo libro. E come il demonio aesca nella gola, cosí nella lussuria e nella concupiscenza carnale, cosí nell’avarizia con la moneta e con le ricchezze e stati e beni terreni; e quando li giugne alla fonte, come Mazzone giunse il Minestra, gli piglia e dagli a’ berrovieri, cioè a’ diavoli, che gli menino alla Bolognana, nel centro dell’abisso; e allora è pagato colui che dee avere, e al debitore è dato quello che merita.