Capitolo XVIII

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Or legga V. S. Illustrissima sin al fine di questo primo essame: "At videat hoc loco Galilæus, quam non insipienter ex his atque aliis in Sidereo Nuncio ab illo traditis inferamus, cometam supra Lunam statuendum. Ait ipse, cælestia inter lumina alia quidem nativa ac propria fulgere luce, quo in numero Solem ac stellas quas fixas dicimus collocat; alia vero, nullo a natura splendore donata, lumen omne a Sole mutuari, qualia sex reliqui planetæ haberi solent. Observavit præterea, stellas maxime inane illud lucis non suæ coronamentum adamasse, ac veluti comam alere consuevisse; planetas vero, Lunam præsertim, Iovem atque Saturnum, nullo fere huiusmodi fulgore vestiri; Martem tamen, Venerem atque Mercurium, quamvis nullo et ipsi generis splendore sint præditi, e Solis propinquitate tantum haurire luminis, ut, stellis quodammodo pares, earumdem et scintillationem et circumfusos radios imitentur. Cum ergo cometa, vel Galilæo auctore, lumen non a natura inditum habeat, sed Soli acceptum referat, nosque illum tanquam temporarium planetam existimaremus, cum cæteris non postremæ notæ viris, de eo etiam similiter philosophandum erat atque de Luna cæterisque errantibus: quorum cum ea sit conditio, ut, quo minus a Sole distant, eo splendeant ardentius, fulgoreque maiore vestiti (quod inde consequitur) tubo inspecti minus augeri videantur, dum cometa ex hoc eodem instrumento idem fere quod Mercurius caperet incrementum, an non valde probabiliter inferre inde potuimus, cometam eumdem non plus admodum circumfusi illius luminis admisisse quam Mercurium, nec proinde longiori multo a Sole dissitum intervallo; contra vero, cum minus augeretur quam Luna, maiori circumfusum lumine, ac Soli viciniorem statuendum? Ex quibus iure dixisse nos intelligit, cum parum admodum augeri visus sit cometa, multo a nobis remotiorem quam Lunam dicendum esse. Et sane, cum nobis ex parallaxi observata, ex cursu etiam cometæ decoro ac plane sidereo, satis iam de eius loco constaret; cum præterea eumdem tubus pari pene incremento ac Mercurium afficeret, contrarium certe nulla ratione suaderet; licuit hinc etiam non minimam momenti ac ponderis appendiculam in nostram derivare sententiam. Quamquam enim sciremus ex multis posse ista pendere, ex ea tamen ipsa quam lucidum hoc corpus in omnibus suis phœnomenis cum reliquis cælestibus corporibus servaret analogiam, satis magnum a tubo nos accepisse beneficium tunc putavimus, quod sententiam nostram, aliorum iam argumentorum pondere firmatam, suo etiam suffragio ipse vehementius confirmaret.

Quod autem reliquum est argumento additum, ea videlicet verba: "Scio hoc argumentum apud aliquos parvi fuisse momenti, etc." diserte ingenueque supra memoravimus, quorsum hæc addita fuerint; adversus eos nimirum qui, huic instrumento fidem elevantes, opticarum disciplinarum plane ignari, fallax illud ac nulla dignum fide prædicarent. Intelligit igitur, ni fallor, Galilæus, quam immerito nostram de tubo sententiam oppugnarit, quam veritati, immo et suis etiam placitis, nulla in re adversam agnoscit: agnoscere etiam ante poterat, si pacato magis illam animo aspexisset. Qui igitur nobis in mentem veniret unquam, fore aliquando, ut minus hæc illi grata acciderent, quæ prorsus ipsius esse censeremus? Sed quando hæc pro nostra sententia satis esse arbitror, ad ipsius Galilæi placita expendenda gradum faciamus."

Qui primieramente, com’ella vede, aviamo un argomento rappezzato, come si dice, su ’l vecchio, di diversi fragmenti di proposizioni, per provar pure, il luogo della cometa essere stato tra la Luna ed il Sole: il qual discorso il signor Mario ed io gli possiamo, senza pregiudicio alcuno, conceder tutto, non avendo noi mai affermato cosa veruna attenente al sito della cometa, né negato ch’ella possa essere sopra la Luna, ma solamente si è detto che le dimostrazioni portate sin qui dagli autori non mancano di dubitazioni; per le quali rimuovere di niuno aiuto è che ora il Sarsi venga con altra nuova dimostrazione, quando bene ella fusse necessaria e concludente, a provar la conclusione esser vera, avvenga che anco intorno a conclusioni vere si può falsamente argumentare e commetter paralogismi e fallacie. Tuttavia, per lo desiderio ch’io tengo che le cose recondite vengano in luce e si guadagnino conclusioni vere, anderò movendo alcune considerazioni intorno ad esso discorso: e per più chiara intelligenza lo ristringerò prima nella maggior brevità ch’io possa.

Dic’egli dunque, aver dal mio Nunzio Sidereo, le stelle fisse, come quelle che risplendono di propria luce, irraggiarsi molto di quel fulgore non reale, ma solo apparente; ma i pianeti, come privi di luce propria, non far così, e massime la Luna, Giove e Saturno, ma dimostrarsi quasi nudi di tale splendore; ma Venere, Mercurio e Marte, benché privi di luce propria, irraggiarsi nondimeno assai per la vicinità del Sole, dal quale più vivamente vengon tocchi. Dice di più, che la cometa, di mio parere, riceve il suo lume dal Sole, e poi soggiunge, sé, con altri autori di nome, aver reputata la cometa come un pianeta per a tempo, e che però di lei si possa filosofare come degli altri pianeti; de’ quali essendo che i più vicini al Sole più s’irraggiano, ed in conseguenza meno ricrescono veduti col telescopio, ed avvenga che la cometa ricresceva poco più di Mercurio ed assai meno che la Luna, molto ragionevolmente si poteva concluder, lei esser non molto più lontana dal Sole che Mercurio, ma assai più vicina a quello che la Luna. Questo è il discorso, il quale calza così bene, e così aggiustatamente s’assesta, al bisogno del Sarsi, come se la conclusione fusse fatta prima de’ principii e de’ mezi, sì che non quella da questi, ma questi da quella dependessero, e fussero non dalla larghezza della natura, ma dalla puntualità di sottilissima arte stati preparati per lei. Ma veggiamo quanto siano concludenti.

E prima, che io abbia scritto nel Nunzio Sidereo che Giove e Saturno non s’irraggino quasi niente, ma che Marte, Venere e Mercurio si coronino grandemente de’ raggi, è del tutto falso; perché la Luna solamente ho sequestrata dal resto di tutte le stelle, tanto fisse quanto erranti.

Secondariamente, non so se per far che la cometa sia un quasi pianeta, e che, come tale, se gli convengano le proprietà degli altri pianeti, basti che il Sarsi, il suo Maestro ed altri autori l’abbiano stimata e nominata per tale: che se la stima e la voce loro avesser possanza di porre in essere le cose da essi stimate e nominate, io gli supplicherei a farmi grazia di stimar e nominar oro molti ferramenti vecchi che mi ritrovo avere in casa. Ma lasciando i nomi da parte, qual condizione induce questi tali a reputar la cometa quasi un pianeta per a tempo? forse il risplendere come i pianeti? ma qual nuvola, qual fumo, qual legno, qual muraglia, qual montagna, tocca dal Sole, non risplende altrettanto? Non ha veduto il Sarsi nel Nunzio Sidereo dimostrato, lo stesso globo terrestre risplender più che la Luna? Ma che dico io del risplender la cometa come un pianeta? Io, in quanto a me, non ho per impossibile che la sua luce possa esser tanto debole, e la sua sostanza tanto tenue e rara, che quando alcuno se gli potesse avvicinare assai, la perdesse del tutto di vista; come accade d’alcuni fuochi ch’escono dalla Terra, i quali solamente di notte e da lontano si veggono, ma da vicino si perdono; in quel modo che le nuvole lontane si veggono terminatissime, che poi da presso mostrano un poco di adombramento di nebbia talmente interminato, che altri quasi, nell’entrarvi dentro, non distingue il suo termine, né lo sa separar dall’aria sua contigua. E quelle proiezzioni de’ raggi solari tra le rotture delle nuvole, tanto simili alle comete, quando mai son elle vedute, se non da quelli che da loro son lontani? Convien forse la cometa co’ pianeti per ragion di moto? E qual cosa separata dalla parte elementare, ch’ubidisce allo stato terrestre, non si moverà al moto diurno col resto dell’universo? Ma se si parla dell’altro moto traversale, questo non ha che far col movimento de’ pianeti, non essendo né per quel verso, né regolato, né forse pur circolare. Ma, lasciati gli accidenti, crederà forse alcuno, la sostanza o materia della cometa aver convenienza con quella de’ pianeti? Questa si può credere esser solidissima, ché così ne persuade in particolare e quasi sensatamente la Luna, ed in universale la figura terminatissima ed immutabile di tutti i pianeti; dove, per l’opposito, quella della cometa in pochi giorni si può credere che si dissolva; e la sua figura, non circolarmente terminata, ma confusa ed indistinta, ci dà segno, la sua sostanza esser cosa più tenue e più rara che la nebbia o il fumo: sì che in somma ella si possa più tosto chiamare un pianeta dipinto, che reale.

Terzo, io non so quanto perfettamente ei possa aver paragonato l’irraggiamento ed il ricrescimento della cometa con quel di Mercurio, il quale, avvenga che rarissime volte dia occasion d’essere osservato, in tutto il tempo che apparve la cometa, sicuramente non la dette egli mai, né poté esser veduto, ritrovandosi sempre assai vicino al Sole; sì che io credo di poter senza scrupolo creder, che il Sarsi non facesse altrimenti questo paragone, difficile anco per altro e mal sicuro a potersi fare, ma ch’e’ lo dica, perché, quando così fussi, servirebbe meglio alla sua causa. E del non essere egli venuto a questa esperienza me ne dà anco indizio questo, che nel riferir l’osservazioni fatte in Mercurio e nella Luna, colle quali paragona quelle della cometa, mi par ch’ei si confonda alquanto: atteso che, per voler concludere, la cometa esser più lontana dal Sole che Mercurio, aveva bisogno dire ch’ella s’irraggiava meno di lui, e veduta col telescopio ricresceva più di lui; tuttavia gli è venuto scritto a rovescio, cioè ch’ella non s’irraggiava assai più di Mercurio, e ch’ella riceveva quasi il medesimo ricrescimento, ch’è quanto a dire ch’ella s’irraggiava più, e ricresceva manco, di Mercurio: paragonandola poi colla Luna, scrive l’istesso (ben ch’egli dica di scrivere il contrario), cioè ch’ella ricresceva meno che la Luna, e s’irraggiava più: tuttavia poi, nel concludere, dalla identità di premesse ne deduce contrarie conclusioni, cioè che la cometa è più vicina al Sole che la Luna, ma più remota che Mercurio.

E finalmente, professando il Sarsi d’esser molto esatto logico, non so perché nella division de’ corpi luminosi che s’irraggiano più o meno, e che in conseguenza, veduti col telescopio, ricevono ingrandimento minore o maggiore, ei non abbia registrati i nostri lumi elementari; avvenga che le candele, le fiaccole ardenti vedute in qualche distanza, e qualunque sassetto, legnuzzo o altro piccolo corpicello, insin le foglie dell’erbe e le stille della rugiada percosse dal Sole, risplendono, e da certe vedute s’irraggiano al pari di qualunque più folgorante stella, e viste col telescopio osservano nell’ingrandimento l’istesso tenore che le stelle: perloché cessa del tutto quell’aiuto di costa ch’altri si era promesso dal telescopio, per condur la cometa in cielo e rimuoverla dalla sfera elementare. Cessi pertanto ancora il Sarsi dal pensiero di poter sollevare il suo Maestro, e sia certo che per voler sostenere un errore è forza di commetterne cento, e, quel ch’è peggio, restar in ultimo a piedi. Vorrei anco pregarlo ch’ei cessasse di replicar, com’egli pur fa nel fine di questa parte, che queste sue sieno mie dottrine, perch’io né scrissi mai tali cose, né le dissi, né le pensai. E tanto basti intorno al primo essame.