Il Saggiatore/15
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Legga ora V. S. Illustrissima: "Sed dicet is, hoc non esse, saltem, eodem uti instrumento, ac proinde, si de eodem loquamur specillo, falsam esse positionem illam: quamquam enim eadem sint vitra, idem etiam tubus, si tamen hic idem modo productior, modo vero fuerit contractior, non idem semper erit instrumentum. Apage hæc tam minuta. Si quis igitur cum amico colloquens leni sono verba formaverit, ut scilicet e propinquo exaudiatur; mox alium conspicatus e longinquo, contentissima illum voce inclamarit; alio atque alio illum uti gutture atque ore dixeris, quod hæc vocis instrumenta illic contrahi, hic dilatari atque extendi necesse sit? Nos vero cum tubicines æs illud recurvum ac replicatum adducta reductaque dextra ad graviorem quidem sonum producentes, ad acutiorem vero contrahentes, intuemur, num propterea alia atque alia uti tuba existimamus?"
Qui, com’ella vede, il Sarsi introduce me, come ormai convinto dalla forza de’ suoi sillogismi, a ricorrere per mio scampo a qualunque debolissimo attacco, ed a dire, quando pur vero sia che le stelle fisse non ricevano accrescimento come gli oggetti vicini, che questo "saltem" non è servirsi del medesimo strumento, poi che negli oggetti propinqui si deve allungare; e mi soggiunge, con un Apage, ch’io ricorro a cose troppo minute. Ma, signor Sarsi, io non ho bisogno di ricorrere al "saltem" ed alle minuzie. Necessità ne avete avuta voi sin qui, e più l’averete nel progresso. Voi avete avuto bisogno di dire che "saltem" nelle sottilissime idee geometriche le fisse richieggono abbreviazione del telescopio più che la Luna, dal che poi ne seguiva, come di sopra ho notato, che ricrescendo la Luna mille volte, le fisse ricrescerebbono novecento novantanove, mentre che per mantenimento del vostro detto avevate di bisogno ch’elle non ricrescessero né anco una meza volta. Questo, signor Sarsi, è un ridursi al "saltem", e un far come quella serpe che, lacerata e pesta, non le sendo rimasti più spiriti fuor che nell’estremità della coda, quella va pur tuttavia divincolando, per dare a credere a’ viandanti d’essere ancor sana e gagliarda. Ed il dire che il telescopio allungato è un altro strumento da quel ch’era avanti, è, nel proposito di che si parla, cosa essenzialissima, e tanto vera quanto verissima; né il Sarsi avrebbe stimato altrimenti, se nel darne giudicio non avesse equivocato dalla materia alla forma o figura, che dir la vogliamo: il che si può facilmente dichiarare anco senza uscir del suo medesimo essempio.
Io domando al Sarsi, onde avvenga che le canne dell’organo non suonan tutte all’unisono, ma altre rendono il tuono più grave ed altre meno? Dirà egli forse, ciò derivare perch’elle sieno di materie diverse? certo no, essendo tutte di piombo: ma suonano diverse note perché sono di diverse grandezze, e quanto alla materia, ella non ha parte alcuna nella forma del suono: perché si faran canne, altre di legno, altre di stagno, altre di piombo, altre d’argento ed altre di carta, e soneran tutte l’unisono; il che avverrà quando le loro lunghezze e larghezze sieno eguali: ed all’incontro coll’istessa materia in numero, cioè colle medesime quattro libre di piombo, figurandolo or in maggiore or in minor vaso, ne formerò diverse note: sì che, per quanto appartiene al produr suono, diversi sono gli strumenti che ànno diversa grandezza, e non quelli che ànno diversa materia. Ora, se disfacendo una canna se ne rigetterà del medesimo piombo un’altra più lunga, ed in conseguenza di tuono più grave, sarà il Sarsi renitente a dir che questa sia una canna diversa dalla prima? voglio creder di no. Ma se altri trovasse modo di formar la seconda più lunga senza disfar la prima, non sarebbe l’istesso? certo sì. Ma il modo sarà col farla di due pezzi e ch’uno entri nell’altro, perché così si potrà allungare e scorciare, ed in somma farla all’arbitrio nostro divenir canne diverse, per quello che si ricerca al formar diverse note; e tale è la struttura del trombone. Le corde dell’arpe, ben che sieno tutte della medesima materia, rendon suoni differenti, perché sono di diverse lunghezze: ma quel che fanno molte di queste, lo fa una sola nel liuto, mentre che col tasteggiare si cava il suono ora da tutta ora da una parte, ch’è l’istesso che allungarla e scorciarla, ed in somma trasmutarla, per quanto appartiene alla produzzion del suono, in corde differenti: e l’istesso si può dire della canna della gola, la qual, col variar lunghezza e larghezza, accommodandosi a formar varie voci, può senza errore dirsi ch’ella diventi canne diverse. Così, e non altrimenti (perché il maggiore o minor ricrescimento non consiste nella materia del telescopio, ma nella figura, sì che il più lungo mostra maggiore), quando, ritenendo l’istessa materia, si muterà l’intervallo tra vetro e vetro, si verranno a costituire strumenti diversi.