Il Saggiatore/39
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Passiamo ora al terzo argomento. "Sed demus Galilæo, orbis huius interiorem superficiem tornatam ac lævem esse: nego, lævibus corporibus aërem non adhærescere. Lamina certe vitrea B aquæ imposita, quamvis lævissima sit, non minus quam si foret alterius asperioris materiæ natabit, adhærensque illi aër aquam AC, circa vitrum per vim sese attollentem, continebit, ne diffluat et laminam obruat. Cur igitur inde non abscedit aër, dum descendentis aquæ pondere e vitrea lamina truditur, sed hæret illi mordicus, nec, nisi maiori vi pulsus, loco cedit? Præterea, si quis, lapideam forte tabulam politissimam nactus, corpus aliud grave æque politum eidem imposuerit, postea vero subiectam tabulam huc illuc trahat, impositum æque corpus quo voluerit trahet; et tamen si pondus quo corpus illud tabulæ innititur auferas, id huic non adhærebit. Tota igitur ratio quæ ad tabulæ motum corpus etiam impositum moveri cogit, ex illa compressione oritur, qua grave illud tabulam subiectam premit. Iam, sicuti ex eo quod alterum horum corporum ab altero premitur, ad eius motum hoc etiam moveri necesse est, ita assero, concavum Lunæ quodammodo premi ab aëre sive exhalationibus inclusis, si quando eas rarefieri contigerit, quod semper contingit: dum enim rarefiunt, prioris loci angustiis contemptis, ampliori extenduntur spatio, atque ambientium corporum, ac proinde cæli ipsius, partes omnes, si qua obstent rarefactioni, quantum in ipsis est, premunt; ac propterea non mirum, si ex compressione adhæsio aliqua consequatur, quæ duo hæc corpora veluti connectat et colliget, ita ut ad eumdem postea motum utrumque moveatur."
Continua il Sarsi in questa sua fantasia, di voler pur ch’io abbia detto che l’aria non aderisca a i corpi lisci e tersi: cosa che non si trova scritta né da me né dal signor Mario. In oltre, io non ben capisco che cosa intenda egli per questa sua aderenza. S’egli intende una copula che resista al separarsi del tutto e spiccarsi l’una dall’altra superficie, sì che più non si tocchino, io dico tal aderenza esservi, ed esservi, grandissima, sì che la superficie, verbigrazia, dell’acqua non si staccherà da quella d’una falda di rame o di altra materia se non con un’immensa violenza, né in questo caso importa se tal superficie sia o non sia pulita e liscia, e basta solo un esquisito contatto; il qual tien tanto saldamente uniti i corpi, che forse le parti de’ corpi solidi e duri non ànno altro glutine di questo, che le tenga attaccate insieme: ma questa aderenza non serve punto al bisogno del Sarsi. Ma s’egli intende una congiunzion tale, che le due superficie, dico quella del solido e quella dell’umido, non possano, né anco strisciandosi insieme, muoversi l’una contro all’altra, che sarebbe secondo il bisogno suo, dico cotale aderenza non v’essere non solo tra un solido e un liquido, ma né anco tra due solidi: e così vederemo in due marmi ben piani e lisci la prima aderenza esser tanta, che alzandone uno, l’altro lo segue, ma la seconda esser così debole, che se le superficie toccantisi non saranno ben bene equidistanti all’orizonte, ma un sol capello inclinate, subito il marmo inferiore sdrucciolerà verso la parte inclinata; ed in somma al muover l’una superficie sopra l’altra non si troverà resistenza, ben che grandissima si senta nel volerle staccare e separare. E così il toccamento dell’acqua colla barca ben che facesse grandissima resistenza a chi volesse staccare e separar l’una dall’altra superficie, nondimeno minima è la resistenza che si sente nel muoversi l’una superficie sopra l’altra, fregandosi insieme; e come di sopra ho detto ancora, la nave mossa velocissimamente non conduce seco altro che quel velo d’acqua che la tocca, anzi forse di questo ancora si va ella continuamente spogliando e rivestendone altro ed altro successivamente: e so che il Sarsi mi concederà, che ponendosi in mare una nave bagnata con vino o con inchiostro, ella non averà a pena solcate l’onde per mezo miglio, che non gli resterà più vestigio del primo licore che la circondava; il che si può creder con gran ragione che accaggia parimente dell’acqua che la tocca, cioè che continuamente si vada mutando: e senz’altro, il sevo con che ella si spalma, ancor che assai tenacemente vi sia attaccato, pure in breve tempo vien portato via dall’acqua che nel suo corso le va strisciando sopra; il che non avverrebbe se l’acqua che tocca la nave restasse l’istessa continuamente senza mutarsi.
Quanto alla piastra di vetro che resta a galla tra gli arginetti dell’acqua, io dico che detti arginetti non si sostengono perché l’aderenza dell’aria colla piastra non lasci scorrer l’acqua sopra la piastra; perché se questo fusse, dovrebbe seguir l’istesso quando si ponesse nell’acqua la medesima falda alquanto umida, ché non è credibile che l’aria aderisca meno a una superficie umida che a una asciutta; tuttavia noi veggiamo che quando la piastra è umida, non si formano argini, ma subito scorre l’acqua. Del sostenersi, dunque, detti argini altra ne è la cagione che l’aderenza dell’aria alla superficie d’essa falda: e noi veggiamo frequentissimamente gran pezzi d’acqua sostenersi in particolare sopra le foglie de i cavoli e d’altre erbe ancora, in figure colme e rilevate, in maggiore altezza assai che quella degli arginetti che circondano la falda notante.
All’ultima prova, dov’ei vuole che il premere o aggravare, senz’altra aderenza, sia mezo bastante a far ch’un corpo segua l’altro, com’egli essemplifica di due tavole di pietra ben liscie poste l’una sopra l’altra, delle quali la superiore e premente segue il moto dell’inferiore che venga tirata verso qualche parte, io concedo l’esperienza, ma non veggo ch’ella abbia che far nel caso nostro: prima, perché noi trattiamo d’un corpo liquido e sottile, le cui parti non ànno tal connessione insieme, che al moto d’una si debba muovere il tutto, come accade in un corpo solido; secondariamente, il Sarsi troppo languidamente prova che ’l fuoco, l’aria e l’essalazioni contenute dentro al concavo lunare facciano impeto e gravino sopra la superficie d’esso concavo, mentr’egli introduce, come causa di questa compressione, una continua rarefazzion d’esse sostanze, le quali dilatandosi, e perciò ricercando sempre spazii maggiori, fanno forza contro al loro contenente e così vengono in certo modo ad attaccarsegli, sì che poi seguono il movimento suo. Languidissimo veramente è cotal discorso, perché dove il Sarsi risolutamente afferma che le sostanze contenute si vanno continuamente rarefacendo e dilatando, l’avversario con non minor ragione (dico non minore, perché il Sarsi non ne adduce niuna) dirà ch’elle si vanno continuamente condensando e ristringendo. Ma dato anco ch’elle si vadano pur continuamente rarefacendo e che per tale rarefazzione nasca l’attaccamento al concavo e finalmente il rapimento, si può credere che cento e mille anni fa, quando la rarefazzione non era a gran segno al termine d’oggidì (ché così bisogna in dottrina del Sarsi), il rapimento non ci fusse, mancando la causa del farsi. Anzi niuna ragione mi può ritenere ch’io non dica al Sarsi che questa sua rarefazzione, che continuamente si va facendo, non è ancora giunta a grado di far violenza e premer sopra il concavo della Luna, ma che ben potrebbe giungervi tra due o tre anni; al qual tempo io concedo che la sfera degli elementi superiori comincerà a muoversi, ma in tanto conceda esso a me che sino al dì d’oggi non si sia mossa. Io non vorrei che il Sarsi, se per avventura sentisse queste ed altre simili risposte veramente ridicole, si mettesse a ridere, poi ch’egli è che ne dà occasione di produrle tali col lasciarsi scappar dalla mente, e poi dalla penna, che alcune sostanze materiali si vadano rarefacendo e dilatando in perpetuo. Ma io voglio aiutare il medesimo Sarsi ed insegnarli un punto nella causa sua, dicendogli che questa rarefazzione eterna e pressione contro al concavo della Luna è superflua, tuttavolta ch’ei possa mostrar che l’aria vien rapita dal catino, sopra il quale ella non preme e non grava punto, essendo egli posto nella medesima region dell’aria.