Capitolo XXXI

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"Præterea, quoniam, ut Galilæus ipse fatetur, cometæ motus in principio velocior visus est, et paulatim postea remitti, videndum est, in qua proportione hæc motus remissio procedere debeat in hac linea recta. Certe, si Galilæi figuram expendamus, quando cometa fuerit in E, apparebit in G; cum vero, paria percurrens spatia EF, FM, MO, motum suum apparentem in punctis F, I, L ostendet, videbitur motus eius decrescere decrementis maximis; nam arcus FI vix est medietas ipsius GF, et IL ipsius FI, atque ita de reliquis: debuit ergo cometæ motus apparens in eadem proportione decrescere. Sciendum autem est, motum cometæ observatum non in hac proportione decrevisse, immo primis diebus adeo exiguum ipsius decrementum fuisse, ut non facile animadverteretur. Cum enim in suo exordio tres circiter gradus quotidie percurreret, diebus iam 20 elapsis vix quicquam de illa priori contentione remisisse visus est. Immo, si in iudicium advocentur cometæ duo Tychonici annorum 1577 et 1585, ex ipsorum motibus apertissime colligemus, quam longe abfuerint ab immani hoc decremento. Si quis iam ex me quærat, quantus tandem futurus sit cometæ motus per lineam hanc rectam ascendentis, respondeo: si cometa tunc primum appareat, cum vapor ex quo producitur non longe abest a Luna, quod valde probabile est, et præterea ponamus locum, ex quo in Terræ globo fumus ille ascendit, distare a nobis gradibus 60, respondeo, inquam, apparentem cometæ motum toto durationis suæ tempore non absoluturum gradum unum et minuta 31.

Sit enim Terræ globus ABC, Lunæ concavum GFH, distans a centro D Terræ semidiametris 33, ex Ptolemæo; Tycho enim duplam fere ponit distantiam, quod magis e re mea foret; sitque A locus ex quo spectatur cometa, B vero locus ex quo vapor ascendit. Dico, cum visus fuerit cometa in E, futurum angulum DEA gradus 1, minuta 31; ac proinde, si ducatur AF parallela ipsi DE, erit etiam angulus FAE gradus 1, minuta 31, cum sit alternus ipsi DAE inter easdem parallelas; duæ ergo lineæ AE, AF intercipient in firmamento arcum gradus 1, minuta 31. Sed ad lineam AF, parallelam ipsi DE, nunquam perveniet cometa, ut probavimus superius: ergo nunquam absolvet motum gradum 1, minuta 31. Quod autem angulus DEA futurus sit in concavo Lunæ gradus 1, minuta 31, probatur. Quia, cum cognitus sit, ex suppositione, angulus EDA graduum 60 in triangulo ADE, et præterea latus AD unius Terræ semidiametri, et latus DE semidiametrorum 33; si fiat, ut 34, aggregatum duorum laterum AD, DE, ad 32, differentiam eorumdem laterum, ita 173205, tangens dimidii summæ reliquorum duorum angulorum, hoc est tangens anguli graduum 60, ad quartum numerum, invenietur 163016, tangens anguli graduum 58, minutorum 29: qui, detracti ex gradibus 60, hoc est ex dimidio duorum reliquorum angulorum, relinquent angulum DEA quæsitum gradus 1, minutorum 31, ex regulis trigonometricis."

Io credetti dalla precedente dimostrazion del Sarsi, ch’ei potesse essere ch’egli avesse veduto, e forse inteso, il primo libro degli Elementi della geometria; ma quello ch’egli scrive qui mi mette in gran dubbio s’egli abbia prattica veruna sopra le cose matematiche, poi che dalla figura delineata di sua fantasia da se medesimo, ei vuol ritrarre qual sia la proporzion della diminuzion dell’apparente velocità del moto attribuito dal signor Mario alla cometa: dove, prima, egli dimostra di non avere osservato che in tutti i libri de’ matematici niun riguardo si ha già mai delle figure, tutta volta che vi è la scrittura che parla; e che in astronomia, in particolare, si tratterebbe poco meno che dell’impossibile a voler mantenere nelle figure le proporzioni che realmente hanno tra di loro i moti, le distanze e le grandezze degli orbi celesti, le quali proporzioni senza verun pregiudicio della dottrina si alterano sì fattamente, che quel cerchio o quell’angolo che dovrebbe esser mille volte maggiore d’un altro, non si fa né anco due o ver tre. Si veda anco il secondo errore del Sarsi, ch’è ch’ei s’immagina che ’l medesimo movimento debba apparir fatto colle stesse apparenti inegualità da tutti i luoghi ond’ei venga osservato ed in tutte le distanze o altezze dove il mobile si ritrovi: tuttavia la verità è, che segnati nel moto retto perpendicolarmente ascendente molti spazii eguali, i movimenti apparenti, verbigrazia, di quattro parti vicine a Terra importeranno mutazioni in cielo tra di sé molto più disuguali che quelli di quattro altre parti assai lontane; sì che finalmente in gran lontananza la disugualità che nelle parti basse era grandissima, nell’altre resterà insensibile. Così parimente in altra proporzione appariranno fatti i medesimi ritardamenti se il riguardante sarà vicino al principio della linea del moto, che s’egli ne sarà lontano. Tuttavia il Sarsi, perché nella figura

trova che gli archi GF, FI, IL, che sono i moti apparenti, decrescono grandemente ed assai più che non si scorse nel movimento della cometa, si è persuaso che simil moto in conto niuno possa a quella adattarsi; né ha avvertito come cotali decrementi possano apparir meno e meno disuguali, secondo che l’altezza del mobile sarà posta maggiore. Egli pur sa che nelle figure né si osserva, né importa nulla il non osservar, le debite proporzioni; della qual notizia egli medesimo ce ne rende certi nella sua seguente figura,

nella quale prova l’angolo DEA esser solamente un grado e mezo, se bene in disegno è più di gradi 15, ed il semidiametro del concavo lunare DE appena è triplo del semidiametro terrestre DB, il qual tuttavia egli nomina 33 volte maggiore; sì che questo solo era bastante a fargli conoscere quanto grande sia la semplicità di chi volesse raccor la mente d’un geometra dal misurar colle seste le sue figure. Concludendo dunque dico, signor Lottario, che può star benissimo in un istesso moto retto ed uniforme un’apparente diminuzione e grande e mezana e piccola e minima ed insensibile ancora; e se voi vorrete provare che niuna di queste corrisponda al moto della cometa, bisognerà che facciate altra fattura che misurar le dipinture; e v’assicuro che scrivendo voi cose tali, non v’acquisterete l’applauso d’altri, che di chi, non intendendo né il signor Mario né voi, ripon la vittoria nel più loquace e ch’è l’ultimo a parlare.

Ma sentiamo, Illustrissimo Signore, quello che in ultimo il Sarsi produce. Esso, per mio credere, vuol da questo ch’ei soggiunge, ch’è la piccolezza del moto apparente, provare, il già più volte nominato moto retto non competere in verun modo alla cometa (e dico di creder così, e non d’esserne sicuro, poi che l’istesso autore, doppo sue dimostrazioni e calcoli, non raccoglie conclusione alcuna): e per ciò fare egli suppone, la cometa nel suo primo apparire esser stata lontana dalla superficie della Terra 32 semidiametri terrestri, e che il riguardante sia situato 60 gradi lontano dal punto della superficie della Terra che perpendicolarmente risponde sotto alla linea del moto d’essa cometa; e fatte tali due supposizioni, dimostra la quantità del moto apparente potere appena arrivare in cielo a un grado e mezzo; e qui finisce, senza applicare il detto a proposito alcuno o raccorne altra conclusione. Ma già che il Sarsi non l’ha fatto, ne raccorrò io due delle conclusioni: la prima sarà quella che l’istesso Sarsi vorrebbe che il semplice lettore n’inferisse da per se stesso, e l’altra quella che per vera conseguenza, e non per inavvertenza di persone semplici, si raccoglie. Ecco la prima: "Dunque, o lettore, nel cui orecchio ancora risuona quello che di sopra è stato scritto, cioè che il moto apparente della nostra cometa valicò in cielo molte e molte decine di gradi, fa’ tu ora concetto e tieni per sicuro che il moto retto del signor Mario in veruna maniera se gli assesta, per lo quale a gran fatica si può valicare un sol grado e mezo." E questa è la conseguenza de’ semplici. Ma chi averà fior di logica naturale, congiungendo le premesse del Sarsi colla conclusione da quelle dependente, formerà cotal sillogismo: "Posto che la cometa nel suo apparire fusse stata alta 32 semidiametri terrestri, e che il riguardante fusse gradi 60 lontano dalla linea del suo moto, la quantità del suo moto apparente non poteva eccedere un grado e mezo; ma egli eccedette molte decine di gradi; (venga ora la conseguenza vera) adunque nel tempo delle prime osservazioni la nostra cometa non era in altezza da Terra di 32 semidiametri, e l’osservator lontano 60 gradi dalla linea del moto di quella." Il che liberamente si conceda al Sarsi, essendo una conclusione che distrugge i suoi medesimi assunti: ben che per un altro rispetto ancora il suo sillogismo resti imperfetto, né punto vaglia contro al signor Mario, il qual già apertamente ha scritto che un semplice moto retto non può bastare a soddisfare all’apparente mutazion della cometa, ma vi bisogna aggiunger qualch’altra cagione della sua deviazione; la qual condizione, tralasciata dal Sarsi, snerva del tutto ogni sua illazione.

Ma noto, di più, un altro non piccolo errore in logica in questo suo discorso. Vuole il Sarsi, dalla gran mutazion di luogo che fece la cometa provar che ’l moto retto del signor Mario non gli poteva competere, perché la mutazione che segue a cotal moto è piccola: e perché la verità è che a questo moto retto ne possono seguir mutazioni piccole, mediocri ed anco grandissime, secondo che il mobile sarà più alto o più basso, ed il riguardante più lontano o meno dalla linea d’esso moto, il Sarsi, senza domandar all’avversario in qual altezza e in qual lontananza ei ponga il mobile e ’l riguardante, ripone l’uno e l’altro in luoghi accommodati al suo bisogno e sconci per quel dell’avversario, e dice: "Pongasi che la cometa nel principio fusse alta 32 semidiametri, e l’osservatore lontano 60 gradi." Ma, signor Lottario mio, se l’avversario dirà ch’ella non era tanto lontana a molte migliaia di miglia, e l’osservatore parimente assai più vicino, che farete voi del vostro sillogismo? che ne concluderete? niente. Bisognava che noi, e non voi, avessimo attribuito alla cometa ed all’osservatore cotali distanze, ed allora ci avreste colle nostre proprie armi trafitti; o se pur volevate trafiggerci colle vostre, dovevate prima necessariamente provare, tali essere state in fatto le lontananze (il che non avete fatto), e non arbitrariamente fingervele, ed elegger delle più pregiudiciali alla causa dell’avversario. Questo particolare solo mi fa inclinare un poco a credere che possa esser vero quello che sin qui non ho creduto già mai, cioè che possiate essere stato scolare di quello di chi voi vi fate, avvenga ch’egli ancora caschi, s’io non m’inganno, nell’istessa fallacia, mentre vuol dimostrar falsa l’opinion d’Aristotile e d’altri ch’ànno stimato la cometa esser cosa elementare e dentro alla regione elementare aver sua residenza: a i quali egli oppone, come grandissimo inconveniente, la smisurata mole ch’ella dovrebbe avere, e quanto incredibil cosa sarebbe che dalla Terra potesse esserle somministrato pabulo e nutrimento; per dimostrarla poi una smisuratissima machina, la costituisce, senza licenza degli avversari, nella più sublime parte della sfera elementare, cioè nell’istessa concavità dell’orbe lunare, e di quivi, dall’apparirci ella quale la veggiamo, va calcolando la sua mole dover esser poco manco di cinquecento milioni di miglia cubiche (e noti il lettore che lo spazio d’un sol miglio cubo è tanto grande, che capirebbe più d’un milion di navi, che forse tante non se ne trovano al mondo), machina veramente troppo sconcia e disonesta, e di troppo grande spesa al genere umano, che di quaggiù le avesse a mandar la pietanza per cibarsi e nutrirsi. Ma Aristotile e i suoi aderenti risponderanno: "Padre mio, noi diciamo che la cometa è elementare, e che può esser ch’ella sia lontana dalla terra 50 o 60 miglia e forse manco, e non cento ventun mila settecento e quattro, come, solamente di vostra semplice autorità, la fate voi; e per tanto il corpo suo non viene ad esser a mille miglia grande quanto voi credete, né insaziabile o impasturabile"; e qui poi non ci è altro da fare per l’oppugnatore se non istringersi nelle spalle e tacere. Quando si ha da convincer l’avversario, bisogna affrontarlo colle sue più favorevoli, e non colle più pregiudiciali, asserzioni; altrimenti se gli lascia sempre da ritirarsi in franchigia, lasciando l’inimico come attonito ed insensato, e qual restò Ruggiero allo sparir d’Angelica.