Capitolo XXII

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"Quod si forte quis nihilominus affirmare audeat, nihil prohibere quominus vapor aqueus ac densus vi aliqua altius provehatur ab eoque refractio hæc atque reflexio cometæ proveniat (nullum enim aliud huic effugium patere videtur, cum longa experientia compertum sit, quo rariora corpora fuerint magisque perspicua, minus ea illuminari, saltem quoad aspectum, magis vero quo densiora et cum plus opacitatis habuerint; cum ergo cometa ingenti adeo luce fulgeret, ut stellas etiam primæ magnitudinis ac planetas ipsos splendore superaret, densior eius materia atque aliqua ex parte opacior dicenda erit: trabem enim eodem tempore, quod eius summa esset raritas, albicantem potius quam splendentem, nullisque radiis micantem, vidimus); verum, si densus adeo fuit vapor hic fumidus, ut lumen tam illustre atque ingens ad nos retorqueret, atque, ut Galilæo placet, si satis amplam cæli partem occupavit, qui tandem factum est ut stellæ, quæ per hunc subiectum vaporem intermicabant, nullam insolitam paterentur refractionem, neque minores maioresve quam antea comparerent? Certe, cum eodem tempore stellarum cometam undique circumsistentium distantias inter se quam exactissime metiremur, nihil illas a Tychonicis distantiis discrepare invenimus; variari tamen stellarum magnitudines earumque distantias inter se ex interpositione vaporum huiusmodi, et experientia nos docuit, et Vitello et Halazen scriptis consignarunt. Aut igitur dicendum est, vapores hosce tenues adeo ac raros fuisse, ut astrorum lumini nihil officerent (qui tamen cometæ per refractionem luminis producendo minus apti probati iam sunt), vel, quod longe verius sit, fuisse nullos."

Molte cose son da considerarsi in questo argomento, le quali mi pare che lo snervano assai.

E prima, né il signor Mario né io abbiamo mai ardito di dire, che vapori aquei e densi sieno stati attratti in alto a produr la cometa; onde tutta l’instanza che sopra l’impossibilità di questa posizione s’appoggia, cade e svanisce.

Secondo, che i corpi meno e meno s’illuminino, quanto all’apparenza, secondo ch’ei sono più rari e perspicui, e più e più quanto più densi, come dice il Sarsi aver per lunghe esperienze osservato, l’ [p. 295 modifica]ho per falsissimo; e questo mi persuade un’esperienza sola, ch’è il vedere egualmente illuminata una nuvola come s’ella fusse una montagna di marmi, e pur la materia della nuvola è alquanto più rara e perspicua di quella delle montagne: onde io non veggo qual necessità abbia il Sarsi di far la materia della cometa più densa e più opaca di quella de’ pianeti (che così mi par ch’ei dica, se bene ho capita la construzzion delle sue parole), e tanto più, quanto io non ho per chiaro ch’ella fusse più splendida delle stelle della prima grandezza e de’ pianeti. Ma quando ben ella fusse stata tale, a che proposito introdur questa tanta densità di materia, se noi veggiamo i vapori crepuscolini risplendere assai più delle stelle e di lei? Oltre a quelle nuvolette d’oro, lucide cento volte più.

Terzo, che posto che un fumido e denso vapore fusse stato quello in cui la cometa si produsse, ei ne dovesse seguir notabile discrepanza negli intervalli presi da stella a stella, come ch’ei dovessero, per causa della refrazzione per entro esso vapore, discordar da’ misurati da Ticone, e che, per l’opposito, niuna diversità vi fusse da loro osservata nel misurargli con ogni somma esattezza; io, se devo dire il vero, ci scorgo due cose le quali grandemente mi dispiacciono. L’una è, ch’io non veggo modo di poter prestar fede al detto del Sarsi senza negarla a quel del suo Maestro: atteso che l’uno dice d’aver loro con somma esattezza misurate le distanze tra le stelle, e l’altro ingenuamente si scusa di non avere avuto il commodo di far tali osservazioni coll’esquisitezza che sarebbe stata di bisogno, per mancamento di strumenti grandi ed esatti come quelli di Ticone; per lo che si contenta anco che altri non faccia gran capitale delle sue instrumentali osservazioni. L’altra è, ch’io non trovo via di poter dire a V. S. Illustrissima con quella modestia e riservo ch’io desidero, com’io dubito che il signor Sarsi non intenda perfettamente che cosa sieno queste refrazzioni, e come e quando elle si facciano e producano loro effetti. Però ella, che lo saperà fare colla sua infinita gentilezza, gli dica una volta, come i raggi che nel venir dall’oggetto all’occhio segano ad angoli retti la superficie di quel diafano in cui si deve far la refrazzione, non si rifrangono altrimenti, onde la refrazzione non è nulla: e però le stelle verso il vertice, come quelle che mandano a noi i raggi loro perpendicolari alla superficie sferica de i vapor che circondano la Terra, non patiscono refrazzione; ma [p. 296 modifica]le medesime, secondo che più e più declinano verso l’orizonte, ed in conseguenza più e più obliquamente segano co’ raggi loro la detta superficie, più e più gli rifrangono, e con fallacia maggiore ci mostrano il sito loro. L’avvertisca poi, che per essere il termine di questa materia non molto alto, onde la sfera vaporosa non è molto maggiore del globo terrestre, nella cui superficie siamo noi, l’incidenza de’ raggi che vengono da’ punti vicini all’orizonte è molto obliqua: la qual obliquità si farebbe sempre minore, quanto più la superficie de’ vapori si sublimasse in alto; sì che, quando ella s’elevasse tanto che nella sua lontananza comprendesse molti semidiametri della Terra, i raggi che da qualsivoglia punto del cielo venissero a noi, pochissimo obliquamente potrebbon segar la detta superficie, ma sarebbon come se tendessero al centro della sfera, ch’è quanto a dire che fussero perpendicolari alla sua superficie. Ora, perché il Sarsi colloca la cometa alta assai più che la Luna, ne’ vapori che in tanta altezza fussero distesi, niuna sensibile refrazzione far si dovrebbe, ed in conseguenza niuna sensibile apparenza di diversità di sito nelle stelle fisse. Non occorre dunque che ’l Sarsi assottigli altrimenti cotali vapori per iscusar la mancanza di refrazzione, e molto meno che per tal rispetto gli rimuova del tutto. In questo medesimo errore sono incorsi alcuni, mentre si sono persuasi di poter mostrare, la sostanza celeste non differir dalla prossima elementare, né potersi dare quella moltiplicità d’orbi, avvenga che, quando ciò fusse, gran diversità caderebbe negli apparenti luoghi delle stelle mediante le refrazzioni fatte in tanti diafani differenti: il qual discorso è vano, perché la grandezza di essi orbi, quando ben tutti fussero diafani tra loro diversissimi, non permetterebbe alcuna refrazzione agli occhi nostri, come riposti nell’istesso centro di essi orbi.