Il Saggiatore/51
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"Illud etiam omitti non debet, eodem, quo Aristotelem urget, argumento Galilæum premi. Sic enim ille: "Flammæ perspicuæ non sunt; cometæ autem coma perspicua est; ergo flamma non est." At ego adversus Galilæum sic: Luminosa perspicua non sunt; cometæ coma perspicua est; ergo luminosa non est. Esse autem perspicuam indicant stellæ, eius interpositu nulla ex parte celatæ. Præterea, comam hanc luminosam esse asserit idem Galilæus, dum illam ex illuminato vapore existere contendit; vapor enim illuminatus corpus est luminosum. Neque dicat, loqui se de luminosis nativo ac proprio lumine fulgentibus, non autem de iis quæ lumen aliunde accipiunt. Nam hæc etiam rerum ultra ipsa positarum aspectum impediunt: si enim pila aliqua vitrea, aut amphora, vino aut re alia quacumque plena fuerit, et lumini exponatur, iis tantum partibus ex quibus lumen non reflectit nec illuminata comparet, vinum ostendet; ea vero parte qua lumen ad oculum remittit, nil nisi lucidum quid et candens spectandum offeret. Idem in aquis etiam a Sole illuminatis accidit, in quibus pars illa qua Sol ad oculum reflectitur, nihil ultra se positum videri patitur; reliquæ vero partes lapillos atque herbas in fundo subsidentes ostendunt. Quare illuminatorum etiam corporum erit, ulteriora obiecta velare ne videantur; atque hæc etiam luminosa dici poterunt. Si ergo hæc apud Galilæum nullam admittunt perspicuitatem, per cometæ barbam, vel luminosam vel illuminatam, stellas videre non possumus: at potuimus tamen: ergo et illuminata fuit cometæ barba, et perspicua.
Hæc ego omnia eo libentius affero, quod ea facile quivis intelligat, cum non ex illis linearum atque angulorum tricis pendeant, ex quibus non omnes æque facile se expedire norunt; hic enim si quis oculos habeat, ingenii etiam huic abunde erit."
Qui, com’ella vede, vuol il Sarsi ritorcere il mio medesimo argomento contro di me; ma quanto felicemente questo gli succeda, anderemo brevemente essaminando. E prima, noto com’egli, per effettuar questa sua intenzione, incorre in qualche contradizzione a se medesimo, e, quello di che più mi meraviglio, senza necessità. Di sopra, perché così compliva alla sua causa, fece ogni sforzo di provar come le fiamme sono trasparenti, sì che per esse si possono veder le stelle; qui, per convincermi colle mie armi, avendo egli bisogno che i corpi luminosi non sieno trasparenti, si mette a provare così essere con molte esperienze; onde pare che e’ voglia che i corpi luminosi sieno e non sieno trasparenti secondo che ricerca il bisogno suo: ed in questo inconveniente cad’egli senza necessità alcuna, atteso che, senza dar pur ombra di contradizzione col mostrar di voler ora quello che poco fa aveva negato, bastava ch’ei dicesse (senza porsi egli stesso a dimostrarlo) che noi medesimi avevamo affermato generalmente, i corpi luminosi non esser trasparenti: né aveva occasione di temer ch’io fossi per venire a distinzioni di luminosi per sé o per altri, imperò che io ho sempre creduto che tal ricorso non serva se non per quelli che da principio non si son saputi ben dichiarare; e se il signor Mario avesse fatto differenza tra questi corpi e quelli, si sarebbe dichiarato a tempo, e non avrebbe aspettato che l’avversario l’avesse avuto a fare accorto del suo mancamento. Dico dunque ch’è verissimo che qualunque illuminazione, o propria o esterna, impedisce la trasparenza del corpo luminoso; ma non bisogna, signor Sarsi, che voi intendiate che dicendo noi così, vogliamo inferire che per ogni minima luce il corpo che la riceve debba divenir così opaco com’è una muraglia, ma che secondo la maggiore o minor lucidità perda più o meno della trasparenza: e così veggiamo nel principio dell’aurora, secondo che la region vaporosa comincia a participare un pochetto di lume, perdersi le minori stelle; dapoi, crescendo lo splendore, perdersi anco le maggiori; e finalmente, nella massima illuminazione, celarsi quasi la Luna stessa. In oltre, quando per qualche rottura di nuvole noi veggiamo scendere sino in Terra quei lunghissimi raggi di Sole, se voi porrete ben cura, vedrete notabil differenza circa lo scorgere le parti d’un monte opposto: imperò che quelle che sono oltre a i raggi luminosi si scorgono più offuscate dell’altre laterali, che non vengono da essi raggi traversate. E così parimente, scendendo un raggio di Sole per qualche finestrella in una stanza ombrosa, come tal or si vede per qualche vetro rotto in alcuna chiesa, tutti gli oggetti opposti, in quella parte dove il raggio gli traversa, si veggono meno distintamente, mentre però il riguardante sia in luogo onde ei vegga il raggio luminoso distinto, il che non avviene da tutti i siti indifferentemente. Ora, stanti queste cose vere, dico (e così si è sempre detto) potere esser che la materia della cometa sia assai più sottil dell’aria vaporosa, e meno atta ad illuminarsi, ché così ne persuade il vederla noi sparir nell’aurora e nel crepuscolo, trovandosi il Sole ancora assai sotto l’orizonte; sì che, quanto alla lucidità, non ci è ragione perch’ella debba asconderci le stelle più della region vaporosa. Quanto poi alla profondità, prima, la region vaporosa è grossa molte miglia; dipoi, noi non siamo in necessità di por la barba della cometa di smisurata profondità, non avendo determinato né quanto sia il diametro del capo, né s’egli è rotondo, né quanta sia la lontananza. Con tutto ciò, quando anco altri volesse porla profonda 8 o 10 miglia, non si vede nascerne inconveniente alcuno; perché anco l’aria vaporosa in tanta e maggior profondità, ed illuminata quanto la barba della cometa, lascia veder le stelle.